Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
Durante la fine dell’Era Paleozoica (detta anche Protozoica o Primaria, periodo Permiano) e l’inizio dell’Era Secondaria (detta anche Mesozoica), qualche cosa di sostanziale e fondamentale per l’evoluzione della vita animale, fino a quel momento evolutasi in ambiente acquatico, sia marino che di acqua dolce, stava per permettere la conquista definitiva della terraferma. Questo avvenne mediante la nascita dei Rettili (classe: Reptilia). Le prime forme di vertebrati, che parzialmente già sostavano sulla terraferma, appartenevano alla classe degli Anfibi (Amphibia), considerati dai biologi i più antichi vertebrati terrestri, o che sapevano muoversi anche su terra ferma, evolutisi probabilmente da un sottordine estinto di pesci, i Rhipidistia. Ma pur trattandosi d’animali in grado di respirare l’ossigeno atmosferico mediante i polmoni, gli anfibi erano e rimangono fortemente legati all’acqua.
Necessitano di pozze o comunque d’ambienti acquatici per riprodursi, deporre le uova e svolgere una parte del loro ciclo vitale, come lo sviluppo indiretto (larvale), dove l’animale passa, mediante metamorfosi, da un stadio di vita completamente acquatico, quello di girino che respira mediante branchie l’ossigeno disciolto in essa, alla forma adulta, in grado di svolgere anche vita terrestre.
Anche allo stadio adulto, oltre che per riprodursi, gli anfibi devono sovente fare ritorno all’ambiente acquatico per le caratteristiche istologiche della loro pelle, che non è in grado di trattenere l’acqua corporea. Si disidratano in fretta e non possono allontanarsene troppo frequentemente e per lunghi periodi.
I primi vertebrati, totalmente indipendenti dall’ambiente acquatico, che svolgono per intero il loro ciclo vitale sulla terraferma (nascita, sviluppo, maturazione sessuale, accoppiamento/riproduzione, morte), sono stati i Rettili (classe: Reptilia).
Questi animali, perfettamente adattati alla vita terrestre, si distinguono facilmente dagli anfibi, per la loro pelle squamosa, che li protegge dalla disidratazione e dall’essiccamento. A differenza degli anfibi, non hanno uno sviluppo indiretto, caratterizzato da stadi larvali.
I neonati mostrano già l’aspetto degli adulti e ne assumeranno, per accrescimento, le dimensioni. La respirazione è completamente polmonare, né branchiale, né cutanea.
La fecondazione è interna (endogena), anfigonica (per fusione di uno spermatozoo e una ovocellula). Ma alcuni biologi russi sembra abbiano osservato negli anni ’60 alcune lucertole, presenti nelle regioni montuose caucasiche, caratterizzate da una riproduzione per partenogenesi (riproduzione virginale), per cui un ovocita si attiva bilanciando il proprio numero di cromosomi, tale che passa da un valore aploide (n) a uno diploide (2n), in maniere equivalente a quello che avviene per mezzo dello spermatozoo durante l’Amfimissi (dal greco antico amfi = da ambo le parti e mixis = mescolanza), ad opera però, in questo caso, di stimoli ambientali (fisici, chimici o biologici) senza l’intervento del sesso opposto.
Anche se la maggior parte dei rettili depone le uova (ovipari), esistono specie vivipare in cui il feto si sviluppa in camere di gravidanza, uteri o appositi ovidotti presenti all’interno della madre.
Nasce già un piccolo completo e formato, che si accresce col tempo nella taglia.
Altre specie, possono avere una riproduzione definita ovovivipara, in cui si formano uova col guscio, che non vengono deposte nel terreno, ma permangono all’interno degli ovidotti, dove schiudono a un certo stadio dello sviluppo dell’embrione.
I frammenti del guscio vengono riassorbiti dalla madre e, i piccoli vengono nutriti e ossigenati tramite una onfaloplacenta digitiforme detta anche allantoplacenta.
Proseguono così il loro sviluppo all’interno del corpo materno e nascono in una forma equivalente a quella dei rettili Vivipari, cioè già completi morfo-funzionalmente. Esempi tipici di rettili dotati di questa particolare modalità riproduttiva sono la famosa Anaconda gigante (Eunectes murinus), endemica dell’America del Sud, e la Mabuya mabouya, un sauro lacertide endemico della foresta tropicale giamaicana. Come accade per i mammiferi all’interno dell’utero, per i rettili e gli uccelli l’embrione è racchiuso in un sacco pieno di liquido all’interno dell’uovo, detto amnios.
Ciò permette all’embrione di bere e svilupparsi sulla terra ferma, senza disidratarsi, in un sistema chiuso, l’uovo, protetto da un guscio costituito da sali di carbonato di calcio a struttura porosa
Questo tipo di uovo, comune a rettili e uccelli, definito dai biologi “cleidoico” rappresenta una delle chiavi di volta, che ha fatto dei rettili i primi vertebrati completamente indipendenti dai biotopi meramente acquatici.
Tutti i vertebrati aventi un sacco amniotico, che avvolge l’embrione in sviluppo, sono definiti amniotici o amnioti e sono rappresentati dai membri appartenenti alle classi dei rettili, uccelli e mammiferi. Gli altri, che non presentano tale membrana, sono definiti anamni o anamnioti e sono i membri della classe dei pesci e degli anfibi. Una escrescenza sacciforme del tubo digerente dell’embrione, l’allantoide, assorbe ossigeno dall’ambiente esterno e raccoglie i prodotti di rifiuto (CO2, orina) per allontanarli dall’area in cui si sta sviluppando.
