Famiglia : Felidae
Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
La Tigre (Panthera tigris Linnaeus, 1758) è un grande e poderoso felino, le cui dimensioni e pericolosità sono equivalenti a quelle del Leone africano (Panthera leo), mentre il Leone indiano (Panthera leo persica), una sottospecie di quello africano, è un po’ più piccolo.
Il leone africano probabilmente però presenta fenomeni di aggressività che, contrariamente a quanto si crede, lo rendono più pericoloso in natura della tigre e più difficile da gestire in cattività, come osservato dai biologi zoologi.
Anche le dimensioni, che in maniera quasi leggendaria sono spesso rese a favore della tigre, presentano in realtà vere e proprie equivalenze, anzi quest’ultima ha una massa muscolare inferiore a quella del leone africano e un pannicolo adiposo maggiore. Questo, a causa di fenomeni di surriscaldamento corporeo, è infatti un handicap nel caso di lotte prolungate, inconveniente che non si riscontra nel leone che, come si dice, “lotta fino alla morte”.
Lo stesso dicasi per le tecniche di combattimento, che sono tutte a favore del Panthera leo, abituato com’è a confrontarsi nella savana con una grande varietà di prede e competitori, rispetto alla solitaria tigre, che tolto il Leopardo (Panthera pardus) con la pantera nera, che è la sua forma melanica, il Lupo rosso (Cuon alpinus), qualche gaviale o coccodrillo ed eventuali pitoni, ha ben pochi animali con cui combattere nel suo biotopo (vedi schede Felidae e Panthera leo).
L’Elefante asiatico (Elephas maximus), tolti i piccoli e qualche esemplare malato o molto anziano, è l’unica specie che la tigre evita d’attaccare, vista la mole e infatti in India, nello Sri Lanka e in altre aree indocinesi, spesso i locali usano questo colosso per trasportare i pesi in lunghe carovane o per far viaggiare i turisti, sicuri come sono che in loro presenza la tigre non attacca. Anche se sono equipaggiati di fucili, l’elefante resta infatti il miglior deterrente, perché la tigre è imprevedibile e colpisce mortalmente all’improvviso: le proprietà “somatolitiche” del suo manto, la rendono infatti quasi invisibile nella foresta e nelle zone umide a canneti, per non parlare dei suoi movimenti silenziosi.
Anche i rinoceronti asiatici possono dare del filo da torcere a questo felino, ma senza scordare che quando una tigre è affamata, nervosa, o si tratta di una madre che vede i cuccioli in pericolo, non esiterà ad attaccarli, perché come i leoni sono animali molto coraggiosi. E come esistono i cosiddetti leoni solitari, mangia uomini, anche la tigre può fare lo stesso. Specialmente in passato, numerosi sono stati i casi di attacchi omicidi portati a termine in Asia da questi felini, soprattutto in prossimità dei villaggi, ai danni di uomini e bambini. Occorre però aggiungere che, come spesso accade, questi fenomeni vengono amplificati in negativo dalle popolazioni locali, tramite racconti e leggende.
Il biologo zoologo inglese DrSc George Schaller, che per 40 anni ha studiato questi animali in natura, che reputa invece che si sia verificata una certa forma di coevoluzione etologica, una sorta di “addomesticamento spontaneo” tra questo felino e l’essere umano, molto più forte di quanto accade con i leoni. A meno che siano affamate, impaurite o molestate, le tigri hanno insomma imparato ad evitare l’uomo, mentre i leoni restano più aggressivi. Ma ci vuol altro per bilanciare la fama negativa di racconti esagerati che hanno marchiato questo povero animale, oggetto in passato di vere e proprie stragi da parte dei cacciatori, fino a renderlo tra gli animali a più alto rischio d’estinzione, come la IUCN ha dichiarato fin dagli anni ’70 del secolo scorso, inserendolo nella “Red list of endangered species”.
Oggi non è ben chiaro quante tigri (tutte le varie specie e sottospecie note, sono in corso di censimento ad opera dei biologi zoologi e ranger con programmi di Taxon Advisory Group “TAG”) siano ancora vive e libere in natura, ma si pensa che “purtroppo” non superino le 2000 unità, e questa è forse già una sovrastima !
