Famiglia : Delphinidae
Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
Il Tursiope comune o Delfino naso di bottiglia (Tursiops truncatus, Montagu 1821), è un mammifero placentato acquatico, afferente all’ordine dei cetacei (Cetacea), sottordine odontoceti (Odontoceta), famiglia dei delfinidi (Delphinidae).
Tursiops truncatus è stato considerato a lungo l’unica specie del genere Tursiops, anche se diversi autori hanno messo in luce negli anni peculiarità regionali. Sono anche state descritte alcune sottospecie riconoscibili da differenze morfologiche e nelle proporzioni delle appendici, e alcuni biologi hanno avanzato l’ipotesi che esse potessero essere elevate al rango di specie. Soltanto analisi molecolari hanno finalmente permesso il riconoscimento di almeno altre due specie: Tursiops aduncus Ehrenberg 1833, tipico dei caldi mari del Pacifico occidentale, e Tursiops australis Charlton-Robb et al. 2011, come lascia intuire il nome frequente lungo le coste australiane. In Inglese il nome comune è bottlenose dolphin, in Francese grand dauphin, in Spagnolo tursion.
Il significato del nome scientifico Tursiops truncatus è, animale simile al delfino per “Tursiops” e dal muso corto per “truncatus”.
Zoogeografia
Questo mammifero marino è presente dalle acque fredde temperate e subtropicali, a quelle tropicali di tutti i mari.
Habitat-Ecologia
È una specie prevalentemente costiera, che abita acque neritiche; l’acqua neritica o provincia neritica, corrisponde nella classificazione dell’acqua dei mari, in quella zona che va dalla costa fino al termine della piattaforma continentale, che si inoltra fino ai 200 m di profondità, ricevendo quasi tutta la luce solare che colpisce gli oceani e i mari. Attualmente le specie accettate sono tre, Tursiops truncatus, Tursiops aduncus e Tursiops australis. Tra le sottospecie descritte in diverse regioni ricordiamo: Tursiops truncatus gillii (Pacifico nord-orientale), Tursiops truncatus ponticus (Mar Nero), Tursiops truncatus gephyreus (Atlantico sud-occidentale), Tursiops truncatus nuuanu (Pacifico orientale). Non è da escludere che un approfondimento nello studio di queste popolazioni non porti alla definizione di nuove specie del genere Tursiops.
Sebbene la International Union for Control of Nature (IUCN), ne identifica uno status di rischio minimo “LC”, non bisogna abbassare la guardia, poiché questo dolcissimo e simpaticissimo animale così empatico verso l’essere umano oltre che intelligentissimo, viene attivamente cacciato nelle acque delle Filippine per uso alimentare e per farne esche da utilizzare nella pesca del Nautilus.
Tra tutte le specie di delfinidi è quello che meglio si adatta in cattività, per cui tutti i delfinari e parchi acquatici del mondo espongono questa specie, che data l’intelligenza e l’agilità che la caratterizza, viene coinvolta in spettacoli di alta acrobazia.
La International Whaling Commission (IWC), ovvero la Commissione Baleniera Internazionale (CBI), l’organo ufficiale preposto al controllo e proibizione della caccia regolare e bracconiera a carico dei cetacei, su indicazione della sua commissione scientifica interna, ha deciso di rivedere (tutto è ancora sotto studio) la sistematica del genere Tursiops.
Morfofisiologia
Questa specie misura 4 m di lunghezza, per un peso massimo di circa 670 kg. Ha una longevità di circa 30 anni.
Come per gli altri cetacei, la linea pisciforme di questi animali ne favorisce l’idrodinamica; tra tutti i delfinidi il tursiope è probabilmente il più veloce, raggiungendo i 50 km/h di navigazione. Apparentemente liscia, la pelle del delfino è percorsa da numerose micropieghe che migliorano l’efficienza del nuoto, evitando fenomeni di turbolenza e favorendo l’efficienza della spinta propulsiva della possente pinna caudale. Al corpo affusolato, fa seguito appunto una coda la cui pinna si sviluppa su piano orizzontale, anziché verticale come nei pesci veri e propri; la potente muscolatura della coda è compressa lateralmente, per offrire anche in questo caso una minor resistenza all’acqua e dare maggior sostegno alla pinna caudale.
Per tale ragione i cetacei in genere e quindi anche il delfino, nuotano muovendo la parte posteriore del corpo in senso dorsoventrale. Le dimensioni piuttosto grandi dei delfini o degli odontoceti in genere, sebbene inferiori a quelle della maggior parte dei misticeti sono, insieme alla presenza di un strato adiposo sottocutaneo molto spesso, un adattamento ecoevolutivo, il cui scopo finale è la minor dispersione di calore corporeo.
