Famiglia : Monodontidae
Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
Il Beluga (Delphinapterus leucas Pallas, 1776) è un mammifero eutero marino appartenente all’ordine dei Cetacei (Cetacea), al sottordine Odontoceti (Odontoceta), alla famiglia dei Monodontidi (Monodontidae) ed al genere Delphinapterus.
Zoogeografia
È una specie costiera, che vive nel circolo polare artico.
Lo si trova nelle acque che bagnano le coste del Canada settentrionale, della Groenlandia, della Norvegia, della Russia, della Siberia e dell’Alaska.
Ecologia-Habitat
I beluga sono frequentatori delle acque fredde e temperate dell’emisfero boreale, fino appunto al circolo polare artico.
La loro presenza nelle acque artiche è regolata dall’estensione dei ghiacci. Durante l’inverno boreale il limite settentrionale coincide col limite meridionale della banchisa polare; durante l’estate, questa specie migra verso le coste in zone ben definite e note ai biologi zoologi.
Questi bellissimi, socievoli e simpatici mammiferi acquatici, adorano abbandonarsi al piacere di strofinare il corpo sui sassi arrotondati nel fondale delle foci dei fiumi e scaldarsi al sole, pratiche che alcune volte sono risultate pericolose. Nel 1966, infatti, un beluga smarrito rimase intrappolato nel bacino Renano nel mare del Nord, risalendo poi il Reno fino a Bonn, prima d’invertire la marcia e ritornare in mare a Rotterdam.
Sfruttando questa loro natura, nell’estuario del San Lorenzo, esisteva un impianto di pesca, in cui venivano catturati, come pesci, in una sorta d’enorme sbarramento, per fortuna oggi chiuso.
Questa loro tendenza ad entrare negli estuari è dettata anche dalla pulizia stagionale della pelle, che deve rinnovarsi, e dalla necessità di sostare ogni anno sui bassi fondali per dare alla luce i piccoli. A volte sono sorpresi dal sopraggiungere della bassa marea, ed alcuni individui rimangono in secca. Intrappolati ed immobili, devono allora attendere il ritorno dell’acqua, nella speranza che non circoli nei paraggi un predatore, come l’orso polare.
Ancora oggi i beluga sono uccisi dagli eschimesi, che, come ogni popolazione indigena tendono a cacciare in armonia con la natura, non accecati dalla bramosia della pesca industriale e commerciale.
Prelevano solo lo stretto necessario, usando tutto ciò che può fornire questo delfinattero: carne, grasso, pelle, ossa e denti, ma hanno pur sempre un forte impatto sulla specie.
Le catture, rappresentano dal 2-24 % di ogni singolo stock, raggiungendo i valori più alti lungo le coste canadesi, con oltre 3.000 animali all’anno.
Morfofisiologia
Il nome scientifico di Delphinapterus leucas, deriva dalla fusione di delphinos = delfino, a = senza, pteron = pinna, leucas = bianco.
In italiano e spagnolo è detto beluga, in francese bélouga ed in inglese white whale o ancora beluga.
Effettivamente, rispetto a un delfino o ad un’orca, questo cetaceo manca della pinna dorsale, solo leggermente abbozzata.
Le femmine misurano 4,1 m, i maschi 5,5 m, con un peso massimo è di 1,6 t.
La differenza di lunghezza, abbastanza percettibile, è un carattere di dimorfismo sessuale. Vivono in natura, fino 30-35 anni di età. Questo splendido cetaceo dalla pelle liscia, bianco candido, ha un’area frontale del cranio molto pronunciata che riesce mediante muscoli a muovere, in relazione con la modificazione del fuoco o della direzione di emissione del sonar.
Presenta pinne pettorali molto robuste e forti, più corte di quelle del Delfino tursiope o Delfino naso a bottiglia (Tursiops truncatus), ma più larghe e robuste.
Sotto la protuberanza della fronte, mostra una parvenza di becco. Si osserva un lievissimo restringimento dietro la testa, che fa pensare ad un collo, e lo strato di grasso che lo ricopre è molto più molle di quello di altri cetacei.
La coda è possente e tende a rastremarsi di meno verso l’apice posteriore, rispetto quella di altri odontoceti.