Ciò vale per la specie indiana (Panthera tigris), per la sottospecie siberiana (Panthera tigris longipilis, da altri autori chiamata Panthera tigris altaica Temminck, 1844) come gli ibridi a manto bianco, che è la più grande in dimensioni del gruppo, la sottospecie di Giava e di Sumatra (Panthera tigris sondaica), e quella del Bengala (Panthera tigris tigris), che con la siberiana è forse la più minacciata.
La Tigre siberiana (Panthera tigris longipilis o altaica), per adattarsi ai rigidi climi della Siberia e della Mongolia, ha sviluppato come adattamento ecologico un manto molto più lungo che nelle altre specie o sottospecie; saltuariamente fenomeni di ibridazione della specie siberiana con altre specie o sottospecie o di deriva genetica, comportano una colorazione bianca del manto, che la mimetizzano perfettamente con la neve. È tra tutte le tigri, sia specie che sottospecie, la più grande, ma a oggi è anche fra quelle a più alto rischio d’estinzione.
In alcune aree come la Cina meridionale, il Sudest asiatico, Pakistan, Iran, Iraq, ove alcune sottospecie vivevano fino gli anni ’50 del secolo scorso, le tigri sono oggi ormai quasi, o del tutto estinte ad opera dell’uomo, a causa della caccia sportiva, alla ricerca di trofei, o per fornire organi (denti, fegato, cistifellea, occhi) alla medicina cinese, sfruttando la stupida credenza di proprietà curative o addirittura afrodisiache insite in questi organi, per non parlare dei fenomeni di bracconaggio legati ai denti ed alle pellicce da commercializzare all’estero. E come se non bastasse, l’essere umano sta distruggendo con le sue attività i biotopi in cui vivono le poche popolazioni rimaste.
Prima di descrivere la zoogeografia, l’ecologia-habitat, la morfofisiologia e la biologia riproduttiva, etologia ed ecologia di questo splendido carnivoro della famiglia dei Felidae, vorrei accennare brevemente al rapporto che la tigre ha avuto nella storia con l’essere umano. Per le civiltà occidentali la tigre rimase a lungo sconosciuta. Le prime tigri vive, probabilmente persiane, giunsero in Europa solo nel tardo impero romano. Come invece è logico, questo felino ebbe un posto di primissimo piano nelle leggende e nella mitologia delle popolazioni orientali, che in esso vedevano il simbolo della forza e della ferocia. La tigre era venerata dai popoli dell’Asia nordorientale, anche se poi, in realtà, veniva combattuta con accanimento dall’uomo; e ciò si è verificato anche in India, dove in genere il rispetto per gli animali è altissimo, in confronto al resto del mondo.
D’altra parte non si può scordare, come accennato sopra, che in passato molti uomini e bambini sono finiti vittime delle tigri, e che in tali circostanze ci si deve pur difendere, ed è quindi difficile mantenere un atteggiamento amichevole verso la specie, quasi fosse un animale domestico.
A differenza dei leoni vecchi o malati troppo lenti per agguantare ungulati veloci, in realtà l’antropofagia non è un fenomeno frequente nelle tigri, che attaccavano e attaccano solo perché i villaggi venivano creati in prossimità della giungla, nel loro territorio di caccia. Nel loro biotopo naturale, la giungla tropicale fitta e impenetrabile o le zone umide a canneti in cui si mimetizzano alla perfezione, le tigri hanno infatti potuto evolvere una tecnica di caccia differente rispetto altri felini, una sorta di guerriglia, un mordi e fuggi basato su agguati, a spese purtroppo talora anche dell’imprudenza umana.
La caccia alla tigre viene generalmente compiuta per mezzo di trappole, dove l’animale è attratto con un’esca viva, ad esempio una capra o una pecora legate a un palo, mentre i cacciatori sono piazzati sopra una piattaforma a 10-12 m da terra, pronti a sparare.
Ma può anche trattarsi di un sistema a gabbia. La tigre è attratta dai lamenti dell’esca animale viva, posta all’interno, ed entrando preme dei congegni che faranno chiudere immediatamente una robusta porta dietro di essa.
La caccia libera, praticata soprattutto in passato, fino all’inizio del XX secolo dai nobili indiani, cinesi e dai coloni inglesi, avveniva invece, per evitare rischi, con un numero elevato di persone. Un’attività ludica, alla stregua di quello che all’epoca e ancora oggi purtroppo fanno i nobili inglesi, nei confronti della povera Volpe rossa (Vulpes vulpes).
