Aspettano nella tasca della madre la seconda nascita. Il laborioso sistema dei marsupiali per diventare adulti. Animali ben noti e rare specie autraliane.
Testo © Giuseppe Mazza
In Europa parlando di marsupiali si pensa subito ai canguri, ma questi caratteristici saltatori non sono in realtà che un particolare gruppo d’animali all’interno di un ordine quanto mai multiforme e complesso.
Per uno spettacolare fenomeno di convergenza evolutiva, infatti, nel continente australiano si formarono in maniera indipendente, ma analoga a quanto avveniva per i placentati, animali simili a topi, scoiattoli, orsacchiotti, martore e lupi.
Eccetto gli ungulati, cioè gli erbivori dotati di zoccolo, si può dire che i marsupiali abbiano “rifatto” a modo loro tutti i più importanti gruppi dei mammiferi superiori.
Anche la vistosa differenza fra un canguro e un ruminante è del resto più apparente che reale. In entrambi i casi si tratta infatti di erbivori tipici delle grandi praterie in grado di digerire la cellulosa per mezzo di batteri simbionti.
Vi sarebbe dunque anche qui una convergenza se non morfologica per lo meno fisiologica.
Così oggi chi va in Australia per osservare la natura può trovarsi di fronte a circa 200 specie di di marsupiali dagli aspetti più diversi con dimensioni comprese fra gli 8 cm, coda esclusa, dell’acrobata pigmeo e i 2 m del canguro gigante.
In comune tutti questi animali hanno il fattto di partorire piccoli immaturi, dopo una gestazione lampo di appena 8-42 giorni, secondo la specie. Si tratta in pratica di feti di pochi millimetri che per sopravvivere necessitano ancora di alcune settimane d’incubazione in una sorta di tasca, il marsupio, formata da una piega cutanea più o meno grande dotata di mammelle.
Alcune specie prive di tasca tengono i figli fra il pelo, ma comune a tutti i piccoli marsupiali è l’esigenza di un ambiente riparato ove passare, attaccati ai capezzoli della madre, un periodo più o meno corrispondente a quello della vita intrauterina dei placentati.
Il latte viene succhiato o addirittura spruzzato in bocca ai piccoli finchè questi, completato il loro sviluppo, abbandonano il marsupio nascendo, se così si può dire, una seconda volta. Da quel momento la tasca della madre sarà solo un rifugio in caso di pericolo e il luogo ove riposare e cercare il latte durante il periodo di svezzamento.
I primi marsupiali apparvero in Nordamerica nel periodo Cretaceo, cioè circa 130 milioni di anni fà, ed all’inizio dell’Eocene invasero l’America meridionale ove sono ancora oggi presenti con alcune specie di opossum.
Poi, mentre le forme del Nordamerica scomparivano per l’incalzante concorrenza dei più evoluti mammiferi placentati provenienti dall’Eurasia, passarono dal Sudamerica all’Australia attraverso l’Antardide che fece per un certo periodo da ponte fra i due continenti.
In questa nuova terra, ben presto isolata dal resto del mondo, non vi erano mammiferi superiori e i marsupiali si svilupparono indisturbati colonizzando con continui adattamenti gli ambienti più disparati.
Così oggi, accanto a canguri di media taglia come il Macropus rufogriseus comune in tutti gli zoo europei, troviamo ratti canguro grandi poco più di conigli, canguri giganti rossi e grigi e persino canguri arboricoli.
Questi ultimi si nutrono quasi esclusivazmente di foglie e pue avendo gli arti posteriori più corti dei normali canguri, presentano nell’insieme una struttura in contrasto con la vocazione arborea. Avanzano con difficoltà fra i rami e si è parlato di loro come di “costruzioni sbagliate” ed “eccezioni” nell’ambito della teoria dell’evoluzione.
In realtà questi animali non si sono ulteriormente adattati alla vita arborea perchè non avevano bisogno di farlo. Nella foreste in cui vivono non hanno infatti molti nemici e le foglie di cui si nutrono sono un po’ dapertutto, anche alla portata di mediocri arrampicatori.
In compenso le caratteristiche proprie dei canguri permettono loro di saltare da un ramo all’altro e in caso di bisogno di scappare al suolo con balzi di oltre 18 metri.
Alcuni marsupiali meglio adattati alla vita arborea, come i koala, appaiono invece del tutto incapaci di sottrarsi ai pericoli.
I tricosuri, loro parenti prossimi, pur essendo dotati di una discreta agilità, quando sentono i passi di un varano che si arrampica verso il loro nascondiglio, arrivano all’assurdo di non tentare nemmeno la fuga, ma restano
pietrificati dalla paura e attendono urlando la morte.