La pinna caudale, biforcuta, è in posizione orizzontale, come in tutti i cetacei, a differenza della posizione verticale-sagittale presente nei pesci.
Gli occhi, laterali, sono piccoli rispetto al cranio; i denti conici sono nove, per ogni lato delle bocca.
Lo stomaco dei cetacei è suddiviso in camere come quello dei ruminanti, con cui sono d’altronde strettamente imparentati.
I cetacei, quindi anche il beluga, respirano emergendo con l’estremità dorsale del cranio, dove le narici si sono fuse a formare lo sfiatatoio o spiracolo; come in tutti i mammiferi, i polmoni sono in numero di due e lobulati. La frequenza respiratoria è inferiore a quella dei mammiferi terrestri, ogni atto respiratorio dura solo 0,3 secondi, e sono in grado di ricambiare l’80% dell’aria inspirata. Il beluga riesce a rimanere in apnea durante le immersioni per circa 15 minuti, arrivando anche a 647 m di profondità; la velocità massima che raggiunge è di 20 km/h.
La dieta del beluga è un tipico esempio d’adattamento alla produttività dei mari artici ed è molto varia, anche se predilige le specie bentoniche come pesci, molluschi e altri invertebrati marini, che condivide con altri predatori, tra cui il Narvalo (Monodon monoceros) e alcune specie di foche.
Purtroppo l’essere umano, come giustamente il biologo francese René Dubos dichiarò durante gli anni ’70 del secolo scorso, al Terzo Congresso Mondiale di Ecologia, è “l’agente più nocivo del nostro Pianeta”; infatti, l’inquinamento dei mari con ogni sorta di sostanza nociva o agente non degradabile, su tutti la plastica, è causa di numerose uccisioni di mammiferi marini, oltre che di uccelli, pesci e rettili.
Sostanze usate in agricoltura, come il policlorurati, comunemente conosciuti come pesticidi (ad esempio i PCB, DDT, DDE, ecc.), raggiungono tramite i fiumi, le acque marine, ed a questo si aggiunge il petrolio versato da fughe negli impianti o navi affondate.
Questo causa nei cetacei cirrosi epatiche, tumori, infezioni polmonari e sterilità sia nei maschi che nelle femmine; oppure, indebolendo il loro sistema immunitario, ne provoca la morte per spiaggiamento, ad opera di infezioni virali cui non sanno più reagire, come nel caso del morbillivirus.
I sacchetti di plastica che sporcano i mari, sono un pericolo per tutti i cetacei, compreso il beluga, ed in particolare per quelle specie che si nutrono di cefalopodi, cioè teutofaghe.
Questi infatti, possono essere scambiati per tali invertebrati marini e quindi, venire ingoiati provocando l’ostruzione del condotto alimentare. L’animale si sente sempre sazio e non si alimenta più, morendo miseramente d’inedia e carenza organica.
Anche le “reti derivanti” che si estendono per chilometri, utilizzate nella pesca a strascico, causano nei cetacei morti accidentali.
Il beluga è un animale dalla viva intelligenza come d’altronde tutti i cetacei; sono spesso presenti nei parchi acquatici e nei giardini zoologici, ad esempio negli USA in Florida, Luisiana, ecc., dove si adattano molto bene riproducendosi e interagiscono molto affettuosamente con l’essere umano, una vera delizia per i bambini; confesso un certo debole per questo dolce animale, come per il Globicefalo (Globicephala melas).
Sebbene l’intelligenza che caratterizza le varie specie di delfini e cetacei sia indubbiamente elevata (superiore a quella di un cane), come gli etologi ci hanno dimostrato, dal punto di vista zoologico però, mancando una serie di correlati anatomici e quindi anche sensoriali, presenti invece nei primati superiori come lo Scimpanzé (Pan troglodytes), fanno ancora oggi delle scimmie antropomorfe, gli animali più intelligenti lungo la scala zoologica, dopo l’ Homo sapiens; questi correlati sono ad esempio la mano, il pollice opponibile e altre strutture.
Le teorie in questo campo sono le più svariate, ma escono fuori dalla mia preparazione come zoologo da campo; probabilmente, l’intelli- genza necessita di interpretazioni che sono più pertinenti ad altri tipi di biologi come gli etologi, i neurobiologi o altri professionisti come i filosofi e gli psicologi.
