Famiglia : Asteraceae
Testo © Eugenio Zanotti
Il genere Tanacetum comprende, a seconda degli Autori, 154-160 specie diffuse nelle regioni temperate dell’emisfero settentrionale. Il Tanaceto (Tanacetum vulgare L. 1753), noto anche come Tanéda, Danéda, Erba amara selvatica, Aniceto e Atanàsia ha probabilmente origine asiatica. La sua attuale distribuzione è euroasiatica (Europa, Asia minore, Caucaso, Siberia, fino al Giappone) ed è naturalizzato nell’America boreale.
Il nome del genere Tanacetum deriva dal latino medioevale “tanazita” che a sua volta risale al greco ”athanasia” = immortalità, con riferimento alla lunga durata dei fiori che si conservano senza appassire; in altri testi si fa riferimento alla credenza che le bevande fatte con le foglie di questa pianta conferissero vita eterna. Una leggenda narra che il tanaceto fosse la causa dell’immortalità del bellissimo Ganimede, servo di Zeus.
Il nome della specie vulgare = comune in latino, aggiunge che è una pianta molto diffusa.
È una pianta erbacea perenne, alta mediamente da 50 a 150 cm, glabra o poco pelosa, con forte odore aromatico, fornita di un rizoma quasi legnoso, ramificato, strisciante, da cui si sviluppano numerosi fusti eretti, angolosi, spesso più o meno bruno-porporini, fogliosi, semplici fino all’inflorescenza.
Foglie alterne, grandi (25-25 x 5-10 cm), oblunghe, le basali fornite di un picciolo di 5-15 cm, quelle cauline sessili, con piccole lacinie basali, pennatosette e con rachide dentata e segmenti pennato-partiti, con bordo seghettato e superficie punteggiato-ghiandolosa.
I fiori, raccolti in corimbi composti terminali, sono portati in capolini emisferici (Ø 8-11 mm) avvolti da squame involucrali embricate, coriacee, ottuse, pallide, scariose all’apice. I fiori sono tutti tubolosi, gialli, i centrali ermafroditi, i periferici femminili. La fioritura si protrae da luglio a settembre ed è in questo periodo (soprattutto in luglio) che va effettuata (tempo balsamico) la raccolta dei capolini, da esiccare per gli usi terapeutici per gli usi terapeutici che, diciamo subito, sono di esclusivo impiego sotto controllo medico data la tossicità dei componenti attivi di questa specie. I frutti sono acheni (1,5 mm) obconici, 5-costati, con breve coroncina lobulata, glandulosi.
Il tanaceto cresce abitualmente lungo le sponde dei corsi d’acqua, ai bordi delle strade campestri e nei luoghi incolti, nelle praterie e nei pascoli, soprattutto su terreno acido. È spesso coltivato per ornamento (segnatamente nella sua bella varietà crispum, impiegata con altre 32 erbe nella fabbricazione del celebre liquore Alpestre o Arquebuse) o come pianta medicinale-aromatica ed inselvatichisce nei dintorni.
È una specie che si moltiplica facilmente dividendo i vecchi cespi in primavera o in autunno, oppure per seme nelle stesse stagioni.
I principi attivi del tanaceto sono rappresentati soprattutto da un olio essenziale contenente tujone (fino al 70%), tanacetone, lattoni sesquiterpenici (possono causare fitodermatosi da contatto!), una canfora, borneolo, pinene ed acidi organici.
A dosi terapeutiche i preparati a base di tanaceto sono un buon antielmintico contro ascaridi ed ossiuridi; possiedono inoltre proprietà emmenagoghe e, per uso esterno hanno azione vulneraria, ovvero cicatrizzante sulle ferite e sulle piaghe. Sono impiegati anche in medicina omeopatica ed in dermatologia per rivitalizzare la pelle senescente.
Nelle campagne dove la pianta era frequente se ne raccoglievano mazzi per stenderla nei pollai, nei canili, nelle gabbie dei conigli come repellenti contro acari, pulci, e zecche, così come nei granai per allontanare gli insetti che si nutrono di cariossidi ed i topi, nonché negli armadi contro le tarme. Ancora oggi numerosi prodotti insetticidi, soprattutto per l’agricoltura biologica, sono a base di tanaceto. Il decotto di fiori serve a colorare la lana (previa mordenzatura con allume e cremor tartaro) di un bellissimo colore giallo.
In Inghilterra questa pianta è usata in piccola quantità, per aromatizzare un dolce tradizionale, consumato nel periodo di Pasqua. Nell’area mediterranea si ne metteva un pizzico di foglia triturata nei minestroni e nelle frittate.
Sono stati segnalati numerosi casi d’intossicazione per l’uso in cucina di foglie e fiori freschi come aromatizzanti in eccessiva quantità così come per impiego terapeutico in dosi o assunzioni elevate. Ciò ha causato dolori addominali, vomito, gastroenterite, emorragie interne, aborti, lesioni renali ed epatiche molto severe. Raccomandiamo ancora quindi di astenersi dall’uso famigliare di questa pianta, che va usata con grande cautela sotto stretto controllo medico.
Sinonimi: Chrysanthemum vulgare (L.) Bernh.(1800); Pyrethrum tanacetum (L.) Boiss. (1875); Chrysanthemum vulgare var. boreale Fisch. Ex DC.) A. Löve & D. Löve (1976).
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