Famiglia : Sphenodontidae
Text © Prof. Giorgio Venturini
Lo Sphenodon punctatus, o Tuatara nella lingua dei Maori, è l’unico rappresentante vivente dei Rincocefali, uno dei quattro ordini di rettili oggi viventi (o meglio cinque se includiamo tra i rettili anche gli uccelli secondo l’opinione di molti studiosi moderni). L’ordine dei Rincocefali (Rhynchocephalia) dal greco (ρυγχος) “rynkos” = becco e (κεφαλε) “kefale” = testa, quindi con la testa a becco), che comprendeva numerose famiglie che occupavano habitat diversi, ebbe il suo massimo sviluppo nel periodo mesozoico, quindi contemporaneamente ai dinosauri, e si è praticamente estinto circa 60 milioni di anni or sono.
Intorno ai 100 milioni di anni or sono l’antico continente Gondwana si stava frammentando e la Nuova Zelanda, unico attuale habitat del tuatara, si stava separando all’Australia. In questo modo probabilmente alcuni progenitori degli Sfenodonti rimasero isolati in una terra in cui erano assenti i mammiferi terrestri e dove mancavano anche altri importanti predatori e competitori (unico fossile di mammifero terreste noto, a parte i pipistrelli, è il piccolo e arcaico mammifero di Saint Bathans, scomparso nel Miocene). Questa è probabilmente la causa che permise la sopravvivenza del Tuatara fino ai nostri giorni senza andare incontro a sostanziali cambiamenti, mentre nel resto del mondo i rincocefali andavano incontro all’estinzione. Una situazione analoga si è verificata per altri animali endemici della Nuova Zelanda, in particolare per le diverse specie di uccelli inetti al volo come i Kiwi (Apteryx), il Weka (Gallirallus australis), il Kakapo (Strigops habroptila) o i Moa (Dinornis) questi utimi estinti in tempi storici.
In Nuova Zelanda sono stati trovati resti fossili di rincocefali simili allo sfenodonte risalenti al tardo Pleistocene (circa 30 mila anni) e al Miocene (19-16 milioni di anni), in accordo con l’ipotesi che gli antenati del tuatara fossero presenti nelle terre che, separandosi dalla massa continentale del Gondwana hanno dato origine alla Nuova Zelanda.
Al contrario se, come suggeriscono alcuni studi recenti, la Nuova Zelanda è stata completamente sommersa intorno ai 25 milioni di anni or sono, si deve ammettere che degli sfenodonti ancestrali, trasportati alla deriva sull’oceano a partire da un’origine ignota, abbiano colonizzato nel miocene le isole neoformate.
Questo rettile endemico della Nuova Zelanda, morfologicamente somigliante ad una grossa lucertola, è da molti considerato come un fossile vivente, cioè come il rappresentante di una specie di origini antichissime che è rimasta invariata per molti milioni di anni.
Questo punto di vista non è però condiviso da alcuni studiosi sulla base dell’osservazione che molte delle caratteristiche morfologiche del tuatara attuale non sono identiche a quelle delle forme fossili e sono invece sono il risultato di specializzazioni avvenute nel corso di innumerevoli millenni. Inoltre le analisi del genoma mitocondriale mostrano in questa specie una velocità di evoluzione molecolare superiore a quella di molti altri vertebrati.
Il termine “sphenodon” deriva dal greco (σφήν) “sphen” = cuneo and (ὀδούς) “odous” = dente, quindi denti a forma di cuneo. “Punctatus” in latino significa punteggiato. Tuatara nella lingua maori degli indigeni della Nuova Zelanda significa “spine sul dorso”. In passato venivano riconosciute due diverse specie di sfenodonti: lo Sphenodon punctatus e lo Spenodon guntheri, presente nell’isola Brothers localizzata nello stretto di Cook, caratterizzato da taglia minore e da una diversa pigmentazione. Oggi viene riconosciuta una sola specie con due sottospecie: Sphenodon punctatus punctatus e Sphenodon punctatus guntheri (Il nome gunteri è in onore dell’erpetologo Albert Günther). Prima che gli uomini, cioè i Maori, arrivassero in Nuova Zelanda, probabilmente tra il 1280 e il 1300 DC, il Tuatara abitava sia la terra ferma delle due isole principali, quella del Nord e quella del Sud, che numerose isole minori, come dimostrato dai reperti subfossili.