Il nobile di turno se ne stava tranquillamente seduto su un baldacchino trasportato da un elefante asiatico, mentre decine e decine di battitori a piedi o a cavallo, mediante urla e baccano, stanavano il felino, portandolo a tiro del loro padrone. In Cina, per catturarla, venivano anche usate delle reti.
Zoogeografia
In passato la Panthera tigris presentava un areale che si estendeva, con le diverse sottospecie che la caratterizzano, dalla Russia-Siberia, all’India, Giava, Sumatra, fino alla Cina meridionale, nella Persia (Iran) e Mesopotamia (Iraq), con esemplari (sottospecie) che potevano aggirarsi anche in Asia minore e in Turchia.
Oggi la si ritrova con popolazioni ridottissime in India, Cina meridionale (ma forse si è già estinta), Siberia, Mongolia, Manciuria, Bengala, Indocina, Isole della Sonda (Sumatra, Giava) e Corea del nord e del sud. E come già detto la tigre siberiana e quella del Bengala sono le due sottospecie a più grande rischio d’estinzione.
Morofofisiologia
La tigre è col leone il carnivoro mammifero eutero-placentato di dimensioni maggiori, superati entrambi solo dall’orso.
Presenta un’elegante livrea a bande nere, su manto giallo-rossiccio, che gli permette di mimetizzarsi nel suo biotopo, sfruttando il fenomeno della “somatolisi”, il manto dell’animale viene in sostanza assorbito dal cromatismo e dai giochi di luce dell’ambiente, che ne impedisce, quando è immobile, la discriminazione del profilo.
Ed anche nel caso della Tigre della Siberia (Panthera tigris longipilis) il bianco mantello si adatta perfettamente alla neve, tenuto conto che in Siberia e in Mongolia, dove vive, gli inverni sono immancabilmente lunghi e innevati. L’estate, brevissima, dura al massimo un mese e mezzo, ed è quindi un classico adattamento ecoevolutivo. Questo possente animale raggiunge, negli esemplari più grandi come le tigri siberiane, i 3,5 m di lunghezza, dove però un metro spetta alla coda. L’altezza al garrese può raggiungere i 120 cm, e il peso supera i 300 kg. La sottospecie di dimensioni più piccole è quella del Bengala (Panthera tigris tigris), probabilmente perché vive sempre nel folto della giungla, in spazi limitati, mentre quella indiana si muove in aree più vaste, nelle zone umide a canneto, e la siberiana nelle grandi radure innevate.
La tigre ha una sagoma slanciata, con tronco fortemente compresso ai lati e di altezza quasi costante per la relativa specie o sottospecie. Le spalle presentano tuttavia una gibbosità pronunciata. Rispetto al leone ha un corpo più tondeggiante e meno massiccio, con zampe più slanciate che gli garantiscono salti più lunghi e una maggiore abilità nel salire sugli alberi.
Ma le più grandi differenze si riscontrano nel pelame: quello del leone è corto e raso, di colore nocciola-beige-bruno, in alcuni punti dorato, che si mimetizza bene con la savana.
Ha una coda robusta, che termina con un ciuffo, e in più è dotato di una possente criniera che lo difende durante i combattimenti, il cui colore è molto chiaro e a minor volume nei giovani esemplari, per scurirsi notevolmente fino ad essere di color marrone-bruciato, negli individui sessualmente maturi, per ragioni endocrine e ambientali, come già discusso nella scheda dei Felidae. Nella tigre manca il fiocco sulla coda e la folta criniera, che appare del resto già molto ridotta nel leone indiano. È praticamente scomparsa, salvo un accenno nella zona compresa fra le orecchie ed i lati della gola, a parte certe sottospecie, come la tigre del Bengala, dove si può parlare di una criniera, ovviamente molto modesta rispetto al leone africano.
Ma ciò che balza subito all’occhio è la notevole differenza di livrea. Quella della tigre è più complessa. Ha una tinta di fondo che va dal biancastro al bruno rossiccio, ma che nella maggior parte dei casi è di un bruno giallastro più carico sul dorso e pallido ai fianchi, mentre le parti inferiori, ventre e gola, sono bianche. Su questa si sovrappongono bande irregolari nerastre, che partendo dal dorso, percorrono i fianchi leggermente all’indietro. Altre fasce nere, meno numerose e staccate di queste, percorrono trasversalmente il ventre, ed altre ancora le zampe posteriori e la coda, mentre le zampe anteriori sono di solito prive di fasce sul lato esterno. La tinta di fondo è presente sul muso, solo limitatamente alla fronte (nella tigre del Bengala è di tempra più scura) al setto nasale ed agli zigomi.
