Giraffa camelopardalis

Famiglia : Giraffidae

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Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

Giraffa camelopardalis reticulata © Giuseppe Mazza

Giraffa camelopardalis reticulata © Giuseppe Mazza

La Giraffa (Giraffa camelopardalis Linnaeus, 1758) è un Artiodattilo (Artiodactyla) ruminante (Ruminantia) appartenente, con l’Okapia (Okapia johnstoni), alla famiglia dei Giraffidi (Giraffidae).

Il nome del genere, deriverebbe dal dialetto bantu “Zahraf”, che significa “animale docile”, mentre quello della specie da un testo di Cicerone, che parla di un animale strano, con le caratteristiche di un cammello e di un leopardo.

I biologi concordano oggi nel ritenere che esistano 9 sottospecie di giraffe, distinguibili per il fenotipo-colore-morfologia del mantello, e che sarebbero la :

Giraffa camelopardalis reticulata (Giraffa della Somalia)

Giraffa camelopardalis angolensis (Giraffa dell’Angola)

Giraffa camelopardalis antiquorom (Giraffa del Kordofan)

Giraffa camelopardalis tippelskirchi (Giraffa Masai)

Giraffa camelopardalis camelopardalis (Giraffa Nubiana)

Giraffa camelopardalis rothschildi (Giraffa Baringo)

Giraffa camelopardalis giraffa (Giraffa Sudafricana)

Giraffa camelopardalis thornicrofti (Giraffa di Thornicroft)

Giraffa camelopardalis peralta (Giraffa Nigeriana)

Il collo della giraffa, di lunghezza variabile da individuo a individuo e da sottospecie a sottospecie, può raggiungere la lunghezza di ben 2 metri, può far ipotizzare a chi non sia un biologo, che risulti costituito da un numero molto più grande delle sette vertebre cervicali che costituiscono quello umano e di tutti gli altri mammiferi placentati, in realtà il numero delle vertebre cervicali è identico (sempre pari a 7), quello che cambia è la lunghezza di ogni singola vertebra, che è maggiore.

Nelle giraffe esiste anche un evidente problema di fisiologia della circolazione determinato dal fatto che in posizione di collo eretto, il cervello si trova a circa tre metri più in alto dal cuore e quando l’ animale china la testa, arriva a trovarsi a una dislivello di 2 metri dal cuore. Questo innegabilmente determina degli sforzi notevoli, per far sì che il sangue giunga sempre a uno degli organi che elettivamente necessitano di un apporto fisiologico costante di esso, per la sua regolare nutrizione e ossigenazione.

A tale scopo, l’evoluzione ha fatto sì che si sia venuto a creare un triplice sistema di controllo, che mantenga in maniera sicura e costante la pressione sanguigna sistemica a valori fisiologici, oltre che aver modellato le dimensioni del cuore che raggiungono, dall’ apice appuntito alla base del miocardio la lunghezza di ben 60 cm !

Giraffa camelopardalis rothschildi © Giuseppe Mazza

Giraffa camelopardalis rothschildi © Giuseppe Mazza

Grazie a un particolare adattamento (anatomo-istologico) dell’ arteria carotide interna, alla presenza di valvole nelle vene giugulari e su un sistema vascolare chiamato Rete Mirabile che stabilizza la pressione nei vasi cerebrali (dilatando e costringendo, le piccole arterie di cui è costituito), la omeostasi della pressione sanguigna è garantita, così che l’animale non perderà (per sbalzi di pressione sanguigna) i sensi quando rapidamente alzerà la testa e quando altrettanto velocemente l’abbasserà.

Zoogeografia

Endemica dell’Africa subsahariana (dalla Somalia, Angola al Sud Africa)

Habitat-Ecologia

Savana.

Nutrizione

Di abitudini sia notturne che diurne per la nutrizione, si alimenta di germogli, frutti, baccelli e foglie (in particolare di Acacia), che strappa con le prominenti labbra, dopo aver afferrato il ramo con una lingua lunga e prensile.

Morfofisiologia

La caratteristica è un collo che può raggiungere i due metri di lunghezza, complessivamente l’animale maschio può raggiunge i 5-5,7 m d’altezza e pesare tra gli 800-2000 Kg. Le femmine sono più piccole e possono arrivare a 4-4,5 m, con un peso di 500-1200 Kg.

Il manto presenta una morfologia variegata, o macchie marroni su sfondo giallo come nella sottospecie  Giraffa camelopardalis camelopardalis, o con macchie piu’ scure (marroni) contornate da una linea bianca a formare un reticolo su sfondo giallo come nella Giraffa camelopardalis reticulata, ulteriori piccole diversificazioni in altre sottospecie.

