Simbolo dei tropici, l’ibisco cresce bene anche nei climi mediterranei. Una collezione a Ceylon. La vita sessuale di queste piante che seducono gli uccelli.
Testo © Giuseppe Mazza
“Mariti et uxores monstruose connati”, così scriveva scandalizzato Linnèo, osservando, in un fiore d’ibisco, gli organi maschili saldati senza pudore ai femminili nella stessa colonna centrale.
Cinque petali sgargianti, e in mezzo un gigantesco “palo del sesso” ondeggiante al vento, orgoglioso di svolgere anche lui una parte nella grande fiera della vita.
Sulla cima, come si addice ai fiori rigorosamente pentameri, cinque stigmi sferici, gli organi femminili, irti di microscopici peli, fatti apposta per acchiappare il polline, sorretti da cinque stili che portano ad un ovario a cinque logge; più in basso centinaia di stami che mostrano irriverenti le antere, i “testicoli delle piante”, straboccanti di sferette dorate : giganteschi granuli di polline visibili anche ad occhio nudo; mini capsule spaziali, pronte al decollo, in cui dormono gli spermatozoi della pianta.
Mai come in queste specie si rivela chiara, senza equivoci, la doppia natura dei fiori, ingegnose strutture che separano l’amore dal sesso con un’avventura in due tempi : un preludio, ricco di fantasia, per sedurre i vettori del polline, e l’accoppiamento vero e proprio, la fecondazione, che avviene in sordina, nell’intimità, con schermaglie chimiche in cui le femmine conducono abilmente il gioco.
I “postini” di turno degli ibischi sono per lo più gli uccelli, sempre di ronda ai tropici dove il cibo è abbondante tutto l’anno.
Attirati dai petali fiammeggianti e dalle macchie scure convergenti al centro del fiore, i colibrì non hanno nemmeno bisogno d’atterrare : succhiano il nettare in volo, con la lingua ripiegata sui lati a formare una cannuccia, e ripartono, due secondi più tardi, con le piume cariche di polline per un’altra corolla. 20 fiori circa al minuto, ed anche 10.000 trasporti al giorno.
Stabilito il contatto stigma-polline, le cellule maschili si risvegliano, costruendo dei “tubetti pollinici”, autentici “tunnels dell’amore” per passare dalle loro piccole “astronavi” agli alloggi delle “belle castellane”, le cellule femminili, nascoste in basso nel ventre del fiore.
Un’ardua impresa in cui le “belle”, tutt’altro che “addormentate”, aiutano il loro principe azzurro a raggiungerle, favorendone la corsa, a scapito dei consanguinei e dei concorrenti, con speciali ormoni amorosi.
Poi, verso sera, i vistosi petali degli ibischi avvizziscono : l’apparato pubblicitario non serve più, e le energie della pianta si concentrano sullo sviluppo e la protezione dei figli, riparati da un frutto a cinque spicchi a forma di capsula, disidratati, e “messi in attesa” nei semi, sofisticate mini-incubatrici computerizzate che sanno quando è il momento di svegliare il pupo, e mandarlo con due sacchi di viveri sulle spalle, i cotiledoni, alla conquista del mondo.
Una struttura vincente, a giudicare dalle 300 specie d’ibisco esistenti, e da migliaia di cultivar, nati per lo splendore dei giardini dei maragià o dei ricchi governatori inglesi, e ormai di casa nelle nostre serre per alimentare spesso, con le Azalee e le Stelle di Natale, il triste commercio delle “piante d’appartamento a perdere”.
I grandi fiori dell’ Hibiscus rosa-sinensis, un arbusto di 3-4 m originario della Cina, si sono talmente affermati ai tropici da diventare, nelle agenzie di viaggi, fra i capelli di splendide ragazze esotiche, il simbolo stesso delle vacanze al caldo.
Anche se da noi d’inverno perde le foglie, la presenza di questa specie a cielo aperto è già di per sé garanzia di minime elevate, e basta un’occhiata al diametro dei fiori, proporzionale alle massime, per avere subito un’idea del clima.