I Maori portarono con sé il cane polinesiano (kurī nella loro lingua) che veniva utilizzato come fonte di cibo e di pelliccia, utilizzata per confezionare il pregiato mantello Kahu kurī e il ratto polinesiano (Rattus exulans o kiore) di cui si nutrivano. Questi animali, i primi mammiferi per la Nuova Zelanda, predarono i Tuatara, divorandone le uova e distruggendo i nidi; gli stessi Maori spesso li cacciavano per nutrirsene e di conseguenza, all’arrivo degli Europei, gli sfenodonti erano praticamente scomparsi dalla terraferma, rimanendo confinati in numerose piccole isole al largo delle coste. Con gli europei arrivarono i loro animali domestici e soprattutto due nuove specie di ratti, il Ratto nero o Ratto comune (Rattus rattus) e il Ratto delle chiaviche o Surmolotto (Rattus norvegicus) che invasero anche molte isole minori della Nuova Zelanda determinando una ulteriore gravissima diminuzione della popolazione di Tuatara.
Al giorno d’oggi lo sfenodonte è presente in numerose isole al largo della costa nord-orientale dell’Isola del Nord e alcune isole dello stretto di Cook, che divide l’Isola del Nord da quella del Sud. Si stima che attualmente la popolazione totale di Tuatara ammonti a circa 60.000-100.000 esemplari, di cui circa 600 della sottospecie guntheri.
La più importante popolazione è quella dell’isola Stephens (Takapourewa nella lingua Maori), nello stretto di Cook, che ammonta a circa 30.000 esemplari. Il governo della Nuova Zelanda è impegnato in diverse attività tese ad aumentare in numero degli sfenodonti e e reintrodurli nelle due isole principali. Queste attività prevedono in primo luogo la eliminazione dei ratti che, predando i nidi, rappresentano il principale ostacolo alla riproduzione del Tuatara.
La introduzione di alcuni esemplari di Tuarara in terra ferma, nel santuario naturalistico di Karori, nei pressi di Wellington, ha avuto un successo importante con la prima nascita di nuovi esemplari nel 2009. Inoltre diversi centri sia nell’Isola del Nord che in quella del Sud allevano i tuatara in cattività per scopi di ricerca e per reintrodurli in ambienti opportuni. Tra questi centri storicamente il primo è stato il Southland Museum and Art Gallery di Invercargill, famoso per ospitare il vecchio Henry, un tuatara che nel 2009, all’età probabile di circa 110 anni, accoppiatosi con l’ottantenne Mildred ha generato una decina di piccoli. È da sottolineare che Henry era reduce dalla rimozione chirurgica di un cancro alla cloaca e che il successo dell’operazione ha reso possibile l’accoppiamento.
Recentemente il governo della Nuova Zelanda ha annunciato un piano per la eradicazione delle specie invasive che devastano il particolarissimo ecosistema di questo paese. In particolare ci si prefigge di eliminare tutti i ratti, i mustelidi e i possum entro il 2050, allo scopo di permettere alle specie native, come il tuatara, di riconquistare i loro habitat originari. Di particolare interesse è il problema dei Possum: questi marsupiali (Trichosurus vulpecula), che sono stati importati dall’Australia intorno al 1837 soprattutto per la produzione di pelliccia, si sono presto rivelati una vera calamità, andando incontro ad una moltiplicazione incontrollata, fino a raggiungere circa i 70 milioni di esemplari, grazie alla assenza di predatori e di competitori.
Le misure finora adottate hanno potuto ridurre la popolazione, che comunque ammonta ancora a qualche decina di milioni e che provoca danni ingentissimi come vettore di zoonosi, depauperamento della vegetazione e predazione dei nidi delle specie autoctone.
