Intervista a Chris McBride, autore di un famoso best-seller sulla tutela dei leoni bianchi sudafricani. Negli zoo di Pretoria e Johannesburg, in obbedienza alle leggi della genetica, si sono ottenuti accoppiamenti tali da garantirci che la razza dei candidi felini sopravviverà.
Testo © Giuseppe Mazza
Sono a Melmoth, 70 km a nord ovest di Richards Bay, nel Natal, ed ho davanti a me Chris McBride, autore del famoso libro I BIANCHI LEONI DI TIMBAVATI.
Mentre la moglie, Charlotte, lo rimprovera dolcemente per avermi offerto il tè nelle tazze di tutti i giorni, gli chiedo subito che ne è stato, a dieci anni di distanza, di Temba, Tombi e Phuma, i leoncini bianchi della sua storia.
Ogni volta che penso a Timbavati, dice, mi vengono le lacrime agli occhi. Dopo che con Charlotte ho deciso d’abbandonare la riserva, perchè non ci andava di fare i cicisbei con i turisti, la nuova gestione, per far soldi, ha abbattuto troppi animali. La siccità degli ultimi anni ha fatto il resto e oggi dei leoni e dei grossi branchi d’erbivori d’un tempo resta ben poco.
Temba, il maschio cui avevamo dato il nome zulù di “Speranza”, ha 11 anni e vive in un grande recinto allo zoo di Pretoria e sua sorella, Tombi, è morta nello stesso zoo, per un tumore, mentre aspettava un cucciolo. Phuma, la femmina di cui parlo alla fine del libro, è diventata adulta, ma è stata poi uccisa da un cacciatore in circostanze non chiare.
Fu soprattutto per questo, pensando alla loro sopravvivenza, che, a suo tempo, decisi di mettere i miei leoni in uno zoo, ma oggi non credo che lo rifarei.
Parliamo dell’ipotetica felicità o infelicità degli animali in cattività e gli chiedo se in natura, prescindendo dall’uomo, un leone bianco è in grado di cavarsela.
Il bianco, continua McBride, è probabilmente un handicap per un animale che caccia di sorpresa, ma bisogna anzitutto distinguere fra maschi e femmine.
Queste non rischiano la fame perchè vivono di solito inserite in branchi con più elementi che si occupano, a turno, della caccia.
Diverso è il caso dei maschi che, quando diventano adulti, vengono spesso espulsi dal branco e debbono procurarsi il cibo da soli. Per questi, forse, il mantello bianco crea dei problemi, ma non si può dirlo con certezza perchè, fino ad ora, nessun leone bianco adulto è vissuto fuori da un branco.
Mi spiega poi che in Bophuthatswana ha seguito, per tre anni, due gruppi di leoni per preparare un nuovo libro, purtroppo già rifiutato da otto editori, sulle loro tecniche di caccia.
Ha scoperto che usano moltissime strategie, secondo le prede da abbattere e, soprattutto, secondo l’età e lo stato di salute del soggetto.
Ogni leone, continua, ha le sue tattiche preferite e anche i maschi solitari sono ottimi cacciatori, pieni di risorse.
Attaccano soprattutto di notte, quando sono meno visibili e più veloci. Se la temperatura è bassa, spendono infatti meno energie per raffreddarsi e sono capaci di maggiori sprint. Con le loro incredibili astuzie potrebbero persino annullare gli inconvenienti del bianco.
Dello stesso avviso è il Dr. Van Aarde, studioso delle mutazioni di colore nei felini. L’ho incontrato a Pretoria e si è spinto ancora più in là, ricordandomi, non a torto, che molti erbivori non percepiscono i colori come noi.
Secondo lui, per una preda che vede il mondo in bianco e nero un leone bianco, magari sporco di terra, non dovrebbe essere molto diverso dai soliti leoni fulvi.
Mi consiglia poi di intervistare il Dr. Butch Smuts, la massima autorità sudafricana sull’argomento, che ha appena pubblicato un articolo sui leoni bianchi.