Nei giardini di Monte Carlo, per esempio, all’estremo limite della fascia subtropicale, le corolle superano i 10 cm in luglio-agosto, e a fine stagione, a dicembre, sono ridotte a meno della metà. A Ceylon, ai tropici, la stessa pianta fiorisce quasi senza sosta tutto l’anno, ed i petali, larghi anche 15 cm, sono talmente vistosi da essere comunemente usati, appesi ai camion, come “pannelli per carichi sporgenti”.
Dal colore originario, rosso intenso, è nato in coltura, l’arancio, il giallo e il bianco, per non parlare dei fiori doppi, dai minuscoli “pali del sesso” semi nascosti dai petali, che ampiamente giustificano, se ce ne fosse bisogno, l’appellativo scientifico di “Rosa della Cina”.
Anche se gli ibridatori e gli appassionati lavorano sui semi, da noi la moltiplicazione dell’ Hibiscus rosa-sinensis avviene generalmente per talee apicali, da effettuare in primavera.
Basta tagliare dei rametti di 10-15 cm, con almeno un paio di foglie, e interrarli in un composto sabbioso, ben umidificato, a 21 °C circa; ma a differenza del solito, non conviene creare un “effetto serra” con dei vetri, perché in mancanza di una buona aerazione, foglie e fusti tendono facilmente a marcire.
Più facile, nei nostri climi, è la propagazione dell’ Hibiscus syriacus, un arbusto molto rustico, alto anche 4 m, originario dell’India e della Cina, in grado di superare all’aperto, senza danni, anche gli inverni più rigidi.
Ha foglie fitte con eleganti contorni, e viene spesso potato a siepe. I suoi innumerevoli fiori, bianchi, rosa, o viola, col centro per lo più rosso-scuro, misurano appena 6-7 cm, e possono essere semplici o doppi, simili a pompon di carta.
Altre specie ornamentali, poco note in Italia, sono l’ Hibiscus coccineus dalle grandi foglie a nervatura rossastra divise in sette lobi, petali cremisi e frutti sferici molto decorativi; l’ Hibiscus militaris, proveniente dagli USA, con fiori rosa o rosso sangue; l’ Hibiscus scottii, di un bel giallo solare; l’ Hibiscus moscheutos, dalle insolite corolle piatte con anche 20 cm di diametro; e l’incredibile Hibiscus mutabilis della Cina i cui petali, bianchi al mattino, si fanno rosa nel pomeriggio, e vermigli la sera.
L’elegante Hibiscus schizopetalus dell’Africa orientale, con fiori penduli e petali profondamente sfrangiati, ripiegati all’indietro, ha dato origine di recente a forme spettacolari che ne esaltano l’elegante struttura a “lanterna cinese”; e fra le specie arboree l’ Hibiscus elatus di Cuba, alto anche 25 m, colpisce per il portamento simile a un pioppo, e le vistose corolle rosse o gialle, che crescono spesso accanto, sullo stesso ramo, in insoliti contrasti cromatici.
Ma gli ibischi non sono solo piante da fiore. L’ Hibiscus cannabinus e l’ Hibiscus tiliaceus, forniscono buone fibre tessili, e da quest’ultimo, a crescita rapidissima, si ricava anche un’ottima cellulosa a basso costo per l’industria cartaria.
Le strane capsule piramidali, lunghe anche 20 cm, di un ibisco indiano, il Gombo (Hibiscus esculentus), offrono infine alle popolazioni dei tropici grossi semi sferici commestibili.
Bolliti, vengono consumati a fettine negli intingoli, ma servono anche a preparare il “Karkadè”, una celebre bevanda vermiglia degli anni trenta che sta tornando alla moda.
Utili nelle malattie di fegato, i fiori di una specie affine, l’ Hibiscus sabdariffa dell’Angola, ornamento da secoli delle capanne degli stregoni, sono stati “scoperti” di recente anche dalla moderna industria farmaceutica.
Ricchi di proprietà toniche e digestive, presentano infatti un alto contenuto d’acido malico, ossalati, saccarosio e ibiscitina. Nulla di strano per i tassonomi, che partendo dalla struttura dei fiori, rifanno in pratica, con le loro classificazioni, la storia delle piante: gli ibischi appartengono infatti alla famiglia delle malvacee e non c’è quindi da stupirsi che in millenni d’evoluzione, abbiano elaborato, con proprie peculiarità, le preziose virtù medicinali dell’altea e della malva.
GARDENIA + SCIENZA & VITA NUOVA – 1991
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