Dotata di ottima vista, è uno dei pochi mammiferi (come i primati pongidi e gli esseri umani) in grado di distinguere i colori, anche l’ udito e l’ olfatto sono ben sviluppati. Gli occhi presentano ciglia robuste che la difendono durante la nutrizione da spine e ramoscelli. In ultimo si hanno due padiglioni auricolari non eccessivamente grandi (lanceiformi) ben sviluppati su una testa sottile e elegante con muso allungato.

Sulla testa è presente un numero variabile (da sottospecie a sottospecie) di corna, ben diverse da quelle dei bovidi (che sono cavicorni) poiché sostenute da una protuberanza ossea, ricoperta da pelle (sempre) con presenza di ciuffi irregolari di peli. Arti ben sviluppati, molto lunghi, tronco massiccio corto rispetto il collo e inclinato in senso posteriore, presenza di una lunga coda (puo’ raggiunger 1 metro di lunghezza) terminante in un ciuffo compatto di peli.

Nelle giraffe le corna sono pari e impari, inserite sul frontale o sulle ossa nasali © Giuseppe Mazza

Nelle giraffe le corna sono pari e impari, inserite sul frontale o sulle ossa nasali © Giuseppe Mazza

Negli anni ’60 del XX secolo, i biologi zoologi Dag Innis e C. A. Spinage hanno studiato a fondo la struttura del cranio della giraffa.

Le corna, che rimangono sempre ricoperte di peli, si sviluppano da centri di ossificazione sotto la cute e si fondono con l’osso sottostante.

Le due corna più grosse sono inserite sui parietali; il corno mediano, impari, sul frontale e sulle ossa nasali.

Ci sono spesso altre corna più piccole, pari, sulla regione occipitale e sopra gli occhi; esistono inoltre prolungamenti del corno mediano.

A mano a mano che gli animali invecchiano, si deposita più osso, che include i vasi sanguigni in cavità tubolari, diversamente da quanto avviene nei cervi, in cui i vasi sanguigni sono situati esternamente all’osso, sotto il velluto dei loro palchi.

Nei maschi vecchi le “esostosi” (protuberanze ossee) sono molto estese e danno al cranio un aspetto nodoso.

C. A. Spinage fece l’ipotesi che questa conformazione sia da correlare con l’abitudine delle giraffe di strofinarsi reciprocamente il lungo collo, e che l’ossificazione secondaria serva a proteggere i vasi sanguigni da possibili danni, durante la fase più intensa di questo comportamento.

Egli osservò che un maschio dotato di un cranio di 11 kg di peso, è considerevolmente avvantaggiato nella lotta, rispetto un maschio che ne possiede uno di 7 kg.

Le esostosi non sono conseguenza del trauma meccanico, ma un “carattere sessuale secondario”, di origine genetica, e non quindi una risposta ad una lesione o ad una stimolazione conseguente alla lotta.

Dolci cornate per il predominio fra maschi di Giraffa Masai © Giuseppe Mazza

Dolci cornate per il predominio fra maschi di Giraffa Masai © Giuseppe Mazza

In molti, ma non in tutti i ruminanti, il fegato è privo della cistifellea.

Molte giraffe furono dissezionate, in passato, dai biologi, ma restava ancora il dubbio se possedevano o no la cistifellea.

Finché il biologo A. J. I. Cave, risolvette nel 1950 la questione.

Per una strana combinazione, la giraffa esaminata dal biologo zoologo Owen nel 1838, la prima a essere dissezionata in Europa da un biologo zoologo (prima era solo opera curiosa dei cacciatori, che non diedero nessun contributo all’Anatomia comparata), aveva un grossa cistifellea, mentre i biologi zoologi successivi, erano stati incapaci di trovarne una nei loro esemplari esaminati.

A. J .I. Cave trovò che una cistifellea rudimentale è normalmente presente nel feto, ma che, di solito, subisce una regressione ed involuzione fisiologica, cosicché è assente alla nascita; come non era invece accaduto nell’esemplare anormale di Owen che, per più di un secolo, fu causa di tanta confusione.

Etologia e Biologia Riproduttiva

Le giraffe sono animali docili, che presentano un carattere generalmente non aggressivo.

La disposizione delle macchie è altrettanto individuale delle impronte digitali nell’uomo e il biologo zoologo Foster, se ne servì durante i suoi studi in natura, negli anni ’70 del secolo scorso, per seguire gli spostamenti e il comportamento dei singoli animali; questo grande biologo, fu persino in grado di riconoscere alcuni esemplari da fotografie prese casualmente più di dieci anni prima.

