Diceros bicornis

Famiglia : Rhinocerontidae

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Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo

 

Quando si pesa due tonnellate, alzarsi non è facilissimo © Giuseppe Mazza

Quando si pesa due tonnellate, alzarsi non è facilissimo © Giuseppe Mazza

Diceros bicornis Linneus, 1758, ordine Perissodactyla.

L’etimologia della parola Rinoceronte ha derivazione sia latina che greca (dal latino “Rhinoceros-ontis” e dal greco “Rinokeros” comparativo di “rhis rhinos”= naso e “keras”= corno).

Sono mammiferi quadrupedi, placentati (Euteri), Omeotermi-Endotermi (Endotermo: dal greco “endon”= all’interno, “thermόs”= calore, Omeotermo: dal greco “omos”= stessa, “thermόs” = calore) che come tutti gli animali a sangue caldo (gli animali a sangue caldo appartengono alle classi dei mammiferi e degli uccelli, mentre gli animali a sangue freddo a quelle dei rettili, anfibi e pesci definiti ectotermi dal greco “ektos”= al di fuori, “thermόs”= calore), compreso l’essere umano, hanno la temperatura interna costante, indipendentemente da quella ambientale, e presentano la capacità di controllarla e mantenerla tale entro specifici limiti di variazione ambientale, sfruttando gran parte dell’energia ricavata dall’ossidazione delle sostanze nutritive assunte mediante l’alimentazione; ad esempio aumentando il tasso metabolico.

L’antenato da cui derivano più direttamente i Rinoceronti è il Rinoceronte Lanoso (Coelodonta antiquitatis) un genere di rinoceronte con un manto di folta lana nera e marrone scuro vissuto in tutta l’ Eurasia durante il Pleistocene, nel periodo della glaciazione. In Russia se ne sono trovati scheletri fossili. In tale periodo geologico e per migliaia d’anni il Rinoceronte presentava una distribuzione ad alta radiazione, poiché viveva, non solo nel continente Africano e in quello Asiatico, come oggi, ma anche in tutta Europa. Prova ne è l’enorme quantità di scheletri fossili trovati in Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, etc.

Del resto molti esemplari della attuale Fauna Afroasiatica, come Panthera leo, Panthera tigris, Panthera pardus e rinoceronti del genere Ceratotherium, Diceros, e Hippopotamus amphibius, erano probabilmente residui di specie presenti in situ, prima che i vari continenti si formassero e separassero nel processo di deriva. Ad esempio nel Pleistocene inferiore, poco più di 2,5 milioni di anni fa, primo periodo dell’Era quaternaria, corrispondente al Paleolitico inferiore, quello in cui si aggirava sulla Terra l’Homo habilis e l’Homo erectus, a Figline-Valdarno, San Giovanni Montevarchi e ancora più verso Arezzo e la Val di Chiena, si aggiravano mastodonti pachidermi tozzi, di cui sono stati rinvenuti scheletri più o meno completi.

Tra questi, i più antichi proboscidati rinvenuti, sono stati i Mastodonti (Anancus arvenensis), le cui dimensioni erano equivalenti all’attuale Elefante asiatico (Elephas maximus) sebbene più tozzi e robusti. Tra Montevarchi e Rignano, fu rinvenuto l’Elefante meridionale (Elephas meridionalis), sempre pleistocenico. Resti fossili del Rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis) e di Hippopotamus major, sono stati rinvenuti dai paleontologi negli anni ’80 secolo XX, vicino Arezzo. Nello specifico, i Rinoceronti, come tutti i membri dell’Ordine dei Perissodattili e degli Artiodattili, in quanto erbivori (consumatori primari nella catena alimentare), nutrendosi di alimenti ricchi di fibre a scarso tenore energetico, devono mangiare più sovente dei consumatori secondari e terziari (carnivori), assumendo quantità di cibo enormi, spesso quotidianamente pari al 30% del loro peso corporeo. Per tale motivo vengono definiti dagli ecologi come dei “conservatori di energia” spesa per la maggior parte nel mantenere costante il valore della temperatura interna, entro limiti specifici di variazione di quella esterna. I Rinoceronti rappresentano la specie animale quadrupede terrestre, insieme agli Elefanti (Loxodonta africana specie africana, Elephas maximus specie indiana) e agli Ippopotami (Hippopotamus amphibius), di maggiori dimensioni e peso. Per tale motivo sono definiti Pachidermi (dal latino “Pachidérmus”, dal greco “pachys”= grosso, denso, pingue e “dérma”= pelle). Sono attualmente presenti 2 specie endemiche dell’Africa con 2 corni il Ceratotherium simum di Burchell detto grande Rinoceronte bianco bicorne e il Diceros bicornis Linnaeus, 1758, detto Rinoceronte nero e 3 specie endemiche dell’Asia unicorni (India, Isola di Giava, Sumatra) che sono il Dicerorhinus sumatrensis, detto anche Rinoceronte a manto peloso, il Rhinoceros sondaicus, detto anche Rinoceronte di Giava e il Rhinoceros unicornis, detto anche Rinoceronte Indiano, il più grande delle 3 specie asiatiche.