Morfologia
Il Tutara ha l’aspetto generale di una grossa lucertola con una lunghezza massima di 70-80 cm e un peso che può superare i 1200 g, con i maschi in genere di taglia maggiore che non le femmine. Il colore che varia bruno-verdastro al rossastro al grigio, la colorazione può cambiare durante la vita di un esemplare e ogni anno la pelle viene mutata.
Sul dorso è presente una cresta spinosa, più pronunciata nei maschi, sostenuta da pliche cutanee. La cresta può venire eretta durante il corteggiamento o le lotte tra maschi. La sua anatomia presenta delle peculiarità notevoli, alcune delle quali sottolineano la sua primitività. I denti, a forma di cuneo, sono saldati alle ossa delle mascelle, che per questo appaiono seghettate, ed hanno una disposizione unica tra tutti i vertebrati: nella arcata dentaria superiore sono presenti due file di denti mentre in quella inferiore è presente una sola fila che quando la bocca si chiude va ad adattarsi perfettamente tra le due file superiori.
Questa disposizione, che non si riscontra in alcun altro rettile, insieme al fatto che la mandibola durante la masticazione può muoversi in avanti e in dietro, permette all’animale di triturare prede anche molto dure, chitinose o contenenti ossa, prima di inghiottirle. Questi movimenti permettono anche una auto-affilatura dei denti. Dal momento che nel Tuatara i denti non vengono ricambiati durante tutta la vita e vanno incontro a continua usura, gli animali anziani con le arcate dentali quasi completamente lisce, possono nutrirsi soltanto di cibi molli come vermi e larve o lumache.
Lo scheletro presenta diverse peculiarità: il cranio nel tuatara ha caratteristiche primitive: è quindi di tipo diapside cioè presenta evidenti le due aperture (finestre temporali) tipiche dei rettili fossili più antichi. Le vertebre presentano sia la faccia anteriore che quella posteriore concave (si definiscono anficeliche, cioè a doppia cavità), come quelle dei pesci, a differenza di quelle degli altri rettili che presentano una sola concavità. Nello spazio tra due vertebre adiacenti, delimitato dalle due concavità, è presente un vistoso residuo della corda dorsale, cioè della struttura di sostegno dorsale che precede evolutivamente la colonna vertebrale e che negli altri vertebrati è presente solo negli embrioni e negli adulti permane solo come piccoli residui (nell’uomo sono i nuclei polposi dei dischi intervertebrali).
Anche le costole sono peculiari, presentando dei grandi processi uncinati, cioè delle sporgenze che, dirigendosi posteriormente, tendono a collegare ogni costola con quella adiacente. Come nei coccodrilli e in molti dinosauri sono inoltre presenti e ben sviluppate le costole ventrali, cioè i “gastralia”, un insieme di ossa a forma di costola che creano una sorta di gabbia addominale che protegge e sostiene i visceri. Tra le numerose peculiarità anatomiche dello sfenodonte è il caso di ricordare ancora la primitività del cranio, di tipo diapside, che mantiene molte delle caratteristiche originali dei primi amnioti.
Come avviene anche per la maggior parte delle lucertole il tuatara è capace di automutilarsi della coda in caso di aggressione (autotomia). In questo modo al predatore viene abbandonata la coda, che lo distrae continuando a contorcersi, mentre il tuatara riesce a sfuggire. Dal moncone rigenera una nuova coda che differisce però dalla coda originale per il colore e per alcune proprietà anatomiche.
Organi di senso
I pochi studi condotti sull’apparato sensoriale suggeriscono che la vista giochi un ruolo primario sia nel comportamento sociale e in quello riproduttivo che nella predazione, anche se è stato osservato che questi animali mordono delle sagome di cotone che siano state strofinate su delle prede, il che dimostra che anche l’olfatto o in generale la chemiocezione gioca un ruolo nella alimentazione.