Al contrario dei mammiferi e degli uccelli, che sono endotermi o entotermi, volgarmente detti a sangue caldo, i rettili, come gli anfibi e i pesci, sono animali a sangue freddo: non possono regolare la temperatura del loro corpo con mezzi interni, ad esempio mediante il metabolismo ossidativo delle sostanze nutritive assunte, ma la mantengono costante, cambiando posizione, cioè spostandosi dal sole all’ombra, o viceversa, di volta in volta. Per tale ragione, sono definiti pecilotermi o ectotermi.
A tale proposito occorre far presente che numerose specie di rettili, come del resto alcune specie di mammiferi (orsi, moscardini, ghiri, etc.), sono soggette a fenomeni di quiescenza, detti dai biologi ibernazione o letargo in inverno ed estivazione d’estate. In entrambi i casi la temperatura, troppo bassa o troppo alta, è uno dei meccanismi che induce tali fenomeni fisiologici, senza trascurare altre ragioni ecofisiologiche e etofisiologiche a cui si è adattata l’autoecologia (fisiologia ambientale) del singolo animale.
Se la temperature invernale diventa troppo bassa, o quella estiva troppo alta (con associata una carenza di cibo), per essere sopportata (senza subirne danni) da un rettile, associandosi anche variazioni dello stimolo fotoperiodico, determinate dalla riduzione o allungamento del periodo giorno/notte, fenomeno dipendente dalla distribuzione zoogeografica della specie e dall’evoluzione della curva astronomica percorsa dalla Terra, che ne scandisce il succedersi delle stagioni, l’insieme verrà tradotto in uno stimolo per l’animale a ibernarsi o ad estivarsi.
A questi fenomeni ecologici, si aggiungono altri fenomeni (a natura fisiologica), che pur se innescati dalle variazioni ecologiche, sono degli induttori fondamentali del letargo e dell’estivazione.
Ad esempio un aumento della concentrazione di CO2 nella tana dell’animale e un aumento del titolo ematico di melatonina (ormone secreto dalla ghiandola pineale), sensibili alle variazione di temperatura e fotoperiodo ambientale, contribuiscono a indurre i due fenomeni di cui sopra.
Sia durante il letargo, che durante l’estivazione, la curva termica del rettile, varierà in modo tale che la temperatura corporea sarà sempre 1-2° C al di sopra o al disotto di quella ambientale, per cui i fluidi biologici non percepiranno mai una temperatura di congelamento o di stress termico.
Il tasso metabolico scende a valori basali, prova ne è l’abbassamento della temperatura corporea, e vengono attivate le riserve epatiche di glicogeno e quelle dei grassi di deposito, per nutrire l’animale finché non sarà di nuovo in attività.
E per finire si abbassa notevolmente l’espressione, la secrezione e l’attività di molti enzimi digestivi, come proteasi, lipasi, glucosidasi, etc.
Di conseguenza, quando per esempio, coi dovuti permessi, si alleva per hobby in giardino la comune testuggine Europea ([Testudo hermanni o Testudo hermanni hermanni), bisogna sempre fornirgli un apposito ricovero per il letargo, che generalmente in Europa avviene verso febbraio.
Qualche giorno prima di entrare in letargo, l’animale spontaneamente mangerà sempre di meno fino a non nutrirsi più.
Spesso gli allevatori dilettanti commettono l’errore di forzare l’animale a nutrirsi, perché pensano che possa avere qualche patologia che ne determina l’inappetenza.
Niente di più sbagliato, perché se l’animale mangia prima di entrare in letargo, la ridotta attività digestiva che ne consegue, non permette al cibo assunto in eccesso d’essere digerito.
Questo andrà quindi in putrefazione, determinando infezioni setticemiche nell’animale, congestione intestinale, paralisi intestinale fino a portarlo alla morte durante il sonno.
Il cibo assunto spontaneamente dal rettile, prima di entrare in letargo, è sufficiente al suo fabbisogno metabolico.
Tutti i rettili, con qualche piccola variazione, presentano un cuore e una circolazione doppia, ma non completa.
Il cuore (miocardio) è caratterizzato da due atrii ed un ventricolo.
Per tale ragione, una parte del sangue venoso, proveniente dalla circolazione corporea (sistemica), si mescola nel cuore con quello ossigenato in provenienza dai polmoni.
La mandibola è formata da più ossa, anziché da un solo pezzo, come nei mammiferi e, risulta articolata al cranio mediante un osso, chiamato “quadrato”.
In genere i rettili presentano una dentizione polifiodonte e omodonte, cioè perdono continuamente denti e sono tutti eguali.
I denti persi, sono sostituti da altri e sono generalmente di forma conica, tutti eguali, tranne che negli ofidi (serpenti) velenosi, dove i denti veleniferi hanno proprie caratteristiche morfologiche funzionali, che li distinguono dagli altri presenti nel palato.