Anche nel beluga, come in tutti i Cetacea, l’adattamento in un ambiente come quello acquatico, ove la visibilità è notevolmente ridotta nel migliore dei casi a solo alcune decine di metri, ha portato allo sviluppo di un sofisticato sistema di produzione e ricezione dei suoni, che s’identifica nella “ecolocazione”.
Come altri organismi marini (invertebrati, pesci, rettili, pinnipedi), anche i cetacei sono in grado di produrre una grande varietà di suoni utili per comunicare tra loro, mediante la creazione di un linguaggio vero e proprio, specie-specifico, ottenendo così informazioni sull’ambiente che li circonda, utili per navigare, per trovare il cibo, per riprodursi o per sfuggire a un predatore.
Questi suoni, possono avere frequenze elevate non percepibili dall’essere umano, cioè come ultrasuoni, oppure frequenze percepibili. Sia negli odontoceti che nei misticeti è presente questo sistema di “visione acustica”. I suoni emessi per l’ecolocazione hanno in genere frequenze molto alte, oltre i 200.000 cicli/secondo. La penetrazione dei suoni emessi è inversamente proporzionale alla loro lunghezza, quindi i cetacei la modulano a loro necessità.
Durante condizioni di nuoto normali vengono emessi suoni a bassa frequenza, che hanno un raggio d’azione di qualche decina di chilometri. La frequenza d’emissione viene variata, una volta che l’eco di ritorno porta con se l’informazione di qualche cosa d’interessante che è stato localizzato.
Una struttura adiposa nota con il nome di “melone”, posta nel lobo frontale del cetaceo, si pensa possa avere il ruolo di lente acustica, la quale concentrerebbe i segnali del “sonar” prodotti e ricevuti dall’animale. Oltre a questo sistema sonar, a base di ultrasuoni, gli odontoceti emettono come accennato una serie di suoni udibili, per comunicare tra loro. Generalmente questi suoni, che l’essere umano può percepire ad esempio sul ponte di una nave, vengono mascherati dal rumore del vento e delle onde, se l’animale è vicino invece sono percepibili; tale verso è un trillo musicale così caratteristico, che il beluga veniva chiamato dagli antichi cacciatori di balene “canarino di mare”.
Etologia-Biologia Riproduttiva
Il ciclo vitale del beluga è scandito dalle migrazioni stagionali che effettua lungo le coste dei mari artici. Gli spostamenti sono regolari, anche se non coprono lunghe distanze ed avvengono in concomitanza di diversi fattori: la formazione dei ghiacci, la diversa distribuzione del cibo e lo svezzamento dei piccoli. Sebbene è stato dimostrato che il beluga può scendere oltre i 600 m di profondità, questa specie mostra una particolare predilezione per le acque poco profonde, ed è in grado di nuotare dove l’acqua è talmente bassa da ricoprirne solo parzialmente il corpo.
Questo accorgimento gli permette di ottenere dei vantaggi: la pelle appunto esposta al sole, consente all’animale un minor dispendio energetico per regolare la temperatura, l’acqua bassa gli facilita la fuga dai predatori, come l’orca, ed infine, all’interno degli estuari, dove stagionalmente alcune prede sono abbondanti, può trovare cibo a sufficienza.
I beluga si muovono in branco ed i sottogruppi sono formati da femmine con piccoli, separate dai maschi maturi. Durante la migrazione estiva, sono i più vecchi ad aprire la strada e ad entrare per primi all’interno degli estuari, mentre il resto del branco rimane al largo. La femmina gravida ha un periodo di gestazione di 11-14 mesi. Nasce un piccolo per volta, che misura 1,6 m per 79 kg di peso. Il cucciolo uscirà prima con la coda, poi, una volta fuori, la madre o una compagna che l’assiste durante lo sgravamento, lo porteranno subito in superficie per respirare.
Alla nascita i piccoli sono maculati e scuri, per schiarirsi, durante la crescita, verso il quinto anno d’età, fino a divenire totalmente bianchi.
Il periodo di allattamento è di 20-24 mesi, la stagione riproduttiva è in primavera-estate; la maturità sessuale è tra i 6-10 anni.
La IUCN, dichiara uno status di “prossimo alla minaccia d’estinzione” per questo cetaceo.
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