Gli occhi, che possono essere messi a fuoco indipendentemente l’uno dall’altro, sono dotati di coni per la visione diurna e di bastoncelli per quella notturna. Come in molti vertebrati notturni la visione in condizioni di scarsa illuminazione è facilitata dalla presenza di un tappeto lucido riflettente posto dietro la retina: in questo modo i raggi luminosi che non siano stati intercettati dai fotorecettori vengono riflessi in avanti e possono attraversare nuovamente la retina raddoppiando quindi la sensibilità (negli animali diurni, come l’uomo, in luogo di un tappeto lucido riflettente è presente un tappeto nero che assorbe i raggi luminosi e ne previene la riflessione, riducendo la sensibilità ma aumentando la definizione). La presenza del tappeto lucido riflettente negli animali notturni ci spiega il motivo per cui occhi del gatto brillano nel buio quando vengono colpiti da un raggio luminoso: il raggio viene riflesso dal tappeto lucido come da uno specchio.
L’orecchio è molto primitivo: è assente il timpano e l’orecchio medio è riempito da un tessuto lasso, essenzialmente adiposo. L’apparato uditivo del Tuatara è in grado di percepire suoni di frequenze tra i 100 e gli 800 Hz, con una sensibilità massima di 40 dB a 200 Hz. Quindi è in grado di percepire suoni quali quelli della voce umana a livelli paragonabili a quelli di una normale conversazione ma avrebbe difficoltà con una voce femminile di soprano. Come in molti altri vertebrati il senso dell’olfatto è localizzato oltre che nella mucosa nasale anche nell’organo vomeronasale o organo di Jacobson, localizzato nella volta del palato. Nel tuatara come anche nelle tartarughe questo organo ha la funzione di percepire gli odori dei cibi contenuti nella bocca.
Uno degli aspetti più interessanti dell’anatomia del tuatara è però il notevole sviluppo del terzo occhio, detto occhio parietale o pineale.
L’occhio pineale è una struttura fotosensibile, presente in alcuni vertebrati come lamprede, alcuni pesci, anfibi e alcuni rettili, localizzato nella regione superiore del cervello detta epitalamo. Mentre in molti animali il terzo occhio è più o meno ridotto e semplificato, nel tuatara mantiene una struttura quasi identica a quella dei due occhi laterali. Nel neonato l’occhio parietale è coperto da una squama trasparente, mentre nell’adulto la copertura diviene più opaca e pigmentata ma comunque permette il passaggio dei raggi luminosi.
L’occhio parietale è esteriormente assai simile ai due normali occhi dei vertebrati (occhi laterali), con la sua forma globosa, coperto da una cornea e da un cristallino trasparenti, ripieno di una sostanza gelatinosa (umor vitreo) e con il fondo tappezzato da una retina, contenente i fotorecettori, che dà origine a un nervo, detto parietale, equivalente al nervo ottico. Non ostante la notevole somiglianza presenta però delle differenze assai importanti, che è necessario descrivere. La retina degli occhi laterali dei vertebrati è costituita da diversi strati di cellule nervose ed è di tipo invertito, cioè lo strato dei fotorecettori è situato al di sotto di tutti gli altri strati. In questo modo raggi luminosi per raggiungere le porzioni fotosensibili dei fotorecettori (coni e bastoncelli) devono attraversare tutti gli strati retinici.
A sua volta la retina poggia su uno strato pigmentato che tappezza il fondo dell’occhio (retina pigmentata). Al contrario la retina dell’occhio parietale non è invertita e quindi le porzioni fotosensibili dei fotorecettori sono rivolte verso i raggi luminosi che provengono dalla lente, ma con l’interposizione dello strato pigmentato che quindi non è situato al di sotto della retina ma al di sopra.
Per comprendere la struttura degli occhi laterali dei vertebrati e le differenze con l’occhio parietale dobbiamo comprendere il loro sviluppo embrionale.
Il sistema nervoso centrale si origina nell’embrione come un tubo a parete relativamente sottile chiuso anteriormente. Durante lo sviluppo una serie di rigonfiamenti e di ispessimenti formeranno le diverse porzioni del cervello, mentre la cavità interna rappresenta i ventricoli cerebrali. Gli occhi laterali si originano come due protuberanze a forma di vescicola (vescicole ottiche) che nascono dalla parete laterale di una delle porzioni dell’encefalo, detta diencefalo, mentre l’occhio parietale si origina da una vescicola che nasce dalla porzione dorsale del diencefalo, l’epitalamo, da cui si forma anche l’epifisi. Gli occhi fanno quindi parte dell’encefalo. I progenitori delle cellule foto recettrici sono localizzati nello strato più interno della parete delle vescicole ottiche, con la porzione fotosensibile rivolta verso l’interno.