Per esempio l’essere umano è difiodonte, poiché dopo la nascita monta una prima dentizione di 20 denti, detta lattea o caduca, sostituita poi completamente, durante lo sviluppo e la maturazione, da una seconda dentizione definitiva, costituita da 32 denti, ed è eterodonte, poiché presentiamo denti di vario tipo e funzione, come i canini, gli incisivi, i premolari e i molari, sintomatici di un regime alimentare onnivoro. Nelle tartarughe e testuggini non sono presenti denti.
Nelle rare specie in cui si osservano, non sono denti veri e propri, con una radice. Per esempio nella testuggine azzannatrice, si tratta più di dentelli conici molto robusti.
Sicuramente le tartarughe marine non hanno denti, ma presentano astucci cartilaginei boccali molto robusti, chiamati “ranfoteche” con cui ad esempio mangiano meduse, calamari, crostacei, pesci etc.
Si fa presente che qualsiasi rettile, sia esso una tartaruga, un serpente un lucertola o un alligatore, non mastica, ma strappa il cibo e lo ingoia, alla stregua dei carnivori mammiferi (tranne l’essere umano).
Dal punto di vista dell’anatomia comparata, in biologia i rettili sono suddivisi in quattro fondamentali classi : gli Anapsida (i più antichi viventi, di cui fanno parte le tartarughe, le testuggini e i cotilosauri), i Diapsida, i Parapsida e i Sinapsida.
Anapsida significa “privi d’arco”. Le ossa post-orbitale e squamoso sono unite in modo da formare una superficie piana, senza fosse ne fessure o finestre, sono tipici delle tartarughe e delle testuggini.
Diapsida : vi appartengono i Loricati (coccodrilli, alligatori, gaviali, caimani) e i Sauri (lucertole), che presentano il cranio con due fori nella parte latero-posteriore.
Parapsida : hanno una sola finestra temporale, omologa alla finestra temporale superiore dei diapsidi. Questo tetto Dermico era tipico degli Ittiosauri e Plesiosauri, oggi estinti.
Sinapsida : hanno una sola finestra temporale, omologa alla finestra temporale inferiore dei diapsidi. Caratterizza i rettili della linea mammaliana: Pelycosauria e Therapsida.
In alcuni rettili terapsidi e nei mammiferi le ossa parietali scendono a ricoprire la finestra temporale, al cui posto rimane una depressione temporale, detta fossa temporale. In questi animali i muscoli masticatori hanno inserzione completamente esterna.
Tassonomicamente la classe dei Reptilia è suddivisa in 4 ordini :
►Testudines: testuggini, cioè le tartarughe terrestri e d’acqua dolce, e le tartarughe vere e proprie, che sono quelle a vita marina.
►Rhynchocephali: caratterizzato da una sola specie vivente lo Sphenodon punctatus che forma la famiglia Sphenodontidae. Era diffuso in tutta la Nuova Zelanda, ma oggi si trova solo sugli isolotti lungo la costa settentrionale dell’isola.
►Squamata: il gruppo dei rettili attualmente più evoluti. Ne fanno parte i sauri (lucertole) e gli ofidi o serpenti.
►Crocodilia: cioè i coccodrilli, gli alligatori, i caimani e i gaviali. Tra i rettili attuali, il coccodrillo sembrerebbe richiamare più da vicino i dinosauri estinti.
In questo testo ci soffermeremo più dettagliatamente sui membri dell’ordine dei Testudines.
In successive schede specifiche, tratteremo gli altri ordini dei rettili in maniera più precisa.
L’ordine dei Testudines è un gruppo primitivo.
Tutti i suoi membri (chelonomorfi) sono rimasti praticamente inalterati da 200 milioni di anni (Era Mesozoica) a oggi.
Posseggono un guscio composto di placche ossee coperte da scaglie cornee.
Esso forma una corazza superiore arcuata, il carapace ed una inferiore piatta, il piastrone.
Le costole, immobili e fuse col carapace, non collaborano alla respirazione, che si compie con l’aiuto dei muscoli addominali.
In questo caso i muscoli addominali svolgono una funzione equivalente, nella respirazione, a quella svolta dal diaframma nei mammiferi.
In più, nelle specie a vita marina, oltre l’O2 atmosferico, respirato mediante i polmoni quando l’animale affiora in superficie o è sulla spiaggia per la deposizione delle uova, in immersione parte dell’ossigeno (anche se in percentuale questo contributo non è grandissimo) proviene dall’acqua, che attraverso la cloaca raggiunge l’urodeo, riccamente vascolarizzato.
Questo, insieme a un metabolismo rallentato, che caratterizza sia le specie terrestri che le acquatiche, permette alle tartarughe marine di svolgere lunghe apnee a elevate profondità.
Senza dimenticare che, come negli anfibi, anche nei chelonomorfi, la faringe svolge una funzione di pompaggio dell’aria nei polmoni molto consistente.
L’apparato urogenitale, sia nelle specie terrestri che acquatiche, consta di una coppia di reni allo stadio di metanefro, detti reni uricotelici, reni ammoniotelici o reni ureotelici, che forma e fa espellere, in quelle terrestri, orina sotto forma di acido urico, come negli uccelli, e sotto forma di ammoniaca o urea in quelle acquatiche.
In più, nelle specie marine, sono presenti ghiandole per l’espulsione del sale, nella regione orbito-oculare.
Tali ghiandole permettono, quando l’animale (che è un osmoregolatore come tutti i vertebrati) si trova in ambiente terrestre, su una spiaggia, ad esempio durante l’accoppiamento o durante la deposizione delle uova, d’espellere l’eccesso di sale accumulato in mare.
