Le piante aromatiche. Perché hanno sviluppato gli aromi. La loro storia. Virtù culinarie e medicinali. Facili da coltivare.
Testo © Giuseppe Mazza
Il mondo verde sfugge difficilmente al suo destino, che è quello d’essere divorato dagli erbivori, ma le piante riescono spesso a limitare i danni, e si difendono con grinta e stratagemmi incredibili dall’ingordigia animale.
Dove l’acqua e il nutrimento non mancano, puntano in genere sulla loro leggendaria capacità vegetativa, il potere di risorgere, come nuove, dalle più orrende mutilazioni; ma dove la vita è difficile e la crescita più lenta, si armano spesso di spine, si rifugiano nel sottosuolo con bulbi o tuberi, o adottano la “guerra chimica”, avvelenando le foglie e impregnandole d’oli essenziali volatili, dal profumo intenso e ammonitore, poco gradito al palato degli erbivori.
È il caso delle piante aromatiche, frequenti nel nostro clima mediterraneo, caratterizzato da lunghe estati secche; un ambiente dove molte famiglie botaniche, come le labiate, le ombrellifere, le lauracee, o le composite, hanno elaborato, parallelamente, ciascuna per la sua strada, sostanze balsamiche, spesso antisettiche, usate fin dall’antichità per le spiccate virtù medicinali.
Già 2000 anni avanti Cristo, i medici egizi utilizzavano abbondantemente il ginepro, il finocchio selvatico, l’aglio e l’assenzio; i “Giardini di Babilonia”, celebri per gli aromi, erano una delle sette meraviglie del mondo; e mentre gli Ebrei inventavano il commercio delle spezie, la mitologia greca ricamava leggende su leggende, per spiegare agli uomini le virtù di queste portentose creature del bosco, ed i loro misteriosi legami con l’Olimpo.
Uomini e dei trasformati in piante, storie d’amori impossibili, filtri, pozioni, unguenti e riti religiosi; ma soprattutto ci si rese subito conto che le aromatiche avevano il potere di conservare i cibi, correggere l’odore non sempre gradevole della selvaggina, e favorire la digestione delle carni troppo frolle.
Salvia e rosmarino per gli arrosti; bacche di ginepro e foglie d’alloro per la salamoia; timo ed aglio per i lessi. Ricette antichissime, perfezionate nei lunghi assedi medioevali, quando era normale mangiare i topi, e nelle raffinate cucine delle corti rinascimentali, dove i cuochi lottavano a colpi di foglie odorose, per il lustro delle grandi casate nobiliari.
Poi vennero le spezie esotiche, appannaggio delle classi agiate, mentre fra il popolo gli aromi tradizionali si affermavano nella così detta “cucina mediterranea” secondo specificità regionali : pesto genovese con aglio e basilico, pizza napoletana con l’origano, salmì piemontese con alloro, salvia, timo e bacche di ginepro.
Ed oggi, che la farmacopea ha fatto passi da gigante e la conservazione delle carni è affidata al freddo, è proprio questo aspetto culinario a mantener vivo l’interesse per le aromatiche. Vediamole brevemente per famiglie, unite spesso, nelle proprietà e negli effetti, dal comun denominatore botanico.
Il gruppo più generoso è indubbiamente quello delle Labiate, dal latino “labium” = “labbra”.
Si riconoscono subito dal gambo a sezione quadrata, le foglie opposte, e le corolle asimmetriche, con 5 petali fusi alla base in un tubo che termina con due labbra carnose e sorridenti : la superiore formata da due petali, uniti sovente ad “elmo”, per meglio proteggere gli organi sessuali, e l’inferiore da tre petali più o meno differenziati, ridotti spesso a semplici lobi.
A vederle così, a bocca aperta, sotto il sole cocente, si direbbe che sbadiglino tutto il giorno senza far niente, ma le Labiate sono piante attivissime, distillatori a tempo pieno, che elaborano senza sosta essenze preziose per la nostra salute e la cucina.
Il Rosmarino (Rosmarinus officinalis), dai piccoli fiori azzurri che sbocciano in primavera lungo le coste mediterranee, non ha certo bisogno d’elogi. Complemento ideale di molti piatti e salse, è un ottimo digestivo, tonificante del sistema nervoso.
Ma alla stessa famiglia appartengono anche il Timo (Thymus vulgaris) e il Serpillo (Thymus serpyllum), preziosi per umidi, frittate, minestre, e carne ai ferri; l’ Origano (Origanum vulgare) e la Maggiorana (Origanum majorana), molto usati nelle salse e nelle grigliate di pesce; la Salvia (Salvia officinalis) per gli arrosti, il fritto, e le “salse bianche”; la Santoreggia (Satureja hortensis) per zuppe di pesce, polpette, e la selvaggina troppo frolla, di cui neutralizzerebbe le tossine; il Basilico (Ocimum basilicum) per insalate, carni, pesce, minestre, salse e frittate; l’Issopo (Hyssopus officinalis) per carni, salse, insalate e ripieni; la Melissa (Melissa officinalis) per salse e tisane rinfrescanti; e le Mente (Mentha spp.) per carni, insalate, frittate, salse, creme, gelati, bibite, e liquori.