Nel caso degli occhi laterali la parete esterna delle vescicole ottiche si invagina per formare una struttura a calice bistratificata (calice ottico), con lo strato esterno, rivolto verso la convessità, che produce la retina pigmentata e quello interno, verso la concavità, produce la retina nervosa fotosensibile. I fotorecettori sono quindi rivolti verso lo strato più profondo del calice ottico e non verso la direzione di provenienza della luce (retina di tipo invertito). Il peduncolo che collega il calice ottico al cervello corrisponderà al nervo ottico. L’epidermide sovrastante produrrà la cornea e il cristallino. Nel caso dell’occhio parietale al contrario la vescicola non si invagina per formare una coppa e la sua parete esterna, o dorsale, diviene trasparente trasformandosi in cristallino mentre quella interna, adiacente al cervello, dà origine sia alla retina pigmentata che a quella nervosa fotosensibile, che presenta quindi gli strati cellulari invertiti rispetto a quelli degli occhi laterali (retina non invertita).
Nonostante la stretta somiglianza morfologica con i due occhi laterali, il terzo occhio presenta delle interessanti differenze a livello funzionale. Infatti, mentre negli occhi laterali i fotorecettori, cioè i coni e i bastoncelli, generano continuamente impulsi nervosi in assenza di stimoli luminosi e vengono invece inibiti dalla luce, nel caso dell’occhio parietale i fotorecettori si eccitano soltanto alla luce e sono invece a riposo quando si trovano al buio.
In realtà studi recenti suggeriscono una situazione più complessa, con la presenza di almeno due tipi di pigmenti visivi sensibili a lunghezze d’onda diverse uno dei quale ha effetto stimolante e l’altro inibente. In questo modo l’occhio parietale avrebbe la capacità non soltanto di fornire informazioni sull’intensità luminosa, ma anche sul colore della luce. Sembra inoltre che quest’organo, evidentemente più complesso di quanto si pensasse in passato, sia anche in grado di percepire la polarizzazione della luce, e quindi di fornire informazioni sulla posizione del sole anche con cielo nuvoloso.
La funzione del terzo occhio, anche se non completamente nota, è comunque collegata a quella dell’adiacente ghiandola pineale, o epifisi. Questa ghiandola produce essenzialmente l’ormone melatonina che regola i ritmi circadiani e stagionali, quindi l’alternarsi sonno-veglia, e altre funzioni collegate alla durata dell’illuminazione, come la produzione di ormoni sessuali, i cicli riproduttivi ed altri aspetti comportamentali. In questo senso quindi il terzo occhio, percependo i segnali luminosi e quindi la durata del giorno e della notte regola la funzione dell’epifisi. È anche probabile che l’occhio parietale intervenga nella sintesi della vitamina D, che come è noto richiede l’intervento dei raggi ultravioletti. Oltre alla produzione della melatonina la ghiandola pineale agisce modulando alcune delle attività dell’ipofisi.
È il caso di ricordare che nell’uomo, come negli altri mammiferi, il terzo occhio è assente ma l’epifisi viene comunque regolata dall’illuminazione grazie a dei circuiti neuronali che la collegano agli occhi. Secondo Cartesio la ghiandola pineale sarebbe la sede dell’anima: non è noto se questo possa essere vero anche nel tuatara.