Per tale ragione, romanticamente, si diceva in passato che le femmine di tartarughe marine piangevano mentre depositavano le uova. In realtà il liquido che esce è una soluzione salina ipertonica, necessaria per eliminare l’eccesso di sale.
Generalmente, sia nelle tartarughe che nelle testuggini, è presente un unico pene (nei serpenti è un organo pari, ne usano uno alla volta nell’accoppiamento), che è mantenuto in erezione durante la copulazione ad opera di una congestione indotta dal liquido linfatico, presente nei vasi e pliche linfatiche e dal sangue che lo irrora attraverso i vasi sanguigni.
Ha una struttura che presenta un scanalatura centrale, dove passa lo sperma, deposto attraverso la cloaca nell’urodeo femminile.
La fase di accoppiamento è caratterizzata da riti nuziali, che variano da specie a specie.
Brevemente riferendoci alle fasi finali di questi e trattando tali rituali nelle apposite schede, il maschio aggancerà la femmina con gli arti anteriori, mordendola e compenetrando più volte la cloaca col pene.
Lo sperma in alcune specie di rettili, come i boidi, può essere conservato anni nell’ovidotto di una femmina (anche fino 25 anni !) e essere ancora in grado di fecondare l’ovocellula.
Nei Testudines si mantiene diversi mesi.
Pur avendo un uovo simile, si fa presente che i rettili, contrariamente agli uccelli, non hanno il processo di cova nel loro ciclo riproduttivo. Le cure parentali sono ridotte al minimo.
Generalmente, sia che si tratti di chelonomorfi, sauri, ofidi, o loricati, la madre depone le uova in una tana scavata nella terra, sabbia, argilla, torba, o li pone in uno pseudo nido. Questo viene costruito in maniera molto primitiva rispetto gli uccelli.
Per nasconderle ai predatori, le uova vengono per esempio celate nel cavo di un tronco d’albero, o in un anfratto, coibentandolo con foglie, terra, sabbia e torba, per mantenere costante la temperatura d’incubazione. Dopo di che la madre le abbandona.
In una sola specie di rettili, i biologi hanno osservato finora la femmina covare le proprie uova, sebbene in maniera originale. Si tratta del Pitone Indiano delle rocce (Python molurus bivittatus) famiglia dei Boidae. In questa specie la femmina depone una cinquantina di uova, che poi circonda, avvolgendovisi intorno. Quindi, aumentando la frequenza della contrazione delle spire del corpo, aumenta la sua temperatura corporea, fornendo alle uova la giusta temperatura di cova e incubazione.
In ultimo, nei chelonomorfi, come nello Sphenodon è presente un organo sensoriale, che raggiunge il massimo grado di sviluppo negli ofidi e nei sauri, situato sotto forma di due fossette, nella volta del palato, che è chiamato ” Organo Vomero-Nasale di Jacobson “, dal nome del biologo che nella prima metà dell’800 lo descrisse.
Tale organo di senso, presente seppur con minor sviluppo, anche nei mammiferi, permette ai rettili di percepire odori e sapori di particelle organiche presenti nell’atmosfera, come in acqua o nel terreno, in concentrazioni infinitesimali, dell’ordine di parti per milioni (p.p.m).
L’ordine dei Testudines, si suddivide in due sottordini : i Crittodiri (Cryptodira), le tartarughe che retraggono il capo entro il guscio flettendo il collo, ed i Pleurodiri (Pleurodira) che retraggono la testa nel carapace, piegando il collo lateralmente.
►Sottordine Cryptodira. Conta 10 famiglie:
♦ Chelydridae : dette testuggini alligatori o chelidre, che vantano 23 specie.
Vivono sul fondo di stagni e fiumi, nelle regioni calde del Nuovo Mondo.
Tra queste troviamo la Tartaruga orientale (Kinosternon subrubrum), di casa nella parte orientale dell’America del Nord. Presenta un piastrone articolato e si nutre di pesci, rettili.
Anche la Testuggine alligatore (Chelydra serpentina) vive nel Nord America. Principalmente carnivora, si nutre di pesci e rettili, ma anche di piccoli mammiferi e uccelli.
È molto aggressiva, sia sott’acqua che su terraferma. Raggiunge i 36 cm e può con un morso recidere la mano di una persona.
Superfamiglia Testudinoidea
♦ Emydidae : 80 specie circa. Sono endemiche delle aree più calde del globo, tranne che in Australia, in quasi tutta l’Africa e Madagascar. Sono presenti due specie anche in Europa, le quali vivono per lo più vicino o all’interno di corsi d’acqua. Ciò connota il fatto, che sono specie acquatiche o semi acquatiche.
Diversamente dalle specie prettamente terrestri, sono a regime specificamente carnivoro; si nutrono di pesci, sauri, grossi invertebrati (gasteropodi, crostacei, anellidi) anfibi e carcasse di mammiferi.
Sono piuttosto aggressive e voraci.
Come per le specie di testuggini terrestri, il dimorfismo sessuale, si evince dalla coda, di dimensioni maggiori alla base e più lunghe nei maschi che nelle femmine e da differenze nella forma e colorazione del carapace e nelle dimensioni (maggiori nei maschi) delle unghie.