Poiché l’acqua è un ottimo conduttore di calore e, poiché la temperatura interna di un animale a sangue caldo, come un mammifero appunto, è superiore generalmente a quella dell’ambiente (in questo caso l’acqua del mare) in cui vive e, poiché per la legge di Clausius il calore si muove da un corpo più caldo verso uno più freddo, si avrebbe termodispersione; poiché per la legge biogeografica di Allen-Bergmann “gli organismi di dimensioni maggiori hanno una superficie corporea e quindi una via di dispersione del calore, inferiore a quella di organismi di dimensioni minori”, il tutto si è tradotto evolutivamente in una dimensione corporea piuttosto ragguardevole, per avere le condizioni di vita più stabili e meglio adattate.
Come tutti i mammiferi, la respirazione avviene mediante polmoni, per cui ciclicamente dopo un determinato periodo di apnea la cui durata varia da specie, a specie (nel tursiope dura circa 8 minuti), il delfino fa ritorno in superficie per respirare e approvvigionare la provvista d’aria.
Il tutto avviene mediante un orifizio chiamato “spiracolo” o “sfiatatoio”, un foro singolo sulla superficie della testa (nelle balene ve ne sono due laterali), corrispondente alle nostre narici. Deriva probabilmente, per migrazione in quella posizione, dalle narici di un antenato primitivo terrestre, forse un felino, come adattamento alla vita acquatica.
I cetacei cominciano a espirare prima di raggiungere la superficie, in modo da cominciare la fase di inspirazione nel breve tempo in cui la testa rimane fuori dall’acqua. Inoltre, lo spiracolo è riccamente innervato da terminazioni e possiede dei meccanocetteori che ne consentono l’apertura e la chiusura, in sincronia con l’emersione e l’immersione.
Le pinne del delfino (e per tutti i cetacei) sono di tre tipi, come nei pesci, l’insieme di queste somiglianze e divergenze con i pesci, lo rendono un paradosso biologico. Le pinne pettorali e la dorsale, dirigono e stabilizzano il nuoto, la pinna caudale fornisce l’impulso al movimento.
Degli antenati tetrapodi terrestri, mantengono solo gli arti anteriori (la radiografia di una pinna anteriore di delfino, ci mostra una disposizione delle ossa che assomiglia effettivamente alla mano di un mammifero) e il cinto pettorale, la cui struttura consiste di una scapola, di un omero, di un radio, dell’ulna, del carpo, del metacarpo e delle falangi, la tipica catena ossea di un mammifero terrestre. Gli arti posteriori, sono solo dei rudimenti vestigiali, che abortiscono durante lo sviluppo embrionale rispetto tutti gli altri mammiferi subaerei. Queste vestigia, nei maschi, sono connesse ai muscoli pelvici del sistema riproduttore.
Le pinne dorsale e caudale sono prive di scheletro; la loro rigidità è opera di una trama densamente intricata di fibre connettivali. Le pinne hanno anche un ruolo nella termoregolazione, evitando i fenomeni di surriscaldamento: un delfino sotto sforzo, è soggetto a un aumento della temperatura corporea, con questa cresce anche la pressione sanguigna, ciò attiva una circolazione periferica a livello delle pinne riccamente irrorate. Qui, attraverso scambi termici in controcorrente, il calore in eccesso trasportato dal sangue arterioso, viene ceduto alla componente venosa della circolazione, la quale poi lo cederà dilatandosi all’acqua, un fenomeno simile lo si ritrova negli enormi padiglioni auricolari dell’elefante africano (vedi testo Proboscidea).
I cetacei hanno un occhio simile a quello degli ungulati, la curvatura del cristallino ha la capacità di modificarsi per adattare il fuoco; ciò gli consente di poter vedere bene sia fuori che dentro l’acqua. Però poiché le condizioni dell’acqua non sono sempre limpide e poiché alcuni delfini sono specie di fiume, ove l’acqua è generalmente torbida, la vista non è il senso che più viene utilizzato per la ricerca del cibo, o per sfuggire a un predatore.
Questo ci porta a parlare di una capacità fisiologica e biofisica presente nei delfini (ma anche in altri cetacei e mammiferi come i pipistrelli), che è la caratteristica più originale di questo animale, il cosiddetto “biosonar” o apparato di “ecolocazione”.
I biologi sanno bene da molti anni, grazie a studi di bioacustica e registrazioni mediante idrofoni, che i delfini come tutti gli altri cetacei, emettono continuamente suoni di varia natura e in varia sequenza, che utilizzano sia per mantenere i contatti sociali come un linguaggio, sia per esprimere uno stato comportamentale, ma anche per scandagliare il fondale onde evitare un ostacolo (una roccia), lungo il loro percorso o per catturare una preda, un pesce un calamaro, o per sfuggire a un predatore, ad esempio un’orca o uno squalo.