L’arcata sopraccigliare, le guance, le labbra ed il mento sono bianchi. Le fasce nere del muso sono piuttosto irregolari, disposte approssimativamente ad incorniciare il viso. Il “rinario” (o parte glabra apicale del naso) è rosso. Le orecchie sono bianche (ovviamente per quella siberiana il manto è tutto bianco pallido, con le orecchie bordate di nero come continuazione delle fasce irregolari nere) sulla superficie interna, ed i biologi zoologi ritengono che tale differenza di colore serva come “segnale visivo” per gli altri membri della stessa specie.
Sembra infatti che quando una tigre (sia maschio che femmina) ha intenzione d’attaccare, muova le orecchie in modo che la macchia bianca sia visibile dal davanti, per segnalare al rivale (ad esempio nel corteggiamento di una femmina, o per difendere una preda appena uccisa, o la prole) la propria determinazione.
Quando invece la tigre rimane sulla difensiva, ringhia tenendo le orecchie abbassate.
Viceversa, alcuni biologi zoologi inglesi avrebbero dimostrato che nei leoni, le orecchie abbassate sono un segnale (sia nei maschi che nelle femmine) di determi- nazione ad attaccare e colpire.
Circa le tigri bianche, che si trovano in vari zoopark, va detto che non sono come si crede albine, e nemmeno come i leoni bianchi leucistici di cui abbiamo parlato nell’introduzione ai Felidae. Quella che viene volgarmente chiamata tigre albina, è un tipico caso d’inquinamento genetico: di ibridi che presentano un pool di geni provenienti per il 90% dalla tigre siberiana e per il 10% da quella del Bengala, in seguito ad incroci sbagliati fatti in cattività durante gli anni ’70. Queste tigri presentano infatti una testa grande e il manto bianco, come quella siberiana, ma la lunghezza del pelo e le dimensioni degli animali sono equivalenti alla sottospecie bengalese.
Non siamo quindi di fronte né a una sottospecie nuova, né a una mutazione fenotipica recessiva (tipica dell’albinismo), né a un fenomeno a danno dell’albedo per eterosi recessiva (alla base del leucismo), ma dinanzi un ibrido creato per errore e liberato incautamente in natura nella regione del Bengala, contro la volontà dei biologi conservazionisti dei relativi parchi naturali in situ, che ha indebolito la linea di sangue pura della sottospecie bengalese, contribuendo e accelerandone il processo d’estinzione.
Etologia-Biologia Riproduttiva
Le tigri, a differenza dei leoni che hanno un proprio harem, sono animali solitari. Si riuniscono infatti in coppie solo per brevi periodi, durante le fasi del corteggiamento e dell’accoppiamento vero e proprio.
Sembra che, almeno nelle regioni calde, non esista un periodo degli amori ben definito e scandito dalle stagioni, come invece nelle regioni della fascia temperata, visto che i piccoli nascono in tutti i mesi dell’anno.
La gestazione dura circa tre mesi e mezzo, ed i piccoli nascono in numero variabile da 1-5 per parto.
Ma quando la cucciolata è troppo numerosa, la madre, incapace di accudire più di due o tre tigrotti alla volta, è costretta ahimè a divorare la prole in eccedenza !
I piccoli vengono allattati durante il primo mese, o mese e mezzo di vita, dopodiché la madre li svezza, cominciando a nutrirli con la carne delle prede uccise.
A partire da due mesi circa, i tigrotti seguono la madre durante le battute di caccia, senza però prendervi parte attiva. E solo dopo alcuni mesi, la femmina abbatte la propria preda ma non la uccide, lasciando questo compito alla prole affinché imparino. A circa un anno di vita, le giovani tigri sono abbastanza indipendenti, ed abbandonano la madre per iniziare la loro vita solitaria.
Come visto nella scheda dei felini, ogni tigre prende possesso di un territorio di caccia, che si aggira in media sui 10 chilometri quadrati. Per avvertire le altre tigri della sua presenza e dominio, ne marca i confini con tracce odorose, generalmente orina, e con segnali visivi ed acustici, come tronchi graffiati e ruggiti. Questi segnali sono generalmente sufficienti per allontanare estranei conspecifici, la cui presenza d’altronde è tollerata per brevi periodi di tempo.