Le femmine depongono, in una buca, riempita di residui e frammenti vegetali, da 5 a 17 uova a morfologia allungata con guscio più robusto che nei membri di altre famiglie.
I piccoli presentano inizialmente un guscio più armonico e rotondo, con colorazioni più brillanti, il quale durante lo sviluppo e la crescita, diventerà più spigoloso.
Due specie molto note sono la Trachemys scripta (sottofamiglia Deirochelyinae) e la Emy orbicularis (sottofamiglia Emydinae).
Esempi sono la Crisemide (Crysemys picta), che vive nell’ America del Nord, dal Canada agli Stati Uniti meridionali.
Ha un guscio verdastro e strisce rosse sul capo.
Queste graziose tartarughe sono spesso allevate come animali domestici. Ma liberate purtroppo incautamente, hanno invaso l’Europa come specie aliena. Aggressive e dotate di un alto tasso di prolificità, stanno creando seri problemi alle tartarughe autoctone, con cui sono in competizione per l’ecologia alimentare sovrapposta. Hanno un regime frugivoro, vegetariano, ma possono nutrirsi anche di molluschi terrestri.
Testuggine palustre (Emys orbicularis), vive soprattutto nel Sud dell’Europa, ma può spingersi verso Nord, fino alla Germania settentrionale. Ha regime alimentare vegetariano, insettivoro, e frugivoro.
La specie Pseudemys floridana , tartaruga di acqua dolce, comune nel Sud degli Stati Uniti e nel Messico, si nutre di detriti vegetali, humus che mangia uscendo dall’acqua e foglie morte. Sono animali apatici, pigri, che si scaldano al sole sui tronchi galleggianti. I biologi pensano che il calore solare, aiuti la loro digestione e li liberi dai parassiti.
♦ Testudinae : le testuggini terrestri e acquatiche, con 115 specie. Questa famiglia comprende le forme più comuni di testuggini terrestri e d’acqua dolce. Quelle di terra, sono diffuse in tutte le regioni calde del mondo, tranne l’Australia, e in tutti gli ambienti e biotopi terrestri, dai deserti alle foreste tropicali fino alle isole oceaniche. Generalmente presentano zampe tozze con artigli, lo scudo è convesso.
La Testuggine leopardina (Geochelone pardalis) vive nelle regioni dell’Africa meridionale e orientale. Può raggiungere i 58 cm di lunghezza. Presenta un regime alimentare frugivoro, erbivoro ma può nutrirsi anche di insetti e molluschi terrestri, come i gasteropodi.
Una specie prettamente Isolana, che è un discendente colonizzatore, è la Tartaruga gigante delle Aldabra, detta anche delle Seychelles (Dipsochelys elephantina), atollo corallino incontaminato che affiora nell’Oceano Indiano, quasi non toccato dall’uomo. Deriva forse da una specie ora estinta, giunta per mare dall’India. Ha dimensioni enormi.
♦ Geoemydidae, note anche come Bataguridae, sono testuggini utilizzate come ornamento, dette anche le Ornate Wood Turtle, sono endemiche soprattutto del centro America, ove si trovano in libertà in tutte le foreste pluviali del Nicaragua, Messico, Guatemala, Panama e Costa Rica.
Vengono utilizzate (non facendo parte della red list of threatned endangered species della IUCN), per il commercio, come animali da ornamento.
Il colore del carapace, presenta un’ampia gamma di combinazioni cromatiche.
Generalmente però, quelle del Nicaragua del sud, presentano colori meno brillanti di quelle del Costa Rica, i cui esemplari sono tra quelle aventi il carapace con colori più brillanti.
Alcuni tra gli esemplari più caratteristici di queste aree, presentano ocelli neri, intorno agli occhi, con spruzzi di arancione-giallo a varie gradazioni e il piastrone, può essere bagnato di rosso o rosa.
Gli adulti, possono raggiungere i 20 cm di lunghezza.
Una specie particolare, la Black Wood Turtle (Rhinoclemmys funerea) vanta gli esemplari più grandi della famiglia e raggiunge i 35-38 cm di lunghezza.
Altre specie molto commercializzate sono la Brown Wood Turtle (Rhinoclemmys annulata), la Rhinoclemmys areolata, nota come Furrowed Wood Turtle, la Rhinoclemmys diademata, detta Diadem Wood Turtle, e le razze o sottospecie Rhinoclemmys punctularia punctularia e Rhinoclemmys punctularia flammigera .
Sono semi-terrestri, poiché gli piace vivere in zone molto umide, con vicino almeno una pozza d’acqua anche fangosa, dove spesso si bagnano durante il giorno. Sono onnivore, poiché si nutrono sia di bacche, erba, frutti come anche di insetti, artropodi e sono particolarmente ghiotte di ortotteri (grilli, cavallette, locuste) ma anche di piccoli mammiferi, come ghiri e di piccoli sauri, si nutrono molto volentieri anche di lombrichi e lumache.
Superfamiglia Trionychoidea
♦ Carettochelydae: conta una sola specie, il Charettochelide (Carettochelys insculpata).
Questa rarissima testuggine vive nei fiumi della Nuova Guinea. Ha guscio completamente osseo, non ricoperto da scaglie cornee, lungo fino a 40 cm.
Si nutre principalmente di insetti, larve, artropodi e molluschi d’acqua dolce, ma può attaccare anche pesci d’acqua dolce.