La cosa curiosa è che sia delfini che balene (che usano i biosonar), non hanno corde vocali. Le ipotesi fatte su come questi suoni vengano emessi, sono state diverse e ancora oggi non è stato delucidato del tutto il meccanismo da parte dei biologi marini, ma in linea molto generale, si pensa che siano prodotti da un volume d’aria emesso dai polmoni ad alta pressione, la quale risalendo per vie interne raggiunge una struttura adiposa “il melone” presente nella fronte del delfino, ove vengono amplificati e emessi all’esterno, la frequenza è variabile; l’altra ipotesi è che invece i suoni prodotti dalla massa d’aria in movimento proveniente dai polmoni, nascano dalla vibrazione della cartilagine dell’epiglottide, con la laringe il centro acustico mentre il melone, sarebbe un centro di ricezione.
Nel caso della prima ipotesi, i suoni che incontrando un ostacolo tornano indietro, verrebbero captati dalle mandibole inferiori fino a raggiungere l’orecchio.
Comunque quale che sia il meccanismo alla base di tale prodigioso mezzo d’adattamento ecologico, grazie ad esso i delfini non solo sono in grado di percepire la presenza di un corpo, ma secondo alcuni scienziati anche di discriminare se si tratta di materia organica o inorganica.
Mediante questo mezzo, i delfini hanno nel corso dell’evoluzione costruito un vero e proprio linguaggio, forse fatto anche di dialetti, con cui comunicano e mantengono legami sociali e affettivi molto saldi tra i vari membri di un gruppo.
Il cervello di un delfino è più grande anche di quello di un essere umano, ma lo spessore del neopallio è inferiore a quello di un essere umano; comunque in termini d’intelligenza questi animali probabilmente lungo la scala zoologica, non sono inferiori agli scimpanzé.
Lo stomaco di un delfinide è suddiviso in camere, altra traccia di una probabile derivazione da mammiferi terrestri. Secondo alcuni scienziati, la presenza di uno stomaco suddiviso, come la presenza di un lungo intestino e di una flora batterica devota alla digestione della chitina che compone l’esoscheletro dei crostacei o le mascelle dei cefalopodi, un carboidrato simile alla cellulosa, il carboidrato per eccellenza delle piante, ne farebbe risalire l’origine a un progenitore ancestrale terrestre afferente agli ungulati.
L’acqua di mare, essendo salata, pone l’esigenza di adattamenti osmoregolativi nelle specie che vi abitano, per la differenza di concentrazione salina tra l’acqua e i liquidi interni. Per sopperire a questo disagio, i delfini e i cetacei in generale, possiedono reni molto efficienti, formati da unità funzionali detti “renuncoli” ; ciascun renuncolo è un piccolo rene formato da glomeruli, anse di Henle e tuboli contorti distali che permettono di espellere il sale in eccesso con i cataboliti concentrati e di conserva acqua, evitando la disidratazione, quello che accade a noi umani quando rimaniamo troppo tempo in mare, con la pelle delle mani che si raggrinza tutta.
I delfini sia tursiopi, che stenelle o delfini comuni, possiedono numerosi denti conici, da cui il nome del sottordine “odontoceti”, per un totale di circa 300, distribuiti sia nella mascella superiore, sia in quella inferiore, questi denti appuntiti rappresentano un tipo di nutrizione generalista, o eurifaga.
Questi mammiferi infatti si nutrono tanto di molluschi, come cefalopodi e crostacei, quanto di pesci, quindi sia di animali bentonici che pelagici.
Etologia-Biologia Riproduttiva
Animale caratterizzato da complessi moduli sociali, ancora poco conosciuti. Anche il comportamento riproduttivo è influenzato da fattori che dipendono dall’individuo (età, grado di socializzazione) e dalla situazione ambientale (area geografica, clima, disponibilità di cibo). Gli accoppiamenti sono di breve durata e possono essere preceduti da complesse fasi di corteggiamento e competizione tra maschi, spesso le traccie di combattimenti per una femmina vengono portate come segni e cicatrici sulla pelle dei maschi.
I delfinidi in genere, quindi anche il tursiope, si accoppiano ventre contro ventre, per un periodo molto breve. Il maschio compenetra la vagina della femmina con un pene, i cui testicoli sono alloggiati nell’addome in posizione ventrale rispetto i reni. La femmina presenta una vagina, che prosegue in utero suddiviso in due rami laterali, al termine di questi sono presenti gli ovidotti e infine le ovaie. Le mammelle sono alloggiate in due fessure, per evitare attrito durante il nuoto.
Per stabilire il sesso nei delfini (mentre nelle orche la pinna dorsale ha dimorfismo sessuale) si deve esaminare il ventre per la presenza o meno di queste fessure. La maturità sessuale giunge nelle femmine a 10 anni di vita, nei maschi a circa 13. Il periodo di gestazione è di circa 12 mesi, alla nascita il piccolo misura 0,85-1,22 m.
Una compagna assiste sempre la femmina nello sgravamento, per evitare che il piccolo neonato, che esce dalla coda, affoghi durante il parto, pronta a portarlo in superficie e restare accanto a lui, nei primi minuti di vita, per farlo respirare. L’allattamento dura 12-18 mesi; la stagione riproduttiva lungo le coste europee è in estate, lungo la costa della Florida è in primavera e autunno.
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