Non si tratta d’albinismo, mi spiega Butch Smuts, nel suo ufficio, fra una telefonata e un’altra, gli albini hanno il pelo perfettamente candido, gli occhi rossi e sono estremamente sensibili alla luce, ma di una mutazione a metà strada fra l’abinismo e la forma normale, che apparentemente riguarda solo il colore della pelliccia.
Questa mutazione, detta negli ambienti scientifici “chinchilla mutation”, è dovuta a un gene recessivo, lo stesso responsabile delle tigri bianche di Rewa, che produce una drastica riduzione dei pigmenti.
Gli occhi, le labbra, il naso e le palpebre appaiono colorati normalmente, ma il pelo, almeno nei giovani, è totalmente bianco.
Poi negli adulti, col tempo, tende a diventare giallastro o bruno-seppia, ma un leone “chinchilla”, anche vecchio, si distinguerà sempre da un leone normale.
Gene recessivo, lo interrompo, significa che per manifestarsi deve essere portato da entrambi i genitori?
Esatto, e una tale combinazione in natura è ovviamente molto rara.
Negli ultimi 27 anni nel Kruger National Park e nella Timbavati Private Nature Reserve sono stati avvistati 14 cuccioli bianchi, ma la mortalità infantile dei leoni è molto alta (50 % nei primi sei mesi e 80 % nei primi due anni) e quindi la probabilità che due leoni bianchi, o normali con gene recessivo “chinchilla”, possano accoppiarsi è scarsissima.
Mi dicono che a Timbavati circola ancora una leonessa bianca, praticamente introvabile, che avrebbe avuto, di recente, tre cuccioli normali.
Incontri del genere sono teoricamente possibili ogni giorno nella zona centro-meridionale del Kruger, dove questo bizzarro gene bianco è oggi presente in almeno quattro branchi di leoni, ma gli unici posti in cui si è quasi sicuri di vedere i leoni bianchi sono gli zoo di Pretoria e di Johannesburg.
Ho detto quasi, perchè allo zoo di Pretoria Temba vive in un recinto così ampio e ricco d’alberi e arbusti che non è sempre facile scorgerlo. Hanno ricostruito perfettamente il “bush” e molte foto di leoni bianchi “in natura” sono state scattate qui. Di solito riposa pigramente sdraiato nella parte alta del recinto, lontano dagli sguardi indiscreti, ma il giorno della mia visita, forse per quel sesto senso che spesso gli animali hanno, mi stava aspettando.
Anche i custodi non l’avevano mai visto così bene: in piedi sul bordo del “bush”, controluce, in tutta la sua virilità. Ci guardava immobile. Il mio prezioso 800 mm, lungo un metro e piazzato su un solido cavalletto, lo incuriosiva o forse gli ricordava analoghi “gingilli” davanti a cui aveva posato, da piccolo, per il libro di McBride.
“In natura sarebbe probabilmente già morto”, mi dice Willie Labuschagne, direttore dello zoo, “qui non gli manca niente, è nutrito bene e supererà facilmente i 20 anni. Personalmente sono contrario ad esporre delle mostruosità o dei fenomeni da baraccone come l’incrocio fra un leone e una tigre o un pollo con due teste, ma se il compito dello zoo è di mostrare le varie realtà tassonomiche, un leone bianco, raro ma possibile in natura, rientra in quest’ottica. Inoltre i leoni bianchi sono un esempio vivente, per il pubblico, delle leggi di Mendel”.
Così mi spega che hanno accoppiato Temba con una leonessa normale, ottenendo il 100 % di leoni col gene bianco recessivo e che ora, incrociandolo con una figlia, si attendono il 50 % di leoni bianchi. Se potessero avere in prestito Bella o Roxelle, le leonesse bianche nate allo zoo di Johannesburg, le probabilità di avere dei cuccioli bianchi salirebbero invece al 100 %.
Ma noi, mi dice Roy Wilkenson, il dinamico Curator dello zoo di Johannesburg, per il momento non siamo interessati alla cosa perchè possiediamo già il primo branco al mondo di leoni bianchi.