Lo sfenodonte vive in genere in tane proprie anche se spesso usa i nidi di uccelli marini con cui può convivere. È un animale prevalentemente notturno ma spesso si trattiene all’aperto in pieno giorno per scaldarsi al sole. Gli esemplari più giovani al contrario sono in genere diurni, forse per sfuggire alla predazione degli adulti, che hanno tendenze cannibalistiche. L’alimentazione consiste soprattutto in invertebrati come coleotteri, cavallette (preda comuni sono le weta, un gruppo di grosse cavallette endemiche della Nuova Zelanda) vermi, millepiedi o ragni, ma anche di vertebrati come nidiacei di uccelli marini, di cui preda anche le uova, lucertole e rane. Il guano degli uccelli con cui il tuatara condivide l’habitat, e talvolta il nido, attira diversi invertebrati con suo notevole vantaggio. Sia i maschi che le femmine difendono il loro territorio e possono aggredire gli intrusi. La dentatura robusta e il morso potente lo rendono un buon predatore e un avversario temibile. Gli adulti hanno in genere movimenti lenti, ma in caso di necessità possono spiccare brevi corse a oltre 20 chilometri orari. I giovani sono molto più vivaci.
Metabolismo
Il tuatara ha un optimum di temperatura corporea tra i 16 e i 21°C, più bassa della maggior parte dei rettili, in genere in inverno va in ibernazione ma può rimanere attivo anche a temperature basse, fino a circa 6 °C. A questo corrisponde un metabolismo assai lento. Il sangue del tuatara presenta delle caratteristiche peculiari che si ricollegano al suo comportamento che presenta una generale lentezza di movimenti intercalata solo da brevi scatti veloci. L’emoglobina dello sfenodonte è infatti molto poco efficiente nel trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti: questo fatto, insieme al basso numero di globuli rossi presenti nel sangue, rende l’animale fortemente dipendente da un metabolismo anaerobio, basato sulla fermentazione lattica e non da un pronto utilizzo dell’ossigeno. Questo tipo di metabolismo permette appunto brevissimi periodi di intensa attività, indispensabili per la cattura delle prede, seguiti da lunghi periodi di recupero necessari per reintegrare le riserve di energia. È probabile che questa situazione sarebbe svantaggiosa in un ambiente dove fossero presenti predatori e competitori energeticamente più validi.
Riproduzione
Animali a crescita lenta i tuatara raggiungono la maturità sessuale tra i 10 e i 20 anni, e continuano a crescere fino a circa i 35 anni.
Nella stagione riproduttiva la pelle diviene più scura: è possibile che la pigmentazione venga influenzata dalla produzione di melatonina da parte dell’epifisi, a sua volta regolata dall’occhio parietale sensibile ai ritmi di illuminazione circadiani. Durante il corteggiamento il maschio cammina lentamente intorno alla femmina con le zampe rigide e la cresta dorsale viene eretta. Per l’accoppiamento, che avviene alla fine dell’estate, il maschio monta sul dorso della femmina e le aperture cloacali vengono portate a contatto grazie ad una torsione della parte posteriore del corpo di ambedue i partner.
Le femmine nella primavera successiva scavano in terra un nido dove depongono in genere 6-10 uova, che rimangono ad incubare per circa un anno. I piccoli, che alla nascita pesano 4-6 grammi, sgusciano rompendo il guscio aiutandosi con un “dente dell’uovo” posto all’apice del muso ed iniziano immediatamente ad alimentarsi autonomamente. Non sono rari fenomeni di cannibalismo da parte degli adulti di ambo i sessi. Le uova hanno un guscio morbido, pergamenaceo. La femmina impiega tra uno e tre anni per produrre il tuorlo e circa sette mesi per produrre l’albume e poi il guscio.
Tra l’accoppiamento e la schiusa delle uova intercorrono tra 12 e 15 mesi. La riproduzione si verifica a intervalli di 2-5 anni ed è la più lenta tra tutti i rettili. Altrettanto lenti sono l’accrescimento corporeo e la maturazione. I tuatara infatti continuano a crescere di taglia fino a circa 35 anni, la durata della vita media è ci circa 60 anni ma, come abbiamo visto, alcuni esemplari possono superare il secolo.
Il sesso dei nascituri, oltre che da cause genetiche, è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova, come avviene anche in altri rettili ed in alcuni pesci. Le uova incubate a temperature più alte producono più maschi, mentre a temperature inferiori prevalgono le femmine. A 21 °C c’è uguale probabilità di nascite maschili o femminili, mentre a 22 °C i maschi sono l’80% e a 18 °C si ottengono tutte femmine.
