I pinguini che stanno al caldo. Chi lo dice che amano solo il ghiaccio ? A smentire i luoghi comuni questi pinguini vivono in Sudafrica.
Testo © Giuseppe Mazza
Da sotto un sasso un pinguino mi guarda scuotendo il capo. Accanto a lui due piccoli ricoperti di un morbido piumino vedono per la prima volta un uomo.
Mi trovo a Saldanha, una riserva 150 chilometri circa a nord di Città del Capo, nella Repubblica Sudafricana, dove vivono pinguini, ostrichieri, cormorani ed altri uccelli marini. Parlare in particolare dell’esistenza di pinguini nel Sudafrica può sorprendere, eppure è la realtà: questi uccelli vivono anche al caldo. Ed è per “constatare di persona“ che ho raggiunto la riserva.
Occorre chiedere il permesso al Ministero della Marina del Sudafrica, e finalmente ho un lasciapassare valido 24 ore e l’indirizzo dell’ufficio di Saldanha cui presentarmi. Li mi dicono che nel giro esplorativo della riserva verrò affiancato da un ufficiale della marina. Me lo presentano, ma il mio controllore capisce subito che sono rispettoso della natura, ci si può fidare, e dopo avermi accompagnato all’ingresso dell’oasi, mi lascia le chiavi, da riportare poi all’ufficio, e mi saluta.
Entro in macchina. Lungo la costa dell’oceano, una spiaggia sabbiosa e gigantesche margherite gialle: sono delle Gazania, una specie originaria dei luoghi che da noi è diventata una pianta da giardino.
Superato il primo sbarramento ne trovo un secondo, circa un chilometro più avanti: un grande muro e un portone, poi occorre proseguire a piedi.
La vegetazione cambia di colpo. Scompaiono le margherite gialle. Strane erbe e arbusti zeppi di cormorani neri con gli occhi rossi e insoliti ciuffi sul capo. Si lasciano avvicinare senza paura. È quasi novembre, alcuni stanno covando, altri hanno già i piccoli nel nido.
Sopra volano i gabbiani. Finalmente, alla base di una torre d’osservazione ancorata a un a roccia, trovo i primi pinguini.
Se mi avvicino lentamente, senza movimenti bruschi, non scappano e posso quasi toccarli.
Proseguendo ancora, erbe e arbusti scompaiono; mi trovo di fronte a un panorama affascinante e selvaggio, fatto di enormi massi scuri, modellati da onde gigantesche. È il regno del pinguino del Capo o sfenisco demerso (Spheniscus demersus).
Nell’aria una pioggerellina di spuma di mare, che entra nei polmoni con uno strano effetto eccitante. Rimango immobile, incapace persino di fotografare, paralizzato dalla bellezza di uno scenario così diverso. Davanti a me alcuni pinguini mi guardano da sotto i sassi.
Mi avvicino a una tana. Dentro uno sfenisco ruota ritmicamente il capo a destra e a sinistra in una “fuga ritualizzata”.
Nel loro linguaggio mimico è un’espressione tipica che significa pressappoco “Ho paura e vorrei scappare, ma resto qui per difendere la mia casa”. Se invece fissano negli occhi, vuol dire “Mi preparo all’attacco”. Se guardano di lato, col capo leggermente abbassato “Sono indeciso”.
Mi ritiro di circa un metro e il pinguino subito si calma. Mi siedo su una roccia e aspetto. Un po’ alla volta escono tutti incuriositi. Gli adulti si salutano strofinandosi il collo e il becco; i piccoli, immobili sulla soglia di casa, aspettano i genitori che sono andati a pesca. Sembrano giovani gufi, rivestiti di un morbido piumino, che verrà conservato allo stato adulto sotto le penne definitive.
In estate a Saldanha si possono toccare i 42 °C, ma l’inverno è mite con temperature intorno ai 15°. Il mare è sempre piuttosto freddo, e il doppio strato isolante di piume si rivela molto utile in immersione, specie durante l’inverno, quando la temperatura dell’acqua scende addirittura a 9 °C e al largo, in piena corrente del Benguela si hanno 4-5 °C.
Studi recenti hanno dimostrato che più che di acque gelide, i pinguini hanno bisogno di mari a temperatura costante, con variazioni annue inferiori ai 5°. Condizione soddisfatta nell’Antartico, dove l’acqua è sempre vicina al punto di congelamento, e nella grande corrente del Benguela, dove i pinguini inseguono festanti i grandi branchi d’acciughe, aringhe e seppioline. Sott’acqua “volano” all’incredibile velocità di 20-33 chilometri all’ora e raggiungono, con apnee di 2-3 minuti, i 30 metri di profondità.
Nei grandi periodi riproduttivi, in genere febbraio-marzo e settembre-ottobre, 100.000 pinguini del Capo divorano in sei mesi circa 7.000 tonnellate di pesce, con una media di quasi mezzo chilo al giorno a testa.
Le femmine depongono 2 uova verdastre, eccezionalmente 3 o 4, in nidi scavati nella sabbia e sotto i sassi. Entrambi i genitori si alternano nella cova per circa un mese e i piccoli vengono nutriti con cibo rigurgitato.
A Saldanha incontro centinaia di coppie, ma più a sud, al largo dell’isola di Dassen, nidificano circa 60.000 pinguini in una gigantesca colonia che raggruppa quasi i 2/3 degli effettivi della specie.
Gli altri vivono nell’isola di Dyer e in 14 isolotti sparpagliati in un’area di circa 1.500 chilometri, lungo le coste meridionali e sudoccidentali dell’Africa.
Negli ultimi 80 anni si sono ridotti drasticamente di numero. Nel 1906 lo zoologo William Plane Pycraft scriveva che nell’isola di Dassen vivevano 9.000.000 di pinguini e nel 1920 un altro naturalista, Cherry Kearton, ne rilevava 5.000.000. Da stime di densità fatte in base a foto dell’epoca, risulta con certezza che all’inizio del ventesimo secolo a Dassen c’erano almeno 1.500.000 esemplari, contro i 60.000 attuali.
A parte le orche, gli squali, e i gabbiani che attaccano i nidi, i pinguini del Capo non hanno nemici nel mondo animale, e l’inquietante crollo numerico dipende quindi solo dall’uomo. Le uova sono più gustose di quelle delle galline e fra il 1917 e il 1927 venivano raccolte al ritmo di 500.000 all’anno.
Di recente una legge a posto fine alla razzia; ma anche se oggi il Sudafrica fa tutto il possibile per proteggere la specie, molti seri pericoli ne minacciano l’esistenza.
La moderna industria della pesca riduce drasticamente le loro disponibilità alimentari, e dopo la chiusura del canale di Suez, circa 750 petroliere al mese doppiano il Capo di Buona Speranza. Via via negli anni, piccole fughe di petrolio, e poi, nell’aprile del 1968, la catastrofe ecologica: dallo scafo squarciato di una petroliera fuoriescono 4.000 tonnellate di grezzo.
In Europa quasi nessuno ne parla, ma è la morte per almeno 19.000 pinguini del Capo.
NATURA OGGI – 1985