Va inoltre fatto presente, che pur essendo un animale solitario, la tigre comunque non si dimostra molto aggressiva verso i suoi conspecifici, anche se raramente condividono un pasto.
Contrariamente al leone africano, che è il re degli spazi aperti delle savane, la tigre preferisce come dimora l’intrico delle boscaglie tropicali o delle zone umide, ambienti nei quali la sua vistosa livrea, sa mimetizzare alla perfezione la sua grossa mole. Ciò nonostante, non rifugge le zone abitate dagli uomini, o da essi costruite, purché l’ambiente sia di suo gradimento.
In India scelgono come postazione per le proprie operazioni le rovine di alcuni templi, dove trascorrono sonnecchiando le ore diurne e calde, mentre sono molto più attive la notte o all’alba.
Infatti l’attività venatoria della tigre si svolge durante le ore notturne o nelle prime ore del mattino. Aiutata dalla sua vista e dall’olfatto, discretamente acuti, e da un udito finissimo, si apposta in silenzio presso le pozze d’acqua dove a quell’ora vanno a dissetarsi gli erbivori, pronta a scagliarsi come un fulmine sulla preda designata. Tra le vittime preferite vi sono i cinghiali, i maiali selvatici, le Antilopi Cervicapra (Antilope cervicapra), i cervi e i grandi Nilgau (Boselaphus tragocamelus). Solo gli individui più forti attaccano anche i Bufali d’acqua (Bubalo bubalis).
Durante la caccia, l’azione della tigre è meno poderosa di quella del leone. Mentre quest’ultimo, dopo essere saltato addosso alle prede più grandi le uccide in corsa, spezzandone la spina dorsale con una micidiale zampata, la tigre, incapace di una simile prodezza, le finisce a terra spezzando con un morso le vertebre cervicali alle prede più piccole, e soffocando quelle più grandi, atterrate dall’urto con le zampe anteriori, con un prolungato morso alla gola che costringe le giugulari. Una volta uccisa la propria preda, la tigre non divora tutto sul posto, ma la trascina nel fitto della boscaglia, per mangiare indisturbata.
Sembra che in un sol pasto una tigre sia in grado di ingurgitare circa 20 kg di carne ! Ciò che resta, ben nascosto, se non viene rubato dai Leopardi (Panthera pardus), verrà mangiato in seguito.
Come accennato sopra, la tigre evita con cura gli Elefanti asiatici, del resto ormai rarissimi allo stato selvaggio, ed i rinoceronti, e non interferisce con l’attività predatoria dell’altro grande carnivoro asiatico, il leopardo.
Un nemico comunque temibile, per le tigri indiane, è il Lupo rosso detto anche Dhole (Cuon alpinus), che si aggira in agguerriti e corposi branchi con anche 20 e più individui.
Quando attaccano una tigre robusta, questa riesce al massimo ad ucciderne 6-7 ed ha ben poche speranze di salvezza se non prende la fuga.
La Tigre siberiana (Panthera tigris longipilis), per adattarsi ai rigidi climi della Siberia e della Mongolia, ha sviluppato come adattamento ecologico un manto molto più lungo con una colorazione bianca, che la mimetizza con la neve. È più grande di quelle meridionali, ma è anche fra quelle a più alto rischio d’estinzione.
La Tigre del Bengala (Panthera tigris tigris) è presente anche in Indocina e nella Cina meridionale, ma manca a Ceylon. E nonostante questo ampio areale di distribuzione, risulta anch’essa a forte rischio d’estinzione. In ultimo la Tigre della Sonda (Panthera tigris sondaica) è limitata a Sumatra e Giava. Mentre nell’isola di Giava, altamente antropizzata, è a rischio d’estinzione, a Sumatra, scarsamente abitata rispetto alla superficie (vi sono per lo più popolazioni tribali che vivono in villaggi rurali), è ancora relativamente abbondante e più comune che sul continente.
Altre sottospecie di tigri molto rare sono la Tigre coreana (Panthera tigris coreenensis), diffusa dalla Mongolia alla Corea, e la Tigre del Caspio (Panthera tigris virgata), ormai quasi estinta e propria dell’Iran.