I biologi (zoologi, etologi), devono spesso servirsi di metodi di marcatura elaborati e difficili, per riconoscere singoli individui, ma con le giraffe questo non è necessario.

Tra i tanti ungulati africani, la giraffa (insieme al rinoceronte nero e bianco, alle zebre, all’elefante, l’ippopotamo e il bufalo cafro), è uno dei pochi che sia stato studiato su campo in modo completo dai biologi zoologi con seria preparazione accademica; di conseguenza, disponiamo di una notevole quantità di dati sulla sua vita, sui suoi costumi e sul suo comportamento.

La biologa A. Dagg Innis, ha studiato nelle prima metà degli anni ’60 del secolo XX, la vita delle Giraffe (Giraffa camelopardalis e la sottospecie Giraffa camelopardalis giraffa), nel basso Veldt del Transvaal orientale, in un’area a macchia costituita da latifoglie decidue, in parte fitta e in parte più aperta e simile a un parco.

Giraffa camelopardalis reticulata. I maschi amano le zone boschive © G. Mazza

Giraffa camelopardalis reticulata. I maschi amano le zone boschive © G. Mazza

Gli animali brucavano il fogliame di un gran numero di tipi diversi di alberi, ma specialmente quelli appartenenti all’ordine delle leguminose e si mostravano più selettivi, quando gli alberi erano completamente coperti di foglie.

In uno studio successivo, la stessa Dagg Innis, dimostrò che non esisteva nessuna correlazione tra le preferenze della giraffa e le ceneri, l’estratto grezzo in etere e il contenuto grezzo in proteine del fogliame analizzato.

Tali preferenze sono probabilmente basate soprattutto sul gusto … mi sembra giusto che anche le giraffe, come noi, possano essere golose.

Quando le giraffe mangiano il fogliame, possono raggiungere anche punti alti 6 m, dove si osserva una marcata linea di brucatura sulle chiome di questi alberi.

Nel Kenya, il biologo Foster ha dimostrato che gli alberi che superavano questa altezza venivano brucati a forma di “vetro d’orologio”, mentre quelli più bassi a forma di “favo d’api”.
Egli propose l’ipotesi (ancora oggi esaminata) che la presenza d’alberi del primo tipo, indicasse che nel passato la giraffa era stata assente per un certo tempo dalla località in esame, visto che, dove è sempre presente, gli alberi non riescono a crescere oltre l’altezza di quelli a forma di favo.

La D. Innis notò che “era interessante vedere tutte le giraffe più alte nutrirsi dell’albero preferito”, mentre le giraffe più basse si nutrivano dei cespugli vicini. Un esempio di organizzazione alimentare.

Le giraffe trascorrono la maggior parte del giorno mangiando e masticando il bolo, non soltanto quando riposano, ma anche quando camminano. In media una giraffa mastica ogni boccone 44 volte, al ritmo di una masticata al secondo.

Sono, come detto, oggetto delle attenzioni delle bufaghe e degli aironi guardabuoi, che si nutrono delle zecche che le parassitano, in particolare sotto il ventre e nelle aree dei genitali, dove il pelo è più sottile. E in più, anche le giraffe si danno da fare, grattandosi lo stomaco, con movimenti di va e vieni, sopra cespugli e rocce alte fino a 180 cm. Quando invece, le zecche s’installano sulla schiena, si muovono, per liberarsene, in retromarcia, nel folto “bush”.

Le giraffe possono vivere in branchi di anche 70 unità. Si tratta comunque di associazioni molto labili, perché i singoli animali spesso si aggregano e poi se ne vanno, e non vi si nota una specifica “leadership”, anche se in ogni branco misto c’è sempre un grande maschio che è di solito dominante.

La struttura di un branco di giraffe è sociobiologicamente labile © Giuseppe Mazza

La struttura di un branco di giraffe è sociobiologicamente labile © Giuseppe Mazza

Oltre a quelli misti, ci sono anche branchi costituiti da soli maschi adulti e subadulti, separati o uniti. E c’è sempre un certo numero di maschi solitari in cerca di femmine in estro.

Il periodo dell’ accoppiamento che varia da regione a regione, ma generalmente risulta essere da luglio a settembre

Non esiste alcun rituale di corteggiamento. In genere il maschio avvicina una femmina e ne lecca la coda, o la prende tra le labbra.

Facendo apparentemente finta di niente, la femmina in questione si mette a orinare, ed il maschio raccoglie un po’ dell’orina sulle labbra o sulla lingua, per assaggiarla.

Solleva allora la testa, e, con la bocca chiusa, digrigna tipicamente i denti se la femmina è in estro, il famoso “segno di Flehmen”.