Tutte le specie sia africane che asiatiche, sono in serio pericolo d’estinzione come la International Union for Control Nature (IUCN), la Convention on International Trade of Endangered Species (CITES) e il World Wildlife fund (WWF) fanno notare seriamente, a causa ancora di sciocchi fenomeni di bracconaggio, cui si è aggiunto, sempre ad opera dell’essere umano, un intenso disboscamento degli ecosistemi (biotopi e areali) in cui vivono tali animali, per ottenere terreni agricoli e scavi destinati all’estrazione di minerali preziosi. Durante gli anni ’60 e ’70 le 2 specie africane in particolare, e il Rhinoceros unicornis per quelle asiatiche, sono state soggette a veri e propri massacri da parte dei bracconieri, per la stupida credenza che assegnava al corno macerato di tali animali proprietà energetiche e afrodisiache utilizzate nella Medicina Orientale. I biologi delle riserve africane ed asiatiche, che nonostante la collaborazione dei Rangers locali, non riuscivano ad abbattere il bracconaggio e incrementare il ripopolamento delle specie, trovarono allora uno stratagemma. Il metodo consisteva nel tagliare il lungo corno costituito da fibre cheratinose a crescita continua, l’unico usato per il commercio, in modo che tali animali non destassero più interesse.

Come una piccola proboscide, il labbro superiore strappa foglie e ramoscelli © G. Mazza

Come una piccola proboscide, il labbro superiore strappa foglie e ramoscelli © G. Mazza

Le 5 specie, che presentano differenze di dimensione e morfologiche abbastanza evidenti, hanno in comune una mole enorme e la presenza di corni a crescita continua seppur in numero e dimensioni diverse. Sono costituiti da fibre di cheratina, non riempiti di osso come nei bovini, e appoggiano su una piastra ossea. Lo spazio biotico vitale (quello che in Ecologia è chiamato Home-Range) specifico per ogni rinoceronte, che rappresenta lo spazio di cui hanno bisogno per vivere in uno stato psicofisico adeguato, a cui fa seguito la capacità di riproduzione, risulta determinato da vari parametri: la reperibilità di cibo, fonti d’acqua per bere e garantire i bagni di fango.

Questi servono, soprattutto alle specie africane, per abbassare la temperatura corporea durante il giorno ed eliminare gli insetti ectoparassiti ematofagi presenti sulla loro pelle, come accade anche per i Bufali africani (Syncerus caffer), i Bufali d’acqua (Bubalo bubalis) indonesiani, l’Anoa (Bubalus depressicornis) delle Isole di Anoa, varie specie di Zebre, Gazzelle, Giraffe, e l’Hippopotamus amphibius. Insetti che suggono il sangue dell’animale e creano, attraverso i diversi stadi dei loro cicli vitali, cisti infette nella pelle dell’ospite. Ma la soluzione migliore a questo problema è rappresentata dalle Bufaghe, uccelli appartenenti al genere Buphagus (Buphagus africanus e Buphagus erythrorhynchus detti uccelli zecca) e al Bubulcus ibis, detto Airone guardabuoi, appartenente alla famiglia degli Ardeidae e presente anche in Europa. Questi due generi vivono in simbiosi con gli animali sopra indicati e quindi anche i Rinoceronti. Si nutrono, sulle loro gobbe e dorsi, di insetti ematofagi come zecche, pidocchi, e mosche. Rompono le cisti indotte dai cicli vitali dei parassiti, le svuotano, divorano eventuali larve e aiutano l’animale a disinfettarsi bevendone il sangue che fuoriesce. Da parte sua l’erbivoro, oltre a questo nutrimento, offre alle Bufaghe e ai Guardabuoi l’opportunità di cogliere al suolo, al suo passaggio, piccoli animali come insetti, anfibi e rettili. Un’altra forma di cooperazione tra queste specie e l’ospite, trae origine dalla loro vista acutissima, da uccelli, e dalla possibilità d’emettere segnali acustici. Fungendo a mo’ d’antifurto, avvertono il simbionte del pericolo, segnalando rumorosamente, fin da lontano, l’arrivo di un competitore o un predatore.

