Famiglia : Columbidae

Testo © Dr. Gianfranco Colombo

Specie decisamente in espansione, il colombaccio o palombo (Columba palumbus) occupa un vastissimo territorio che copre totalmente l’Europa fino agli Urali e poi, come se non bastasse, attraverso il Medio Oriente, ha colonizzato quasi tutta la fascia temperata del continente asiatico, fino alle grandi pianure indiane © Gianfranco Colombo
Solo alcuni anni fa era impensabile poter osservare dei colombacci standosene comodamente seduti su una panchina di un giardino pubblico di una città del sud Europa e vederseli zampettare attorno a becchettare briciole ed avanzi dei nostri affrettati pasti, insieme ai passerotti ed agli onnipresenti piccioni cittadini.

Eccolo in natura ingolosito e guardingo su un sambuco carico di frutti © Giuseppe Mazza
Impensabile quindi incontrarlo in pieno centro abitato immerso nel trambusto cittadino. Era un uccello selvatico, diffidente, attento e guardingo e difficilmente avvicinabile, caratteristiche che sono tuttora presenti negli esemplari campagnoli o nelle popolazioni che vivono lontane dagli ambienti antropizzati.
Bastava però andare in qualsiasi parco londinese per vederselo sgambettare tra i piedi in gran numero, tubare rumorosamente sopra il ramo più basso a due palmi dalla testa di un signore seduto sulla panchina quando poi non addirittura in cova in cima alla colonna all’entrata del parco indifferente della presenza umana.
Un uccello urbano, ormai abituato alla vita cittadina.
Il carattere vero di questo uccello è invece ben conosciuto dai cacciatori che ne fanno attiva caccia visto il gran numero e la bontà delle sue carni.
Una preda diffidente, molto intelligente a schivare i trucchi e gli zimbelli posti per attirarli.
Addirittura per il suo carattere invasivo in certe nazioni quali il Regno Unito, la stagione venatoria per questo uccello dura praticamente tutto l’anno appunto perché è considerato dannoso all’agricoltura. Di converso, nel sud Europa dove confluiscono le enormi popolazioni migratorie proveniente dagli areali nord continentali, l’attività venatoria viene praticata solo in autunno con grande attesa e passione per un notevole numero di cacciatori.
Il Colombaccio o Palombo (Columba palumbus Linnaeus 1758) appartiene all’ordine dei Columbiformes ed alla famiglia dei Columbidae ed è il più grosso ed il più diffuso fra tutti i colombi d’Europa.

Sono maturi ed irresistibili. Da sempre i suoi frutti preferiti, insieme a quelli dell’edera, alle ghiande e ad insalatine d’infiorescenze di faggi © Giuseppe Mazza

Ma oggi il colombaccio si è antropizzato e quando in cielo vola uno stormo come questo i contadini sono non a torto preoccupati per il raccolto © Gianfranco Colombo
Come spesso accade, la genesi dei nomi scientifici si perde disordinatamente nel tempo, dando origine a svariate e confuse interpretazioni.

Eccolo in un campo di mais, ma danneggia anche le colture di grano, riso, soia e girasole, e può distruggere un frutteto, spezzando in gruppo, col peso, i rami degli alberi © Gianfranco Colombo
Inoltre kolumbos ha dato il nome anche al genere Colymbus (sinonimo di Gavia e Podiceps spp.) a cui appartengono specie di uccelli acquatici tipicamente tuffatori.

Poi, come niente fosse, il vandalo scappa. Quasi il doppio del comune piccione torraiolo, la Columba palumbus raggiunge i 40 cm di lunghezza, con 75 cm d’apertura alare ed anche 600 g © G. Colombo
Tanto per rendere ancor più caotica l’interpretazione, va infine ricordato che con il termine islandese klumba si indicano le Urie (Cepphus grylle) appunto per le simili dimensioni e per il fatto che anch’esse depongono due uova come tipico per i columbidi.
Di certo la prevalenza storica su questa lingua nordica, gioca a favore del latino ma sarebbe interessante conoscerne le origini e gli abbinamenti o forse le copiature e storpiature linguistiche intervenute durante i secoli.
Il nome della specie palumbus deriva anch’essa dal latino, ma semplicemente da “palumbes” = piccione di bosco, appunto per l’habitat prevalente di questo uccello.
Questo uccello è chiamato Wood Pigeon in inglese, Pigeon ramier in francese, Ringeltaube in tedesco, Paloma torcaz in spagnolo e Pombo-torcaz in portoghese.
Da notare la stranezza nelle lingue iberiche dove il nome torcaz deriva dal latino torques = banda, collare, appunto per il disegno che porta sul collo ma lo stesso termine poi storpiato in trocaz, ha dato il nome ad una specie di colombaccio endemica dell’isola di Madeira (Columba trocaz).
Zoogeografia
Il colombaccio occupa un vastissimo territorio che copre totalmente l’Europa fino agli Urali e attraverso il Medio Oriente, la fascia temperata del continente asiatico fino alle pianure indiane.
Manca in Islanda, nell’estremo nord della penisola Scandinava e della Russia e dai territori a nord delle grandi catene montuose asiatiche. In India è assente nella parte tropicale della penisola. È presente anche in Africa unicamente in Marocco, Algeria e Tunisia.