Dalle informazioni della Innis, sembra che il maschio, prima dell’accoppiamento, assuma una posizione catteristica, con le zampe anteriori rigide.

La gestazione di gravidanza della femmina è di circa 14-16 mesi, il parto avviene con la femmina in piedi, la quale divarica le quattro zampe al momento dell’ espulsione dell’unico cucciolo che viene partorito (raramente si può avere un parto bigemino) il quale mediamente ha un peso di 50-70 Kg e risulta essere alto anche fino due metri. Già dopo qualche ora, il piccolo neonato risulta in grado di camminare a fianco alla madre, allattandosi frequentemente. La maturità sessuale arriva per entrambi i sessi verso il terzo anno di vita.

Nei branchi di soli maschi, si verifica una strana manifestazione di giochi d’amore. Il biologo della fauna M. J. Coe, che ha studiato dal 1966 al 1969, con minuzia, questo comportamento nelle giraffe del Kenya (sia la specie Giraffa camelopardalis che la sottospecie Giraffa camelopardalis tippelskirchi), lo descrive come un comportamento variabile.

L'abbeverata è un momento a rischio per questa Giraffa camelopardalis tippelskirchi © Giuseppe Mazza

L’abbeverata è un momento a rischio per questa Giraffa camelopardalis tippelskirchi © Giuseppe Mazza

Due maschi possono mettersi fronte a fronte e far ondeggiare la testa in modo da strofinarsi reciprocamente il collo; oppure si mettono testa-coda, e oscillano la testa dandosi dei colpi abbastanza forti con le corte corna, sui fianchi e sui lombi. Questo secondo comportamento è spesso seguito dal “segno di Flehmen” e dall’erezione del pene.

Dagg Innis, ha trovato un comportamento analogo nelle giraffe del Transvaal e fu la prima a descriverlo.

Tali biologi, ritengono che questa omosessualità costituisca un’importante meccanismo di legame socio-sessuale, per mezzo del quale viene a crearsi una gerarchia tra i maschi, mentre lo scambio tra i gruppi strettamente maschili e quelli misti, favorisce il mantenimento del contatto tra i sessi in questo mammifero poligamo.

Nel Transvaal, D. Innis ha trovato che i maschi erano più numerosi delle femmine. Nel Kenya, invece Foster ha notato il contrario, ma ha concluso che questi non si notano perché tendono a vivere nelle foreste più delle femmine e dei piccoli, che prediligono invece le zone aperte. I maschi potrebbero essere anche in minor numero, perché sono più vulnerabili alla predazione in una foresta, dove la capacità di scrutare l’ambiente circostante è ridotta. Lo spazio vitale (home-range) delle giraffe non è stato ancora determinato, ma alcuni biologi ritengono, da alcune indicazioni ottenute su campo, che le femmine ed i giovani coprano un’area di 50 km2. Né i maschi, né le femmine difendono però il territorio.

Non solo la struttura del branco è sociobiologicamente labile, ma lo è anche il legame madre-figlio, come fu notato sia da Foster che dalla Innis. I piccoli, cominciano a brucare le foglie, sin dalla prima settimana di vita postnatale, ed allontanandosi dai genitori si uniscono a gruppi di altri giovani; spesso, poco dopo, fanno ritorno dalla madre o si muovono verso un altro gruppo.

Giraffa camelopardalis tippelskirchi con un piccolo appena nato, alto già 2 m © G. Mazza

Giraffa camelopardalis tippelskirchi con un piccolo appena nato, alto già 2 m © G. Mazza

E il fatto che poi spesso le madri si vedono circolare senza prole, faceva concludere a Foster che molti neonati muoiono nei primi giorni di vita autonoma, senza lasciare traccia, probabilmente vittime di predatori e della loro inesperienza.

La struttura del branco adulto è ancora più casuale del rapporto tra genitori e figli.

Foster notò che in tutti i branchi si osservava, prima o poi, la presenza di qualche esemplare diverso.

I maschi subadulti si uniscono ai gruppi di celibi durante il terzo anno di vita, e non circolano da soli, finché non sono sessualmente maturi.

Nessuno dei biologi zoologi qui citati, ha mai registrato qualche segnale vocale di comunicazione.

Al massimo è stato udito uno sbuffo d’avvertimento.

Sembra che predomini la comunicazione visiva, cioè una giraffa viene a sapere della presenza di un pericolo, dal comportamento dei compagni.

Infatti se una giraffa per qualche ragione comincia a correre, tutte le altre immediatamente fanno lo stesso, senza neanche sapere il perché.

 

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