Un altro parametro che modella la dimensione e la qualità di un Home-Range per un rinoceronte è la presenza di femmine per l’accoppiamento. L’ insieme di questi fattori, determina un areale, che per il Rinoceronte nero (Diceros bicornis) va da 2,5 a 60 km2.

Zoogeografia

Endemici dell’Africa Subsahariana Tropicale (Occidentale, Orientale), negli stati del Kenya, Tanzania, Camerun, Sudafrica, Zimbabwe, Botswana attualmente contenuti e protetti in specifici Parchi e Riserve Naturali, come Ngorongoro, Serengeti etc.

Habitat-Ecologia

Vive più specificamente nel Bush (boscaglia) e nelle zone semi desertiche.

Morfofisiologia

Con un’altezza al Garrese di 1,8 m e un peso di circa 2 t, presenta una testa grande, collo corto e robusto, orecchie piccole lanceolate, occhi laterali di piccole dimensioni, con palpebre e una coppia di corni diseguali a struttura cheratinoide a crescita continua. Uno di dimensioni maggiori, anteriore, sovrastante il labbro superiore, e l’altro più piccolo, posizionato sul lobo frontale tra i 2 occhi. Il più grande può raggiungere i 90 cm di lunghezza. Nelle specie africane, con crescita molto sostenuta dei corni, questo può essere un handicap, e per rallentarne lo sviluppo tendono spesso a levigarlo su alberi e pietre. La pelle grinzosa, spessa, senza pieghe, è di colore grigiastro scuro. La vista, come del resto in tutti i rinoceronti, è il suo lato debole. L’olfatto, l’udito, il gusto e il tatto sono invece ben sviluppati. In una ipotetica scala di qualità possiamo mettere : olfatto> udito> gusto> tatto> vista. Gli arti, come per le altre specie, sono a struttura colonnare, con piedi a tre dita, sia negli arti posteriori che anteriori, adattati al supporto di una mole pachidermica. Presentano una coda sottile terminante con un ciuffo della lunghezza di 30-40 cm.

Etologia-Biologia Riproduttiva

Si nutre principalmente di foglie, germogli, bacche e ramoscelli, strappate col labbro superiore, largo anche 20 cm, che usa come una piccola proboscide. Tale labbro risulta anche utilizzato durante le fasi di accoppiamento, come risposta Etologica del maschio alla presenza di una femmina sessualmente ricettiva (in estro-calore), dopo averne assaggiata l’orina, ad alto contenuto di estrogeni feromoni, spruzzata ad arte dalla femmina. Tale schema comportamentale è detto risposta di Flehmen (dal nome del biologo ecologo che la individuò per primo negli anni ’60) e consiste in un arricciamento verso l’alto del labbro superiore del maschio con muggiti.

Femmina di Diceros bicornis col piccolo e l'immancabile airone guardabuoi © G. Mazza

Femmina di Diceros bicornis col piccolo e l’immancabile airone guardabuoi © G. Mazza

La risposta di Flehmen è anche presente durante il parto, quando le femmine leccano il neonato, dopo averne delicatamente constatata la vitalità col corno più grande. In questo contesto è probabilmente una risposta di riconoscimento della madre verso il cucciolo.

Fra tutti i rinoceronti, quelli neri, sono probabilmente la specie più aggressiva e meno sociale.

Generalmente fanno vita separata, tranne che nel periodo di accoppiamento, dove possono formarsi anche nuclei di tre-quattro unità, costituite dal maschio, la femmina in estro, e uno o due cuccioli della generazione precedente, che può essere anche di un altro maschio.

La famiglia del Rinoceronte nero infatti non è stabile. Sia il maschio che la femmina hanno comportamento promiscuo, e possono avere più partner nell’arco della loro vita.