Mentre nei piccioni torraioli, spesso ibridati col domestico, le livree variano, qui vi è sempre la caratteristica fascia bianca alare, visibile solo in volo, e quella del collare © Giuseppe Mazza

Il petto della Columba palumbus è rossastro-vinaceo. L’occhio, bianco perla, richiama il colore della cera che sovrasta il becco giallo e rosso-vinaceo. Molto pesso la pupilla è stranamente ellittica © Giuseppe Mazza
Il colombaccio è largamente residente nelle aree dove la copertura nevosa invernale risulta assente o poco presente.
Avendo una alimentazione molto varia potrebbe anche sopravvivere ad inverni piuttosto rigidi adattandosi a cibi anche non abituali.
Tuttavia si è constatato che le popolazioni continentali intraprendono durante l’autunno movimenti massicci che li portano nell’area mediterranea dove le condizioni metereologiche e l’alimentazione è reperibile con facilità.
Le drastiche trasformazioni intervenute nell’attività agricola negli ultimi decenni, con la massiccia introduzione di coltivazioni a monocoltura a mais, soia e girasole, ha favorito enormemente l’incremento delle popolazioni europee di questo uccello, facendogli raggiungere limiti anche insopportabili alla stessa agricoltura.
Questo sovraffollamento ha provocato certamente quella massiccia occupazione di territori prima aborriti per timore e precauzione, facendogli abbandonare parzialmente il tipico habitat ai quali era avvezzo.
L’habitat tradizionale del colombaccio è, come dice il nome volgare inglese, il bosco o la foresta di latifoglie ma oggi lo troviamo ovunque, essendosi in pratica assuefatto a qualsiasi situazione.
Giardini, parchi, boschetti, pioppeti, ripe di fiume, i lunghi filari di alberi nella campagna coltivata, un ciuffetto di verde od un ammasso di rovi, questo è diventato l’habitat di questo uccello.
Non ama ambienti montagnosi se non nell’area dell’Atlante marocchino.
La macchia, dove si rifugia per molte ore, è poi il punto di partenza delle sue missioni nelle campagne circostanti, dove in stormi a volte eccezionali, si riversa nelle coltivazioni provocandone spesso gravi danni.

Per fabbricare il nido i colombacci non raccolgono rami, ma li recidono col robusto becco © Gianfranco Colombo
Morfofisiologia
Il colombaccio è realmente un grande e robusto piccione, addirittura quasi il doppio del comunissimo piccione torraiolo.
Pur avendo gli stessi lineamenti, il medesimo comportamento ed a volte una livrea molto simile, conducono due vite nettamente separate e solo raramente si possono osservare insieme.
Solo in questa occasione si può notare la notevole differenza nelle dimensioni e rilevare quei piccoli dettagli che sono determinanti nella classificazione della specie.
Un volo più teso e nervoso quello del piccione e più indolente quello del colombaccio, un atteggiamento spavaldo di quest’ultimo che tiene in volo la testa sollevata ed altera mentre il torraiolo è più compatto ed arrotondato nella forma.
Il colombaccio ama appostarsi sugli alberi frondosi mentre il piccione preferisce fili, pali elettrici, tetti e costruzioni.
Se nel piccione la livrea può essere molto variabile per i continui incroci con specie domestiche, nel colombaccio è sempre costante ed evidenzia la fascia alare ed il collarino bianco.
Inoltre il volo è molto rumoroso specialmente alla partenza.
Il colombaccio misura oltre 40 cm di lunghezza, un’apertura alare di 75 cm ed un peso che può arrivare ai 600 g.
Ha forma slanciata con la coda barrata da alcune fasce molto scure; collo e testa molto prominente sul corpo.
La livrea è grigio bluastra sulla testa e la parte superiore del corpo con una attenuazione bronzo azzurrognola sul petto.
Il collo ha un tipico collare bianco limitato alla nuca, molto pronunciato con l’età, accompagnato da due fasce trasversali sulle ali, visibili quando in volo. L’occhio è bianco perlaceo come la cera che sovrasta e contrasta a sua volta con il becco giallo vinaceo. La pupilla è molto spesso ellittica e non perfettamente tonda. Zampe rossastre molto corte e robuste come è tradizione per i columbidi.

