Famiglia : Moraceae
Testo © Dr. Claudio Littardi
Il Fico comune (Ficus carica L.) appartiene alla famiglia delle Moraceae (Ordine Urticales).
Il genere Ficus riunisce oltre 600 specie, localizzate prevalentemente nelle regioni più calde del globo. Siamo in presenza di una famiglia arcaica, già presente in diverse forme nel Cretaceo e nel Giurassico, cioè agli albori delle piante fornite di fiori.
Nell’areale mediterraneo tra i fruttiferi è diffuso e coltivato il Fico domestico (Ficus carica var. domestica), che in Italia è presente in tutte le regioni.
Il nome del genere è quello che i latini davano al fico, mentre la specie fa riferimento alla Caria, la regione dell’Asia Minore di cui si riteneva originario. In Grecia il fico edule era chiamato “sykon”, da cui il termine botanico siconio per indicare il falso frutto.
Il “frutto”, chiamato comunemente fico, come la pianta, in realtà è un “ricettacolo” carnoso, cavo, tappezzato all’interno da piccoli fiori e comunicante verso l’esterno con una minuscola apertura (ostiolo).
L’albero ha dimensioni medio grandi, cresce rapidamente ed i rami si estendono molto, talvolta curvandosi fino a terra, dando alla pianta un aspetto irregolare.
Radici vigorose, che tendono ad esplorare superfici estese del suolo, tronco torto e ramoso, con scorza liscia di colore cenerino.
Le foglie sono grandi, consistenti, scabre, pubescenti di sotto, cuoriformi alla base, raramente intere, quasi sempre divise in tre a sette lobi diseguali, grossamente dentate nel margine.
Una frequente eterofillia caratteristica le foglie, fenomeno che consente spesso di osservare sullo stesso albero, foglie unilobate e polilobate. l numero dei lobi e la dimensione sono spesso in relazione alla varietà.
Sul fico domestico le gemme a fiore si trovano sui rami dell’anno, nella parte terminale, mentre sui rami di due o più anni si trovano le gemme a legno, che germogliano vigorose quando il ramo dell’anno precedente viene amputato con la potatura.
I rami di un anno sono provvisti sempre di una o due gemme terminali a legno, che sono acuminate e ricoperte da squame.
Sotto la gemma terminale, tra brevi internodi, si notano larghe cicatrici che indicano l’inserzione della foglia dell’anno precedente, mentre cicatrici vicine, più piccole, indicano il punto in cui erano inseriti i fichi.
Fra queste tracce emerge una piccola gemma ovale, appuntita, a legno, spesso in compagnia con una gemma a frutto, di forma tondeggiante. La fruttificazione del fico è diversificata in funzione della cultivar, ma influenzata anche dalle condizioni ambientali.
Abbiamo “varietà unifere”, ovvero che producono fichi una sola volta all’anno, detti “fioroni” a inizio estate o “forniti” in autunno; altre varietà, chiamate “bifere”, forniscono due fruttificazioni all’anno, vale a dire “fioroni” e “forniti”. Per finire non mancano le “trifere”, che producono tre volte all’anno con “fioroni”, “forniti” e “cimaruoli”. Questi ultimi, in stagioni particolarmente favorevoli, rimangono talvolta fino alla primavera successiva.
Il Fico comune comprende due forme biologiche, il Fico e il Caprifico, che per secoli hanno generato curiosità e non pochi dubbi tra i botanici.
Le antiche illustrazioni ci presentano già il fico nelle due diverse forme. L’una con frutti commestibili e l’altra non mangiabili, in quanto asciutti e stopposi.
Il nome Caprifico (lat. “caprificus”, da “ficus” e “capra”, ovvero fico delle capre) trae origine dal fatto che la pianta cresce generalmente in impervi e anche nelle fessure di rupi e muri.
Nel caprifico si succedono tre tipi di infiorescenze (siconi) nell’arco dell’anno.
Una prima produzione appare in ottobre, ed è rappresentata dalle “mamme”, le quali permangono tutto l’inverno fino ad aprile, attaccate al di sopra delle cicatrici lasciate dalle foglie cadute. Questa fase corrisponde ai “cimaruoli” delle varietà “trifere” del domestico.
La seconda generazione è formata da “profichi”, che maturano in giugno e luglio e crescono nella parte terminale del ramo, sul legno di nuova produzione, al di sopra delle “mamme” e corrispondono ai “fioroni” del fico domestico.