Poi mi racconta una lunga storia, una favola scientifica fatta di un’incidente di caccia e un’incredibile dose di fortuna.
Nel 1977, continua, ci portarono un leone maschio, apparentemende comune, ferito dai pallettoni di un cacciatore. Lo abbiamo operato e poichè proveniva dal branco di Timbavati lo chiamammo Timba. Per alcuni era il fratello di Phuma, una delle leonesse di McBride.
Le finalità del nostro zoo sono la conservazione, l’educazione e la ricerca scientifica e poichè la produzione di leoni bianchi “a tavolino” rientrava in questi schemi, nella speranza che Timba portasse il gene bianco recessivo, lo abbiamo accoppiato con una leonessa normale.
Alla prima generazione non ci aspettavamo dei leoni bianchi, ma alla seconda, se Timba possedeva il gene “chinchilla”, per le leggi di Mendel avremmo avuto il 25% di probabilità.
Sono nate così due femmine bianche : Bella, nel 1982 e Roxelle nel 1984.
Alla terza generazione, incrociando Bella con Timba, le probabilità di avere dei discendenti bianchi erano del 50%, ma, continua sorridendo, siamo stati molto fortunati e nel gennaio di quest’anno abbiamo avuto tre maschi bianchi Rex, Simba e Chips.
Il primo è morto di una malattia virale, ma gli altri due, allevati col biberon perchè respinti dalla madre, sono ormai fuori pericolo.
Per cui, concludo, accoppiando Simba o Chips con Bella o Roxelle avete ora il 100 % di probabilità d’ottenere dei cuccioli bianchi …
Certo, e questo ci permetterà di operare scambi vantaggiosi con altri zoo e di finanziare importanti progetti di ricerca scientifica e protezione delle specie in pericolo.
Un leone normale, aggiunge infatti Denise Woods, la ragazza del South African Tourism Board che mi ha organizzato le interviste, vale 300 rands e un leoncino bianco 500.000 rands, cioè circa 150.000 euro.
Mi accompagnano finalmente al serraglio di Simba e Chips, un recinto molto ampio, per due cuccioli, con qualche alberello e un vecchio tronco, dove, da circa sei mesi, vengono allattati in pubblico, davanti alla grande balconata dei visitatori.
Si sono già abituati alla carne e oggi è il loro ultimo giorno di biberon. Prima di entrare mi spiegano che potrebbe essere pericoloso : sono una novità e, incuriositi dalle mie Hasselblad, sarebbero capaci di distruggerle in pochi secondi.
Chris Hannocks, uno dei keeper, mi consiglia perciò di posare gli apperecchi, ed entrare prima con Barbara, la mia assistente, solo per farci conoscere.
Al rumore metallico di un cancelletto che si chiude alle nostre spalle, i cuccioli ci corrono incontro.
Chris Hannocks li abbraccia, come una leonessa, rotolando al suolo e, sanguinante da un orecchio, ci chiede cosa aspettiamo ad accarezzarli. Mentre Barbara rimedia un’affettuosa zampata sul di dietro, che le lascerà un segno blu per diversi giorni, cerco invano di staccarmi Simba da un braccio. Ha già distrutto il golf e mi sta rosicchiando la camicia.
Mi gridano d’allontanarlo a colpi di mano, o di piede, sulla testa e di farmi rispettare, a zampate, secondo lo stile dei leoni.
Così, dopo un po’, vengo lasciato in pace, ma anche nei giorni successivi, quando scattavo le foto, non ero mai del tutto tranquillo se non li vedevo entrambi nel mirino.
Mentre ne riprendevo uno, infatti, l’altro mi piombava spesso alle spalle, felice, come un bambino, per avermela fatta.
Un’ultima curiosità, in argomento, che non riguarda, questa volta, i leoni, ma le loro prede preferite : le gazzelle. In un piccolo zoo presso Durban un impala bianco, non albino, ha messo al mondo, di recente, una femmina candida come la neve. Corrono tutti a vederla e non ha gli occhi rossi. Che si tratti anche qui di una “chinchilla mutation” ?
NATURA OGGI – 1986