Famiglia : Urticaceae
Testo © Eugenio Zanotti
Il genere Urtica comprende circa un centinaio di specie delle regioni temperate e subtropicali del mondo. Urtica dioica è una pianta subcosmopolita, spontanea o naturalizzata in gran parte dei Paesi del globo.
Il nome del genere “urtica” deriva dai termini latini “ùro, ùrere” io brucio, bruciare, e da “tàctus” = tatto, ovvero pianta che brucia quando si tocca. Lo specifico “dioica” viene dal greco “di” = due, e da “oikos” = casa, (due case) per il fatto che questa specie ha fiori maschili e fiori femminili separati, su piante diverse.
L’ortica comune (Urtica dioica L. 1753) è una pianta erbacea perenne molto conosciuta, generalmente dioica anche se raramente compaiono esemplari monoici con fiori maschili e femminili e anche fiori ermafroditi, fornita di rizoma ramificato, stolonifero, strisciante, giallo, fibroso, e fusti erbacei eretti, striati, alti 30-120 cm, tetragoni e in alto scanalati, ispidi; foglie grandi, opposte, ovato-oblunghe, acuminate, cuoriformi alla base, dentato-seghettate, con lembo lungo 2-4 volte più lungo che largo, con picciolo lungo da 2/3 a 4/5 della lamina, 4-stipolate, fornite di peli urticanti.
I fiori sono molto piccoli, giallo verdastri, riuniti in glomeruli raggruppati in racemi di 2-3 cm, semplici o ramosi, arcuati, patenti e più o meno penduli, all’ascella delle foglie superiori, con 4 tepali irsuti e persistenti nel frutto.
L’evoluzione genetica ha fatto sì che i fiori maschili abbiano i quattro stami che rimangono accartocciati fino alla maturazione del polline; a quel punto essi si allungano di scatto lanciando nell’aria i granuli pollinici così che questi siano dispersi tutt’attorno per favorire la fecondazione anemògama (operata dal vento) delle piante femminili.
La fioritura da è concentrata da maggio a novembre. I frutti sono minuscoli achéni ovali bruno-olivastri con un ciuffo di peli all’apice.
Se osserviamo da vicino una pianta di ortica vediamo che essa è ricoperta da peli trasparenti. Molti fra questi, osservati al microscopio, appaiono rigidi, con la forma di ampolle a collo allungato. La parte basale, più grossa, calcarizzata e dura, funziona da serbatoio di acido formico e ammine (istamina, serotonina, colina, ecc.). La parte superiore, invece, è silicizzata e fragile, pronta a rompersi al minimo urto con una linea di frattura obliqua, che ne facilita la penetrazione sotto la cute e l’iniezione del liquido spinto dalle cellule basali determinando, come ben descrive un vecchio testo, “un dolore bruciante, a cui tien dietro una gonfiezza bianca nella parte offesa, che cangiansi più tardi in rossa”.
In passato con i mazzi di ortica si colpivano la schiena o gli arti per combattere i dolori reumatici, lombaggini e sciatalgie.
È una specie molto comune che ama i suoli tendenzialmente alcalini, freschi e ricchi di sostanza organica e di nitrati (nitròfila), di fosforo, potassio, e ossidi di ferro, e che cresce nei terreni abbandonati, sui cumuli di rifiuti, nelle boscaglie, lungo le rive dei fossi, nei luoghi frequentati dall’uomo e dagli animali. È un’erba comunissima dal piano fino a 1800 (raramente fino a 2300 m) di quota.
Già nel Medioevo, ma certamente anche prima (vi sono documenti che testimoniano l’impiego delle ortiche già nell’Età del Bronzo e nell’antico Egitto) dai fusti delle ortiche se ne traevano lunghe fibre, simili a quelle della canapa e per tale scopo furono coltivate anche nell’800 e nei periodi di autarchia per produrre tessuti (ràmia). Scrisse nel settecento il relatore del terzo viaggio del capitano Cook che gli abitanti della Kamtchatka, penisola situata all’estremità orientale della Russia bagnata dall’oceano Pacifico, nota come il Paese degli orsi e dei vulcani, che senza le ortiche non avrebbero avuto nessuna possibilità di sopravvivere. Essi infatti impiegavano queste piante per trarne reti da pesca, cordami, filo per cucire e pesanti abiti, ecc. A tale scopo tagliavano gli steli di ortica in agosto, li facevano macerare, seccare, e durante i loro lunghi inverni ne filavano le fibre.
Aggiungeva il redattore che il filaccio ottenuto fosse di poco inferiore come qualità a quello della canapa e del lino e prendesse il bianco più facilmente.
In molti paesi del nord Europa l’ortica fu a lungo coltivata come foraggio per il bestiame e ancora tuttora, previa triturazione, le ortiche fresche ricche di caroteni sono somministrate agli animali da cortile per rendere più colorate la pelle, la carne e le uova.