In estate si sviluppano i “mammomi” la cui presenza si protrae fino al termine dell’estate e corrisponde ai fichi “forniti”.
La sequenza fenologica del caprifico è ben caratterizzata e strettamente legata alla curiosa e allo stesso tempo complessa biologia di una piccola vespa (Blastophaga psenes L.) che assolve la funzione di impollinatrice. Nelle regioni mediterranee, in tarda primavera, nelle ore più calde del giorno, è possibile osservare talvolta questi minuscoli “moscerini neri” che volano in prossimità dei caprifichi e cercano di guadagnare, con una certa fatica, la cavità dell’ostiolo.
Il fico può essere impollinato naturalmente soltanto da questo piccolo insetto, che a sua volta può riprodursi esclusivamente in presenza dei ricettacoli dei fichi. Ognuno dei due ha quindi bisogno dell’altro per garantirsi la naturale riproduzione.
Ogni specie del genere Ficus si avvale di uno specifico insetto impollinatore, che intraprende l’operazione per necessità di riproduzione.
Nel caprifico la Blastophaga psenes affronta questa introduzione forzata per poter deporre le uova nei fiori femminili interni, predisposti ad accogliere l’ovodeposizione e consentire, al loro interno, il completamento del ciclo biologico partendo dalle galle floreali. La sequenza si rivela senza dubbio complessa e si svolge in funzione della diversa sessualità tra fico domestico e caprifico.
Troviamo pertanto in natura due tipi di fichi: l’uno funzionalmente maschile, impollinatore e non commestibile (caprifico): l’altro funzionalmente femminile e mangereccio (fico domestico). In sintesi il fico è morfologicamente monoico e funzionalmente dioico.
A questo punto, per meglio comprendere la complessità dell’interazione tra fico e insetto è opportuno osservare la morfologia dei piccoli fiori all’interno del siconio. Nello stesso ricettacolo possiamo trovare fiori maschili e femminili. Questi ultimi sono rappresentati da fiori detti “brevistili” o “galligeni” e fiori “longistili” che, a seconda della varietà, possono essere sterili o fertili. Il caprifico possiede fiori maschili e femminili, a differenza del fico domestico che presenta solo fiori femminili “longistili”.
Nel caprifico le infruttescenze “mamme” accolgono le minuscole blastophaghe che effettuano l’ovodeposizione nei fiori “brevistili”. I maschi delle larve cresciute nelle galle fecondano le femmine e muoiono nel ricettacolo senza uscire. Le femmine sfarfallano in maggio e volano verso i “profichi” per depositare le uova nei fiori galligeni.
Verso il mese di luglio le femmine della nuova generazione sono pronte a sciamare verso i “mammoni”, ma, nell’atto di attraversare l’ostiolo del siconio per guadagnare la luce, si imbrattano del polline dei fiori maschili prodotto in grande quantità.
All’interno dei “mammoni” le femmine depongono le uova, ma siccome il mammone è provvisto anche di fiori longistili, questi ultimi vengono involontariamente fecondati con il polline trasportato dagli insetti.
In questa ultima fase del volo delle blastofaghe verso i “mammoni”, può accadere che si trovino nelle vicinanze dei fichi domestici.
In questo caso gli insetti possono penetrare nei ricettacoli dei forniti e impollinare i fiori “longistili” con il polline trasportato dal caprifico.
Da questo fenomeno casuale è nata l’antica pratica della “caprificazione”, con la posa sui rami del fico domestico di rami di caprifico con “profichi” portanti blastofaghe impollinatrici.
La pratica prevede di cogliere siconi interi, in numero vario, talvolta anche 20 e infilzarli ad un giunco o filo di iuta, e appenderli ai rami della pianta che si vuole caprificare.
Questa pratica non è necessaria per la maggior parte delle cultivar che sono partenocarpiche, ovvero che possiedono fiori longistili sterili e raggiungono la maturazione pomologica senza l’ausilio della blastofaga impollinatrice.
Vi sono però alcune varietà bifere che per assicurare la produzione di forniti necessitano della caprificazione, altrimenti i frutti cadono prematuramente.
Altri fichi possono avvantaggiarsi della caprificazione, come alcune particolari varietà partenocarpiche che migliorano le loro qualità organolettiche.
Vale anche la pena considerare che per altre varietà la caprificazione può invece incidere negativamente sulla qualità dei frutti.
La moltiplicazione del fico può anche essere fatta per margotta, semina e propaggine.
La buona crescita del fico è generalmente favorita da irrigazioni abbondanti estive e ricche concimazioni organiche.