I cuccioli, sono allevati dalla madre, che per proteggerli può diventare pericolosamente aggressiva, verso i potenziali predatori (leoni, iene ed essere umano) o altre femmine la cui presenza può anche scatenare cariche estremamente violente.

Durante il periodo dell’accoppiamento, i maschi, in presenza di una femmina in estro, possono ingaggiare furiose battaglie coi rivali, procurandosi ferite anche gravi. I corni, possono spezzarsi, ma poi ricrescono.

Nei transitori nuclei famigliari, che si formano, i maschi dominanti, non tollerano presenza di altri maschi adulti, anche se si tratta dei propri figli. Al terzo anno di età, il maschio ormai svezzato, sessualmente maturo, viene generalmente allontanato dalla madre, e quando persiste ci pensa il coniuge di turno con cariche violente.

Il maschio del Rinoceronte nero, marca il suo territorio orinando in modo continuo o a spruzzi sul terreno mentre avanza defecando. Calpesta le feci con l’orina e spande così, camminando, il suo odore caratteristico. Un modo per farsi individuare dagli altri maschi e riconoscerne la presenza; un chiaro confine odoroso, insomma, per il suo areale.

Per quanto riguarda l’alimentazione, questi animali sono più attivi di notte o al crepuscolo, quando il sole è basso e le temperature non troppo elevate. Durante il giorno preferiscono riposare in zone ombrose, sotto alberi d’acacia (Acacia tortilis). Per quanto concerne la biologia riproduttiva e del parto, le 2 specie africane presentano caratteristiche comuni, e sono quelle su cui si hanno più notizie.

Come per gli altri Perissodattili, il sistema riproduttivo femminile consiste, di un utero bicorne concamerato. La femmina genera sempre un solo piccolo (parto monogemino) con un impianto dell’embrione di tipo Endotelio coriale (l’embrione, impiantandosi nell’utero allo stadio di blastocisti, prende contatto coi vasi sanguigni placentali attraverso il loro rivestimento, l’Endotelio). Il cucciolo alla nascita può avere un peso che oscilla tra i 50-60 kg, e a 10 minuti di vita post natale è già in grado di camminare autonomamente. L’allattamento dura in genere due anni, ma già prima d’essere completamente svezzato, a un anno di vita, inizia a brucare l’erba e qualche rampicante. Concludiamo riportando le fasi di un parto di Rinoceronte nero, descritte dal grande biologo zoologo John Goddard (Biologo Ranger del Parco Serengeti in Kenya negli anni ’70) i cui lavori, ancora oggi pienamente validi, costituiscono una pietra miliare in questo campo di studi.

Nei giorni antecedenti il parto (come per altri mammiferi) la femmina comincia a diventare più nervosa, a nutrirsi meno, e ad appartarsi, per alcuni periodi, a brevi distanze dal nucleo famigliare. Il parto consta di una fase di apertura-dilatazione del canale del parto, con rottura delle acque, una fase di spinta-espulsione del feto, e una fase di secondamento, con espulsione della placenta e delle membrane extra-embrionali. Durante il parto, che va dalle 5 alle 6 ore, la femmina emette vocalizzazioni. Le prime membrane che si rompono sono quelle del sacco amniotico (rottura delle acque) il cui contenuto e le membrane residuali vengono leccate dalla femmina. Nelle prime 4 ore la femmina rimane in piedi, la vagina si dilata, assumendo, come le due mammelle, una consistenza edematosa di colorazione rossa. Incomincia a colare un liquido colore rosso ambra dal canale del parto (liquidi degli annessi embrionali). Poi la femmina si sdraia di fianco, il respiro diventa affannoso, e dopo circa 40 minuti si cominciano a intravedere le zampe anteriori del cucciolo. Una volta uscito, il cucciolo verrà toccato delicatamente dalla madre, leccato, odorato e seguirà, come abbiamo visto, una risposta di Flehmen, con arricciamento verso l’alto del labbro superiore.

Circa due ore più tardi, ci sarà la fase del secondamento, con l’espulsione della placenta, e come accade con altri Perissodattili, ad esempio gli Equini, questa verrà subito divorata dalla madre per recuperare così, rapidamente, una parte dei liquidi e dei sali minerali persi in grande quantità durante il parto.

Sottospecie

Diceros bicornis minor, Diceros bicornis bicornis, Diceros bicornis michaeli, Diceros bicornis longipes.

 

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