Il Prezzemolo (Petroselinum hortense), di casa nelle minestre e in ogni cucina, per le spiccate virtù aromatiche e digestive, appartiene invece a un’altra importante famiglia botanica, quella delle Ombrellifere.
Anche se lo decapitiamo sistematicamente da giovane, coltivandolo come annuale, può raggiungere, nel secondo anno di vita, il mezzo metro d’altezza, e sviluppa, come le carote, vistose infiorescenze a ombrella dalle corolle giallo-verdastre.
Alla stessa famiglia, appartengono anche il Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) di cui si usano le foglie e gli steli per arrosti e carni alla griglia, e i semi, per guarnir biscotti e insaporire le castagne bollite; e il Cumino dei prati (Carum carvi) dai piccoli semi profumati usati per un celebre liquore, il Kümmel, e, soprattutto in Francia, per il pane, i dolci, e dei formaggi tipici. Un’altra ombrellifera, il Levistico (Levisticum officinale), noto anche come “sedano di monte”, ma con un sapore decisamente più forte di questo suo parente prossimo, entra spesso in minestre, sughi, e nella composizione di dadi o estratti di carne.
Il sole mediterraneo offre ai patiti della grappa l’aroma intenso della Ruta (Ruta graveolens), un’erba appartenente alle Rutacee, la famiglia di aranci e limoni, e il nobile Alloro (Laurus nobilis), una Lauracea parente della Cannella e della Canfora, di cui si usano le foglie per salse e carni, e le bacche per liquorini tipici regionali.
Nei climi caldi e asciutti cresce bene anche l’ Abrotano od Erba reale (Artemisia abrotanum), una specie arbustiva con foglie bipennate o tripennate, strettamente divise, molto adatte a insaporire la carne alla griglia e i pesci al forno.
Appartiene come l’ Assenzio (Artemisia absinthium) alla ben nota famiglia delle Composite, la stessa delle pratoline. Frequente lungo le strade e negli incolti, questa pianta è utile, in piccole dosi, per amari digestivi, ma in eccesso provoca gravi disturbi al sistema nervoso, un ottundimento delle capacità intellettive, e quello stupore fisso, tipico dei bevitori d’Absinthe, così magistralmente espresso nel quadro di Manet.
Le Crocifere, dai tipici fiori a croce, poco noti in città, dove verze, cavolfiori, rape e ravanelli, giungono mutilati o sotto plastica, pronti per l’uso, ci offrono anche preziosi aromi come il Crescione (Nasturtium officinale) e la Rucola (Eruca sativa), ottimi nelle insalatine.
L’ Aglio (Allium sativum) non ha certo bisogno di commenti o d’elogi, ma la stessa famiglia delle Liliacee, ci propone anche una specie da foglie alpina : l’ Erba cipollina (Allium schoenoprasum). Servono a completare frittate e insalate, a insaporire zuppe, bolliti e bistecche, e sono ottime, col burro, anche sul pane tostato.
Del Ginepro (Juniperus communis), una conifera parente dei cipressi, si usano infine le bacche acidule. Maturano in due anni, passando dal verde al blu, e conferiscono un aroma inconfondibile a liquori, prosciutti affumicati e cacciagioni.
Facili da coltivare, in terreni sciolti, ben drenati, ma anche in vaso, le aromatiche andrebbero sempre consumate fresche. Le foglie, vanno raccolte su piante giovani, prima che inizi la fioritura, e in genere al mattino, quando, appena scomparsa la rugiada, sono più ricche d’essenze.
Molte specie possono essere essiccate per l’uso invernale, appendendo i rami a testa in giù, all’ombra, in luoghi caldi e ventilati. In genere poi si conservano solo le foglie, stipate in un barattolo, ma quando sono minuscole, come quelle del timo o del rosmarino, mantengono meglio la loro fragranza se vengono lasciate intere, sul rametto, e tritate al momento, prima dell’uso.
Il prezzemolo, l’erba cipollina, e le piante che perdono il loro profumo essiccando, vanno invece scottate per un minuto in acqua bollente, scolate, e surgelate in cubetti da avvolgere nella carta stagnola. Non saranno più utilizzabili per guarnire piatti, ma tritate sprigioneranno ugualmente il loro prezioso aroma.
SCIENZA & VITA NUOVA – 1990