♦ Trionychidae: questa particolare famiglia annovera 22 specie, spiccatamente acquatiche, che vivono nelle acque dolci dell’America del Nord e dell’Asia e non posseggono scaglie ossee.
Un noto rappresentante è il Trionice (Trionyx spiniferus) che vive nella zona orientale dell’America del Nord. Si nutre di insetti acquatici e di gamberi d’acqua dolce; raggiunge i 40 cm di lunghezza.
La Trionyx ferox, della Florida ha un muso allungato con cui può respirare, anche se totalmente immersa nell’acqua. Feroce, aggressiva e con uno scudo di pelle coriacea, senza protezione cornea, è comunque predata dagli alligatori e caimani.
Superfamiglia Kinosternoidea
♦ Dermatemydae: conta una sola specie, la Dermatemide (Dermatemys mawi).
Si conosce poco sulla biologia di questa tartaruga, lunga fino a 30 cm, che vive nei fiumi della costa del Messico e del Guatemala.
♦ Kinosternidae: 25 specie circa.
Sono le Testuggini di dimensione minori.
Possono raggiungere al massimo 26 cm di lunghezza, alcune sono lunghe solamente 14 cm.
I maschi presentano una coda più lunga delle femmine e larga alla base, sebbene sono più piccoli delle femmine nella dimensione corporea, segni di dimorfismo sessuale.
Sono dette anche “testuggini del muschio”, perché i maschi emettono dalle ghiandole perianali un odore simile a quello del muschio. Si tratta di un feromone sessuale.
Altre, per lo stile di vita che praticano, sono dette “testuggini del fango”. Il carapace può essere di colore giallastro, nero, marrone o verde oliva.
Sebbene la maggior parte delle 25 specie non presenti marcatura del guscio, alcune mostrano striature nere. Molte specie presentano invece striature gialle ai lati del capo.
Sono endemiche del Nord e Sud America, specificamente di aree paludose e umide.
Sono prettamente carnivore, alimentandosi di crostacei, molluschi, anellidi, pesci, insetti, rettili, anfibi e carogne. Sembrerebbe, in particolare per la Central American mud turtle (Kinosternon angustipons), che alcune di queste testuggini presentino qualche forma di cura parentale.
Il biologo americano Legler, nel 1965 in Nebraska, ha osservato che la femmina di Kinosternon angustipons , dopo aver deposto quattro-cinque uova in una buca scavata nel fango, durante la tarda primavera, inizio estate, rimaneva vicino loro, abbandonandole solo per nutrirsi. E prima di farlo, orinava spesso su di esse, per camuffarne l’odore ai predatori, specialmente varie specie di serpenti.
Altre specie sono la Kinosternon scorpioides, Kinosternon subrubrum definite sempre tartarughe del fango e la Sternotherus carinatus e la Sternotherus depressus, definite tartarughe muschio.
Superfamiglia Chelonioidea
♦ Chelonidae : sono le tartarughe marine, con 5 specie. I membri di questa famiglia, spiaggiano solo per la riproduzione. L’accoppiamento può avvenire in mare o sulla spiaggia, secondo la specie. Rispetto le testuggini terrestri, i robusti arti anteriori sono conformati a pinna e il corpo è affusolato in direzione antero-posteriore. La testa non può ritirarsi nel guscio.
Esempi sono la Tartaruga franca o verde (Chelonia mydas), che vive in tutti i mari caldi. In Malesia le aree di riproduzione sono protette in parchi naturali marini. Pesa fino a 450 kg e può raggiungere i 120 cm.
È l’unico rettile in grado di compiere lunghe migrazioni. Negli anni ’70 fu fatto un esperimento sul campo. Alcuni biologi contrassegnarono vari esemplari di Chelonia mydas sull’Isola di Ascensione, che furono ritrovati a 3.500 km di distanza, al largo delle coste del Brasile.
Le altre tartarughe marine, compiono viaggi anche di centinaia di chilometri, ma inferiori a queste migrazioni. Si nutre di cefalopodi, echinodermi (stelle marine), gasteropodi, ricci di mare e alcuni tipi di pesci.
La Caretta caretta vive in acque temperate, come nel mare Mediterraneo, ed è in serio pericolo d’estinzione. La IUCN e la CITES ne monitorizzano costantemente la popolazione, con a una rete informatica (Tartanet) attraverso cui i biologi dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo ne registrano i vari avvistamenti.
Il mare caldo della Grecia è un habitat formidabile per le Caretta caretta che vanno a deporre le uova sulla spiaggia di Lagana nell’isola di Zante o nella baia di Mounta a Cefalonia.
La specie, come accennato è fortemente minacciata in tutto il bacino del Mediterraneo e ormai a limite dell’estinzione nelle acque territoriali italiane.
Alla nascita, la Caretta caretta è lunga circa 5 cm. La lunghezza di un esemplare adulto è di 80-140 cm, con un peso variabile tra i 100 ed i 160 kg.
La testa è grande, col rostro molto incurvato.
Gli arti sono molto sviluppati, specie gli anteriori e muniti di due unghie negli individui giovani, che si riducono ad una negli adulti. Ha un carapace di colore rosso marrone, striato di scuro nei giovani esemplari, e un piastrone giallastro a forma di cuore, spesso con larghe macchie arancioni.
Anche questa specie sfrutta l’homing durante il periodo degli amori per fare ritorno al luogo di nascita, ove le femmine deporranno le uova.
