E il pesce diventò rosso. L’appassionante storia vera di un animale inventato. Tutto sul pesce rosso. Spettacolari foto d’accoppiamento e della schiusa delle uova.
Testo © Giuseppe Mazza
Chiunque può riconoscere facilmente in primavera una femmina di pesce rosso adulta.
È piena di uova, e di fronte appare più tondeggiante, più gonfia dei maschi, che presentano inoltre, sugli opercoli e il raggio duro della pettorale, delle protuberanze cornee, delle “perle”, per indurre, con eccitanti carezze o rudi grattate, le compagne a deporre.
Con l’idea di riprodurli un giorno, e soprattutto per concimare un filodendro di 12 m2 che vive da anni in “simbiosi” con due acquari da 400 litri avevo comprato, quattro anni fa, tre piccoli orifiamma; dei “tre code”, come dicono le mie bimbe, tre moschettieri affamati, sempre pronti a combattere per un pezzettino di carne o una chicca di riso bollito, che ci avrebbero in seguito rivelato il sesso, e da cui speravo d’isolare una coppia.
Il più scuro, quasi nero, l’avevamo battezzato Nerone, poi c’erano Monsieur Rose, dal nome del nostro vicino del piano di sopra, con una livrea arancio-rosata, e Regina, rossa con qualche macchietta nera, che cresceva a vista d’occhio, divorando tutto prima degli altri, con grazia e autorità regale.
Nerone morì un giorno improvvisamente, forse d’indigestione, forse d’infarto, e da allora Monsieur Rose, che nel frattempo, crescendo, si era rivelato una Madame, prese a litigare con Regina.
E dovemmo separarli in due vasche, con le pinne a brandelli, dopo un’energica disinfezione al blu di metilene.
Passarono i mesi, e lo scorso aprile Regina, pur essendo sola, ricoprì il muschio di Giava dell’acquario con centinaia di uova, ripetendo l’operazione in maggio.
Cosa strana, non le divorava, come fanno di solito i carassi, ma le sorvegliava, con lo zelo di un ciclide, delusa dal fatto che non nasceva niente.
“Dai papà trovale un marito”, ripetevano le bimbe in coro, e nacque così l’idea di un reportage : andare a Bologna, dove da oltre 100 anni si allevano pesci rossi, fotografare una piscicoltura modello, e ritornare con dei maschi adulti per Regina e delle uova fecondate, tanto per salvare il servizio nel caso, non si sa mai, che i pretendenti non le piacessero.
Telefono a Nerio Brintazzoli, un vecchio amico dell’Euraquarium, il grossista italiano dei pesci esotici, affido le bimbe ai nonni ultra ottantenni, e accompagnato dalla moglie, dopo 9 anni che, a causa dei figli, faccio conto su altre assistenti, raggiungo Bologna.
Per il Sudafrica, l’Australia o il giro del mondo, mi è sempre facile trovare dei ” volontari “, studenti di biologia o naturalisti che possono star via anche un mese, ma i pesci rossi a Bologna, in maggio, non attirano nessuno.
L’allevamento del Carassius auratus in Emilia, mi spiega subito Nerio Brintazzoli, ha origine, nella seconda metà dell’ottocento, con la coltura della canapa.
I contadini la tagliavano in settembre e finiva nelle macere, per l’estrazione delle fibre. Ma a ciclo concluso, questi stagni, ricchissimi di plancton, erano praticamente inutilizzati. Il lungo processo di decomposizione aveva creato miliardi d’alghe microscopiche, d’infusori, di dafnie ed altri crostacei ideali per la ” dieta primi mesi ” dei pesci rossi, e non restava che immettere, marzo-aprile, i riproduttori, due maschi per ogni femmina, per tirare, a fine agosto, le reti su migliaia di pesciolini scintillanti, destinati a un lucroso mercato in espansione.
L’acquariologia muoveva i suoi primi passi, e il pesce rosso, robusto, adatto anche ad acque fredde e povere d’ossigeno, era la cavia ideale. In più costava pochissimo, e questo, ancora oggi, è il suo unico difetto, il motivo che ne fa spesso dei martiri per la “tortura della boccia”, e non permette ai produttori e ai negozianti di curarli come dovrebbero.
Meno di 200 lire all’origine, e parassiti come l’Argulus foliaceus o la Lernaea (da rimuovere con bagni molto diluiti dei prodotti per cani), sono spesso di casa. Succhiano il sangue, le ferite si infettano, e quando il povero resistentissimo carassio, dopo qualche settimana di quasi digiuno nelle vasche affollate dei negozianti, approda all’acquario domestico è, non di rado, in condizioni pietose.