Dato che per snidarli basta raschiare con un legno la base dei tronchi imitando il rumore delle unghie dei varani, si può ben immaginare come la loro cattura sia facile e a quali stragi furono sottoposti in passato per il commercio delle pelli.
Solo nel 1932 in Australia ne vennero esportati oltre un milione sotto il nome di “Castoro d’Australia” e “Chinchilla di Adelaide”.
Alla stessa famiglia appartengono anche i Cuscus (Phalanger maculatus), starni abitanti della foresta che per l’aspetto generale e le dita opponibili capaci di solidi prese sui rami, potrebbero far pensare ad una parentela con le proscimmie.
Come i tricosuri sono animali notturni e possiedono dei grandi occhi gialli, rossi o verde-azzurri.
La loro pelliccia, soffice come peluche, può essere bianca, gialla, rossastra, grigio-verde o nera, a tinta unita o a macchie con disegni diversi da individuo a individuo.
Le meraviglie notturne delle foreste australiane non finiscono certo qui. Si possono incontrare buffi falangeridi dalla coda ad anello e scoiattoli marsupiali volanti che veleggiano con destrezza fra un ramo e l’altro, distendendo una membrana posta fra gli arti fino ad apparire piatti.
Sono detti anche “Scoiattoli dello zucchero” o “Alianti del miele” per l’interesse che mostrano per le sostanze dolci, ma si nutrono d’insetti e uccellini appena nati.
A 15-20 metri d’altezza, in cima ai grandi eucalipti, volteggiano anche gli Acrobati pigmei (Acrobates pygmaeus). Pesano al massimo 14 grammi e come gli scoiattoli volanti planano fra gli alberi usando la coda ricca di frange come timone direzionale.
Si nutrono di piccoli insetti e nettare di fiori e posseggono dita a ventosa per “impossibili” prese sui tronchi più lisci. Ma anche il suolo brulica di animali strani.
Al limite delle foreste e persino in vicinanza dei centri abitati, è possibile imbattersi in “talpe” giganti, lunghe anche più di un metro, dette vombati. Hanno un aspetto tozzo e sgraziato e passano gran parte della giornata sotto terra in tane lunghe anche decine di metri, spesso collegate fra di loro.
Verso sera escono alla ricerca dei vegetali, soprattutto graminaceae, e raggiungono facilmente i 25 chilogrammi di peso.
Un insistente squittio nella notte rivela quasi sempre la presenza dei Bandicoot, marsupiali simili a grossi topi dal muso allungato. Scavano con la rapidità di un fulmine nutrendosi voracemente di insetti, vermi e radici.
Come i canguri, hanno le zampe posteriori più lunghe delle anteriori e considerata la loro alimentazioni carnivora, molti hanno voluto inquadrarli come una forma di transizione fra i canguri e i predatori veri e propri appartenenti alla famiglia dei dasiuridi.
Quest’ultimi dotati in genere di una notevole aggressività asssomigliano per lo più a topi, gatti e cani.
Il più piccolo della famiglia è il topo marsupiale dai piedi stretti che misura meno di 10 centimetri e possiede una coda più o meno ingrossata da riserve di grasso. Si nutre di insetti e topolini che uccide con un morso alla nuca.
Analogo è il comportamento dei Topi marsupiali dalla coda crestata (Dasycercus cristicanda) frequenti nei deserti dell’Australia centrale in grado di sopraffare anche grossi ratti.
I gatti marsupiali possono superare, coda esclusa, i 70 cm di lunghezza e presentano la dentatura tipica dei grandi preedatori. Attivi soprattutto al crepuscolo e durante la notte, attaccano anche i piccoli canguri e uccellini. Un tempo erano famosi per le stragi nei pollai, ma oggi sono diventati talmente rari che alcune specie appaiono in serio pericolo d’estinzione.
Così è ormai scomparso dall’Australia il Diavolo orsino, presente solo in remote regioni della Tasmania, e da oltre 50 anni non si hanno più notizie dei Tilacini o Lupi marsupiali, ancora relativamente “comuni” all’inizio del secolo.
Lo zoo di Hobart in Tasmania, in possesso di oltre una decina d’esemplari, avrebbe forse potuto salvarli tentandone la riproduzione in semi-libertà, ma i suoi dirigenti preferirono barattarli uno ad uno con leoni, elefanti ed altri animali d’oltre oceano finchè rimasero con un solo tilacino zoppo che morì senza riprodursi.
SCIENZA & VITA NUOVA – 1984