L’accoppiamento e la deposizione, avvengono sulla spiaggia.
Depongono fino a 100-200 uova bianche, con guscio morbido, grandi come palline da ping-pong, disponendole in buche profonde anche 50 cm, scavate con le zampe anteriori.
Quindi le ricoprono con cura, per garantire una temperatura d’incubazione costante e per nascondere la loro presenza ai predatori.
Completata l’operazione fanno ritorno al mare. Un rito che si può ripetere più volte nella stessa stagione, ad intervalli di 10-20 giorni.
Le uova, hanno un periodo d’incubazione di circa 6-7 settimane e, grazie a meccanismi non ancora chiari ai biologi, si schiudono tutte simultaneamente.
Se la temperatura d’incubazione supera i 28° C, dalle uova nasceranno delle femmine, al di sotto di questa temperatura nascono invece dei maschi.
I piccoli per uscire dal guscio utilizzano una struttura particolare, presente anche negli uccelli: il “dente dell’uovo”, che verrà poi riassorbito in un paio di settimane. Usciti dal guscio impiegano dai due ai sette giorni per scavare lo strato di sabbia che sormonta il nido e raggiungere la superficie.
Quindi, in genere col calare della sera, si dirigono verso il mare, probabilmente guidati dall’odore dell’acqua e dalla luce riflessa della Luna e delle stelle sulla superficie marina.
Dell’enorme numero di piccoli di tartaruga, che si spostano goffamente per raggiungere nell’oscurità il mare aperto, solo una piccola percentuale sopravvive, poiché diversi predatori sono in agguato. Uccelli marini (pellicani, albatri, berte), ma anche mammiferi come volpi, gatti selvatici e rettili (ofidi, sauri) che sapendo quando l’evento accade si appostano nei dintorni.
Purtroppo anche l’essere umano fa parte di questi predatori, solo che non lo fa per necessità nutritive, ma a scopo puramente commerciale.
Appena giunte al mare, le giovani tartarughe nuotano ininterrottamente, anche 24 ore, per allontanarsi il più possibile dalla costa e raggiungere la piattaforma continentale dove le correnti concentrano una grande quantità di cibo.
In quali luogo esattamente trascorrano i primi anni della loro vita, è un mistero che i biologi non sono ancora riusciti a svelare. Solo dopo alcuni anni di vita, raggiunte dimensioni che le mettono al riparo dai predatori, fanno ritorno alle zone costiere.
In acqua possono raggiungere velocità superiori ai 35 km/h, nuotando agilmente con il caratteristico movimento sincrono degli arti anteriori. Si nutrono principalmente di meduse e salpe nelle acque profonde, mentre in quelle meno profonde di granchi, ricci e molluschi.
Dopo aver respirato O2 atmosferico, mediante polmoni, sono in grado di rimanere in apnea anche per 30 minuti fino a 300 m di profondità. Sono animali che preferiscono fare vita bentonica, riaffiorando solo per respirare.
♦ Dermochelydae: contano una sola specie, la Sfargide (Dermochelys coriacea).
Questa tartaruga pesa fino a 500 kg, raggiungendo i 2 m di lunghezza, e a differenza delle altre specie marine presenta una pelle coriacea. Vive nei mari caldi, dove si nutre di meduse e tunicati, ma è ormai assai rara.
Come le altre tartarughe marine, si riproduce deponendo le uova in tane scavate nella sabbia, nelle stesse spiagge in cui le madri sono nate. Un fenomeno che per la sua misteriosa perfezione era quasi definito soprannaturale dai biologi che l’osservarono agli inizi dell’ 800.
Oggi, dati sperimentali alla mano, i biologi stanno identificando le modalità nautiche che permettono alle tartarughe marine (maschi e femmine) di rintracciare, a migliaia di chilometri di distanza, il punto in cui sono nate e farvi ritorno. Si basano probabilmente su un insieme di meccanismi che sfruttano il campo geomagnetico, percepito mediante cristalli di magnetite presenti nel cervello, sulla capacità di riconoscimento della disposizione astronomica delle stelle nel firmamento, e nel saper discriminare la direzione e il verso delle correnti marine d’acqua calda e fredda, e delle onde. Quel processo generale di navigazione e, di volo per gli uccelli, va sotto il nome inglese di homing (autoguidato, diretto a casa).
La corazza della Dermochelys coriacea appare liscia, perché, a differenza di quella delle altre tartarughe, è un mosaico di piccole piastrine ossee nascoste nella pelle. Le altre tartarughe hanno invece degli scudi cornei derivanti dallo strato epidermico. Una sostanza volgarmente nota come “tartaruga” che ne ha causato, in passato, una caccia spietata.
►Sottordine Pleurodira.
I pleurodiri, le testuggini che retraggono la testa nel carapace piegando il collo lateralmente, si suddividono in 3 famiglie :
♦ Chelidae: 31 specie di casa nell’America del Sud, in Australia e Nuova Guinea. Un tipico esempio può essere la Chelodina longicollis, che misura fino a 30 cm di lunghezza, vive nei fiumi dell’Australia Orientale e si nutre di pesci.
La Tartaruga pescatrice (Chelus fimbriatus) dell’America del Sud, ha un muso lungo e, intorno alle mascelle, delle escrescenze carnose che attraggono le prede (pesci, anfibi), simulando a sua volta una loro preda.