Sulla morte di un pesce rosso, commenta Nerio mentre giungiamo a un centro d’allevamento pilota, ci sarebbe spesso da scrivere una tesi di laurea.
La Signora Anna Maria Pancaldi, titolare, ci mostra tutti i segreti del mestiere. Grandi bacini con impianti d’ossigenazione per i periodi più caldi, vasche di stabulazione per disinfettare e selezionare i pesci prima d’immetterli sul mercato, un laboratorio d’analisi e persino un cannoncino a salve per spaventare gli aironi e gli altri uccelli predatori.
Contro le coronelle e le bisce dal collare c’è poco da fare, e mentre mia moglie inciampa in un esemplare enorme affettato, fresco fresco, da una falciatrice, raggiungiamo per un viottolo lo stagno degli accoppiamenti.
In un angolo hanno gettato del fieno a macerare, e le femmine vengono ogni mattina a deporre, inseguite dai maschi. Si intravedono per un attimo, mentre inarcano il dorso fuor d’acqua, e scompaiono con un tonfo. Impossibile fotografarle, ma raccogliamo le uova, e dopo averle messe in sacchetti con 2/3 d’ossigeno, le chiudiamo in una scatola termica, accanto ai mariti di Regina.
Giungono a Montecarlo in serata. I maschi finiscono in vasche da 400 litri con due femmine stupende, e le uova in un acquarietto da 20 litri, ben ossigenato, in compagnia di un paio di spighe di grano selvatico per produrre infusori.
Il mattino seguente, attraverso un obbiettivo speciale che ingrandisce fino a 10 volte il soggetto sulla pellicola, noto che le uova contengono ormai degli embrioni, e mentre mi rimprovero per non averle fotografate subito, per immortalare l’intero ciclo, vengo chiamato dalle figlie.
Nel mio studio Regina si sta accoppiando. Ha scelto Monegasco, un giovane carassio cometa, metà bianco e metà rosso, come la bandiera del Principato, e ignora due bellissimi orifiamma marmorizzati, che la inseguono goffamente, lucenti come caleidoscopi.
Monegasco è più svelto, e scompare nell’abbraccio di Regina. Le uova cadono a centinaia. Saranno feconde ?
A buon conto le isolo, col solito muschio di Giava, in un altro acquarietto.
E questa volta le fotografo subito : sono trasparenti con al centro un tuorlo dai riflessi madreperlacei, perfettamente sferico.
Alla sera ha già cambiato forma, e dopo due giorni gli avannotti sono ben visibili, con gli occhi scuri e la coda ripiegata sul capo.
La vaschetta con le uova di Bologna è brulicante di neonati, e le mie 4 uova, quelle riprese in tutte le fasi e che per fortuna non sono state attaccate dai funghi, potrebbero schiudere da un momento all’altro.
Dopo ore ed ore d’attesa snervante, uno dei quattro avannotti ha un sussulto ed esce di coda con uno scatto.
Resto incollato al mirino, ma passano ancora tre quarti d’ora. Finalmente è il momento : da un guscio spunta la solita coda, e poi si intravede il sacco vitellino e la testa del neonato che si lascia cadere verso il basso in un attimo che pare un’eternità.
Trattengo il fiato e scatto una foto dopo l’altra, col diaframma più probabile. Gli avannotti si raccolgono, poco a poco, sul vetro dell’acquario. Sono immobili e brillano come stelle su un cielo blu. Saranno mille, forse più, e si riposano per ore del travaglio del parto.
L’acqua della vaschetta è ricca d’infusori, pullulante di limnee e Planorbarius che divorano le spighe in putrefazione, ma è il momento di toglierle e metter su, a parte, delle colture di sostegno : concentrati di parameci e rotiferi, ottenuti col metodo della bottiglia e del tappo di cotone, e vasetti d’anguillule microscopiche, che crescono in un misto di fiocchi d’avena, latte e lievito.
Anche il rosso d’uovo bollito, polverizzato fra le dita, incontra subito il favore dei piccoli.
Ne ho salvati centinaia, per le pozze d’acqua in giardino degli amici di Montecarlo e dintorni, ma i più belli, i ” tre code ” (questa forma è recessiva ed anche nei matrimoni fra orifiamma l’ 80% dei piccoli nasce normale), sono rimasti in acquario.
In tre mesi hanno raggiunto i 2 cm; sono ancora nocciola, ma ben presto, un po’ alla volta, assumeranno la splendida livrea della specie.
NATURA OGGI – 1989
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