Nell’agricoltura biologica si impiegano le ortiche, previa macerazione per 123 ore in acqua, per ottenere un liquido antiparassitario utile contro gli afidi delle colture.
L’ortica è anche un’ottima verdura: le foglie, del tutto innocue dopo una breve sbollentatura, e poi strizzate, servono per preparare risotti, minestre, frittate, tortelli, torte salate, ripieni, ecc.
In campagna veniva triturata e aggiunta al pastone delle galline per migliorare la produzione e il colore delle uova, nel foraggio per aumentare la produzione di grasso nel latte e colorare di un bel giallo il burro. Prima di portare i cavalli sul mercato si nutrivano con il fieno di ortica per rendere lucido e forte il pelo.
Mischiata al pane o alla crusca si somministrava ai pulcini per prevenire le infezioni e per fornire un concentrato proteico e vitaminico utile a stimolare una rapida crescita. Uso di grande attualità anche oggi, soprattutto nell’agricoltura biologica, stanti i giusti divieti dell’uso di farine di carne nei mangimi per animali.
Dalla macerazione dei suoi fusti si può ricavare una resistente fibra tessile e l’industria usa la pianta intera per estrarne clorofilla. È usata anche in tintoria per la seta e per la lana.
In questo genere di piante vi sono specie assai più temibili: l’ Urtica urentissima dell’isola di Giava e l’ Urtica ferox della Nuova Zelanda provocano reazioni violentissime e convulsioni per i dolori tremendi che sensibilizzano la parte interessata per mesi.
Anche fra le specie “nostrane” (Urtica atrovirens, Urtica membracea, Urtica pilulifera, Urtica rupestris,) vi è la piccola Urtica urens che abita i terreni fortemente ricchi di sostanze azotate, assai più urticante dell’ortica comune e quindi occorre molta attenzione per evitarla!
In fitoterapia si impiega la pianta intera raccolta da aprile a settembre, i rizomi raccolti in autunno (per farne decotti con l’aceto da usare esternamente per combattere l’alopecia e la forfora) ed in alcuni Paesi (Germania) anche i frutti, contenenti un olio ricco di acidi grassi insaturi, fitostimoline, fitormoni, tocoferolo, sono usati sotto forma di estratti alcolici, come corroboranti e tonici. Oltre ad una notevole ricchezza in clorofilla, nell’ortica sono presenti numerosi principi attivi (tannini, nitrati, acido formico e salicilico, flavonoidi, carotenoidi, ferro, vitamine C, B, K1) che le conferiscono proprietà diuretiche, astringenti, emostatiche, depurative, antireumatiche, antiemorragiche, ipoglicemizzanti, antiseborroiche.
Sono in atto studi recenti che sembrano confermare una notevole attività degli estratti dei rizomi e delle radici di ortica per la riduzione dell’ipertrofia o adenoma benigno della prostata.
Da alcuni anni in Belgio, alcuni ricercatori dell’ Università Cattolica di Leuven stanno sperimentando l’azione fungicida di una proteina, la lectina, contenuta nei rizomi e nelle radici dell’ortica, in grado di interferire nella formazione della parete cellulare dei funghi parassiti; l’obiettivo è quello, attraverso tecniche di ingegneria genetica, di trasferire la lectina dall’ortica ad altre piante per renderle più resistenti agli attacchi fungini.
In uno degli splendidi quadri di Albrecht Durer, famoso incisore e pittore tedesco della fine del Quattrocento, è rappresentato un Angelo che offre al Creatore una pianta di ortica.
Quale migliore testimonianza potremmo ricordare sulla considerazione nella quale era tenuta questa preziosa erba selvatica?
Preparazioni:
Tisana diuretica
Un cucchiaino colmo bollito per 5 minuti in una tazza d’acqua. Se ne bevono tre tazze al giorno dolcificando con miele e aggiungendo qualche goccia di succo di limone
Tisana diuretica, depurativa e rinforzante
Succo di pianta fresca estratto mediante frullatura e filtrazione. Se ne prende un cucchiaio da tavola tre volte al giorno per almeno 4-6 settimane.
Sinonimi: Urtica dioica Thunb. (1784); Urtica dioica var. hispida (DC.) Gren. (1855); Urtica dioica subsp. hispida (DC.) Nyman (1881); Urtica dioica var. angustifolia Wimm. & Grab. (1829); Urtica dioica var. diplotricha (Phil.) Wedd. (1869); Urtica dioica subvar. duplicato-serrata Wedd. (1869); Urtica dioica proles hispida (DC.) Rouy (1910); Urtica dioica subsp. eu-dioica Selander (1947); Urtica dioica subsp. gracilis (Aiton) Selander (1947); Urtica dioica subsp. holosericea (Nutt.) Thorne (1967); Urtica dioica subsp. afganica Chrtek (1974); Urtica dioica subsp. galeopsifolia (Wierzb. ex Opiz) Chrtek (1982); Urtica dioica subsp. gansuensis C.J. Chen (1983).
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