La struttura del carapace, che gli fa assumere la conformazione di una foglia, con colorazione giallo-oro, tipica di una foglia matura caduta in acqua (fenomeno di mimetismo Bathesiano), associata a una capacità che hanno di rimanere immobili, permette alla preda di avvicinarsi ignara del pericolo. Quando questa è vicina, l’animale apre improvvisamente la bocca e, la risucchia ingoiandola.
Superfamiglia Pelomedusoidea
♦ Pelomedusidae: 14 specie dell’America del Sud, dell’Africa e del Madagascar. Il collo viene nascosto dalla pelle quando il capo è retratto. Un esempio è il Podocnemis unifilis, che vive nei fiumi dell’America del Sud nutrendosi di pesci, molluschi e crostacei d’acqua dolce, raggiungendo i 70 cm di lunghezza.
♦ Pedocnemididae: Diffuse in Madagascar e nella parte settentrionale dell’ America del Sud. Hanno la caratteristica tipica del sottordine dei Pleurodira di non retrarre la testa nel carapace, ma di ripiegare il collo di lato in maniera tale che la testa, viene protetta dal carapace.
Vivono (particolarmente quelle della parte nord del Sud America) lungo i corsi d’acqua, fiumi, ruscelli, ma possono vivere in prossimità anche di grandi laghi o pozze d’acqua ma anche nelle paludi tipiche del Sud America.
Vivono generalmente in acqua, ma possono spingersi, ad esempio quelle sudamericane, all’interno delle foreste pluviali. In Madagascar, vivono nelle foreste costiere e si ritrovano anche lungo le coste dell’Africa orientale.
Questi rettili sono preferenzialmente vegetariani e frugivori. Infatti si nutrono di piante acquatiche, erba, frutti che cadono dagli alberi a terra, o in acqua e si nutrono molto volentieri anche di piante grasse.
Possono anche mangiare larve acquatiche di insetti, come insetti stessi e piccoli pesci e crostacei.
Il comportamento è in relazione all’habitat dove vivono. Alcune preferiscono sostare sempre nell’acqua di ambienti acquatici lotici (fiumi, ruscelli), altre sulla riva, alcune in pozze di acqua stagnante, ma in tutti i casi, le femmine in prossimità della deposizione delle uova, scavano una buca sulla riva ove le depongono.
Il carapace può raggiungere fino a 1 m di lunghezza, quindi sono molto grandi, solitamente è di colorazione marrone, alcune volte maculato nero-verde. Purtroppo la carne e le uova di queste testuggini sono molto richieste sul mercato, per cui sono spesso soggette alla caccia. Una delle specie più note è la Podocnemis expansa con un carapace lungo fino a 80 cm, altre sono la Podocnemis unifilis e la Podocnemis vogli.
Resti fossili di scheletro e carapace, trovati dai biologi nella foreste settentrionali del Sud America durante gli anni ‘ 60, hanno portato alla luce l’esistenza, durante l’era Quaternaria (periodo Pliocene inferiore, circa 3 milioni di anni fa) di un progenitore dei membri di questa famiglia, chiamato Stupendemide (genere Stupendemys), con un carapace lungo fino a 2 m e che visse in Venezuela e Brasile.
Sulle isole formanti l’arcipelago delle Galapagos, il biologo inglese Charles Darwin, fece durante il suo viaggio (come ufficiale scientifico di bordo) sul brigantino Beagle, l’incontro con la grande testuggine terrestre (Geochelone elephantopus), la quale può raggiungere i 2 m di lunghezza del carapace per 500 kg di peso.
La sua popolazione era quasi estinta, durante gli anni ‘ 60 perché furono importati, numerosi capi di capre, le quali avevano, brucando, quasi del tutto eliminato le forme vegetali di cui si nutrono. Ad oggi i biologi stanno riuscendo, con programmi di Taxon Advisory Group e di Biologia della Conservazione, a ripopolare la specie. Possono vivere, riproducendosi, anche fino a 90-100 anni.
A tale proposito, bisogna far presente che i biologi erpetologi, a seconda dell’isola su cui si trovano, nelle Galapagos, hanno notato che tali testuggini, presentano una forma del carapace diversa. Queste sono state identificate, come razze o sottospecie della specie Geochelone elephantopus. Le differenze tra i loro scudi dorsali, mostrano come popolazioni derivate da un unico ceppo, tendano a differenziarsi per isolamento geografico specializzazione “Allopatrica”.
Gli individui, con scudo a forma di sella vivono su alcune isole dell’arcipelago, quelli con scudo a cupola, su altre; comunque i biologi suppongono, che tutte derivino da un unico antenato il Geochelone elephantopus.
Sottospecie:
Geochelone elephantopus abingodoni: Isola Pinta.
Geochelone elephantopus phantastica: Isola Isabella.
Geochelone elephantopus elephantopus: Isola Fernandina.
Geochelone elephantopus ephippium: Isola Pinzon.
Geochelone elephantopus galapagoensis: Isola Floreana.
Geochelone elephantopus nigita: Isola Chaves.
Geochelone elephantopus hoodensis: Isola Espanola.
Geochelone elephantopus chathamensis: Isola San Cristobal.
Geochelone elephantopus wallacei: Isola Rabida.
Geochelone elephantopus darwini: Isola Santiago.