Ben nascosto nel verde, di difficile accesso anche per chi cova, il nido è una piccola piattaforma fra i rami © Giuseppe Mazza
Altro congenere molto simile è la ben nota Colombella (Columba oenas), di dimensioni leggermente più ridotte che condivide una buona parte del territorio e spesso sverna congiuntamente in stormi misti. Livrea pressoché simile se non per la mancanza dei marchi biancastri presenti nel colombaccio.
Come tutti i piccioni anche il colombaccio tuba, con un tono molto basso e cupo, un po’ più allungato degli altri congeneri nelle battute ma persistente ed udibile da molto lontano.
Emette gruppi di cinque sillabe con l’accento sulla prima sillaba: kùùùù-kuu kuu-kuu kuu a differenza della colombella che ne emette due, accentando la seconda e della Tortora dal collare (Streptopelia decaocto) che ne fa tre accentando la seconda.
Etologia-Biologia riproduttiva
Come spesso si rileva tra i columbidi anche nel colombaccio la coppia è molto affiatata ed i partner non accettano fughe d’amore. Sono anche molto territoriali e difendono il proprio spazio vigorosamente anche se poi, al momento di raggiungere i luoghi di alimentazione, si riuniscono in folti stormi e convivono pacificamente fino al momento di ritornare al nido.
Il corteggiamento è tipico dei colombi, con approcci e preening molto frequenti e con il tipico volo territoriale del maschio caratterizzato da frequenti impennate e tuffi ondulati, caratteristica che è ripresa appunto nell’etimo del nome scientifico.
Il nido è una debole piattaforma formata da rametti secchi di ridotte dimensioni, appoggiata ad un ramo orizzontale od un supporto di edera rampicante, in folti cespugli spesso inaccessibili o di difficile accesso anche per loro stessi. Questi rametti non sono raccolti a terra ma sempre staccati, a volte con notevole fatica, direttamente dagli alberi, usando il becco. Spesso nell’involo improvviso dal nido l’esemplare sbatte violentemente contro gli arbusti ed i rovi perdendo piumino e dando l’impressione di ferirsi irrimediabilmente.

Il maschio e la femmina della Columba palumbus si alternano nella cova. L’incubazione dura circa 18 giorni ed i piccoli vengono nutriti con il famoso "latte di piccione", una tipica e caratteristica poltiglia predigerita, molto nutriente, che viene rigurgitata dai genitori direttamente nel gozzo dei famelici nidiacei © Museo Lentate sul Seveso

Come di norma nel mondo dei colombi, le uova sono solo due, ma il colombaccio può riprodursi anche 3 volte all’anno © Gianfranco Colombo

Ai primi freddi invernali si possono osservare anche stormi con migliaia d’individui in rotta verso il sud © Gianfranco Colombo
È purtroppo un devastatore di coltivazioni quando in stormi a volte immensi, cala su queste aree come cavallette ed in brevissimo spazio di tempo mangia e distrugge, appoggiandosi con il suo peso, sugli steli maturi provocandone la rottura.

A fine stagione sono grassottelli, facile bersaglio per doppiette. Non è certo una specie in pericolo. In alcuni stati viene considerata nociva e la caccia ammessa tutto l’anno © Giuseppe Mazza
Per la gioia dei cacciatori ed anche degli agricoltori, il colombaccio non è certo una specie a rischio visto l’incremento riscontrato in tutta l’Europa, anche se sotto certi aspetti ed in alcuni casi, si è trattato solo di spostamenti in massa di popolazioni che sono divenute però più rade in territori marginali.
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