Dal momento che il maschio è privo di pene l’accoppiamento avviene semplicemente per apposizione delle cloache dei due partner e successivo trasferimento dello sperma. La mancanza del pene nel tuatara ha stimolato l’interesse degli studiosi, visto che tutti gli altri rettili sono dotati di questo organo. Dal momento che gli sfenodonti presentano caratteri considerati tipici dei rettili più primitivi ci si è chiesto se anche la mancanza del pene fosse da considerarsi una caratteristica dei primi rettili. In tal caso si sarebbe dovuto ammettere che la comparsa del pene si sarebbe evoluta indipendentemente nei diversi gruppi.
Il dubbio è stato risolto nel 2015 dallo studio degli embrioni di tuatara che ha dimostrato che nei primi stadi dello sviluppo il pene è presente ma che in seguito viene a scomparire, analogamente a quanto avviene per la maggior parte degli uccelli. Dal momento che lo sfenodonte è rigidamente protetto ed è proibito sacrificare degli embrioni, questi studi morfologici sono stati condotti su antichi preparati microscopici allestiti nei primi anni del XX secolo.
A titolo di curiosità ricordiamo che nel 1878 il medico e naturalista A. K. Newman scriveva che “il tuatara, a differenza di altre lucertole, non ha il pene e di conseguenza probabilmente ha scarsa passione sessuale” (ma d’altra parte lo stesso autore pochi anni dopo pubblicò uno studio dove affermava che i Maori erano una razza malata, depravata e brutale, la cui estinzione non sarebbe stata da compiangersi).
I Maori e il Tuatara
Il rapporto tra la cultura degli indigeni della Nuova Zelanda e il tuatara è complesso ed eterogeneo. In generale i Maori, come in genere i polinesiani, odiavano o temevano le lucertole, e per estensione lo sfenodonte, cui attribuivano sfortuna, morte e calamità varie: questi animali rappresentavano il dio Whiro, che personifica l’oscurità e la morte, e anche in tempi recenti alcuni Maori si mostravano inorriditi alla vista di un tuatara. D’altra parte però non tutti i gruppi di Maori associano il tuatara a questa generica ostilità nei confronti delle lucertole, al punto che sembra che i membri di alcune tribù se ne nutrissero.
Più probabilmente però, vista anche la paura che i tuatara suscitavano, mangiare un tuatara era da considerarsi una prova rituale di coraggio e di iniziazione per accedere a funzioni sacerdotali. A riprova del timore nei confronti degli sfenodonti ricordiamo che nella mitologia dei Maori, come documentato da alcune sculture, Kurangaituku il terrificante mostro donna-uccello delle foreste, si accompagnava con dei tuatara, il che aumentava la paura che suscitava.
In contrasto con la sua fama negativa però per alcune tribù il tuatara era il custode della conoscenza e spesso ne venivano rilasciati degli esemplari vicino alle tombe dei guerrieri per custodirle. I tuatara avevano anche un posto nelle storie della creazione: il dio Peketua infatti aveva fatto un uovo di argilla e, su suggerimento di suo fratello Tane, dio della foresta, gli aveva dato vita, creando così il tuatara. Secondo una antica favola Taurikura, viziata figlia di un capo, si comporta in modo arrogante con il vecchio nonno. Criticata dalla comunità, pentita e vergognosa lascia il villaggio e dopo diverse avventure si trasforma in un lucertolone, per non essere riconosciuta da nessuno. Così nacquero i tuatara.
Malattie dei tuatara
Nei tuatara sono state evidenziate diverse patologie ma non è certo quali di queste siano in realtà importanti in natura o piuttosto soltanto negli esemplari mantenuti in cattività. Tra queste si devono ricordare delle dermatiti micotiche, parassitosi dovute ad acari o zecche (Aponomma sphenodonti), nematodi (Hatterianema hollandiae) o trematodi (Dolichosaccus leiolopismae).
Sinonimi
Hatteria punctata Gray, 1842.