Famiglia : Orchidaceae
Testo © Pietro Puccio
La specie è originaria del Borneo, dove cresce su pendii calcarei fino a circa 500 m di altitudine.
Il nome del genere è la combinazione dei termini greci “paphia”, attributo di Afrodite, e “pédilon” = sandalo, con riferimento alla forma del labello; la specie è dedicata al giardiniere, Robert Stone, del collezionista inglese John Day, nella la cui serra fiorì per la prima volta in Europa.
Il Paphiopedilum stonei (Hook.) Stein (1892) è una specie erbacea litofita, cespitosa, con foglie persistenti alterne, distiche, lineari, lunghe 30-50 cm e larghe 4-5 cm.
Scapo floreale terminale su cespi di 2-3 anni di età, lungo 35-60 cm, di colore porpora verdastro, pubescente, portante 2-5 fiori di 10-12 cm di larghezza con sepali di colore bianco percorsi da strisce longitudinali bruno rossastre, petali giallastri, tendenti al marrone nella seconda metà, con macchie allungate bruno rossastre, labello da rosa ad ocra con venature più scure e lobi laterali biancastri.
I sepali sono cordati (i due laterali sono uniti formando un unico sepalo, chiamato “sinsepalo”, dietro il labello), lunghi 4,5-6 cm e larghi 3-4 cm, con apice appuntito, i petali, ricurvi verso il basso, sono lineari, lunghi 13-15 cm e larghi 0,6-0,8 cm, il labello, saccato, è lungo fino a circa 6 cm e largo 2,5 cm. Si riproduce per seme, in vitro, e per divisione con ciascuna sezione provvista di almeno 3-4 cespi.
Specie tra le più belle del genere a crescita piuttosto lenta, da seme impiega fino a 12 anni per arrivare alla fioritura, considerata non adatta a chi inizia ad appassionarsi alla coltivazione di questo genere, richiede elevata luminosità, ma non sole diretto, temperature medio-alte, con minima notturna in inverno non inferiore a 15 °C, elevata umidità, 70-80% ed una buona costante ventilazione.
Le innaffiature devono essere regolari ed abbondanti, evitando ristagni all’ascella delle foglie che potrebbero provocare marciumi, con un leggero diradamento in inverno, ma senza mai fare asciugare completamente le radici. Le innaffiature e nebulizzazioni vanno effettuate con acqua piovana, da osmosi inversa o demineralizzata, e le concimazioni, durante il periodo vegetativo, con prodotti bilanciati idrosolubili, con microelementi, a ¼ di dose, o meno, di quella consigliata sulla confezione, distribuite e alternate in modo da evitare accumulo di sali alle radici, cui la specie è piuttosto sensibile.
Il substrato di coltivazione può essere costituito da frammenti di corteccia (bark) di fine pezzatura, carbone e agriperlite con aggiunta di pietrisco calcareo; divisioni e rinvasi vanno effettuati alla fine della fioritura, cercando di danneggiare il meno possibile l’apparato radicale.
La specie è iscritta nell’appendice I della CITES (specie a rischio di estinzione per la quale il commercio è ammesso solo in circostanze eccezionali).
Sinonimi: Cypripedium stonei Hook. (1862); Cypripedium platytaenium Rchb.f. (1880); Paphiopedilum stonei (Hook. f.) Pfitzer (1895); Cordula stonei (Hook.) Rolfe (1912).
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