Famiglia : Papaveraceae
Testo © Eugenio Zanotti
Il genere Chelidonium è un genere monospecifico che comprende solo la Celidonia (Chelidonium majus L. 1753) detta anche Erba da porri ed Erba da verruche. Il suo areale di diffusione era originariamente Eurasiatico, ma nel tempo è divenuto Circumboreale (zone temperate e fredde dell’emisfero boreale).
Il nome generico deriva dal greco “khelidôn”, (latino chelidon) rondine, perché gli antichi credevano che questo uccello guarisse e aprisse con il succo di tali piante gli occhi ammalati dei suoi piccoli; è più verosimile però che, come scrisse Dioscoride, il nome sia derivato dal vento chiamato Chelidonio, che spira in primavera quando ritornano le rondini.
I latini chiamavano questa pianta Hirundinaria. Più recente l’origine del nome secondo altri autori che la traggono dal medioevale “Coeli donum”, dono dei cielo, perché si riteneva dotata di poteri soprannaturali.
Il nome della specie “majus”, deriverebbe dal latino “maius” = maggio, per il periodo nel quale si concentra la fioritura, o per altri da “magnus”, che in latino significa grande.
La celidonia è un pianta erbacea perenne, o raramente bienne, alta (10) 30-50 (90) cm, con grossa radice fittonante, arancione-brunastra, fusto prostrato o ascendente, ramoso, con nodi ingrossati e fragili così come i fusti e i rami, sparsamente pubescente.
Ogni parte della pianta geme alla rottura un latice biancastro che all’aria diviene arancione, rosso scuro e infine bruno.
Ha foglie alterne, molli, picciolate, pennatosette a contorno ovato (5-12 x 7-15 cm), con 5-7 (11) segmenti lobati o partiti, arrotondati, verde opaco di sopra, glauchi di sotto.
I fiori compaiono da aprile a ottobre da 2 a 6 in piccole ombrelle terminali peduncolate; sono larghi circa 2 cm, con due sepali liberi, precocemente caduchi, e 4 petali uguali, ovato-spatolati, giallo vivo di 5 x 9 mm, anche questi fugaci; stami gialli, allargati sotto le antere, stimma bilobato.
I frutti sono dei ceràzi (sorta di capsule che a maturità si aprono per distacco e slittamento degli strati interni del pericarpo) siliquiformi, lineari, glabri, eretti, gibbosi e spesso sinuosi, possono superare i 3 cm, aprentesi in due valve dal basso, con due file interne di piccoli semi ovato-reniformi, con superficie finemente e superficialmente con disegno alveolato, lucida, di colore bruno-scuro o nerastro e con un’escrescenza (botanicamente strofiòlo o elaiosòma) bianca, carnosa, ricca di olio e ricercata dalle formiche che provvedono alla disseminazione (mirmeòcora) portando i semi in fondo alle crepe dei muri. Vanno infatti ghiotte di queste escrescenze di origine epidermica ma lasciano integri i semi che trovano il posto giusto per germinare. Tutta la pianta fresca, manipolata, emana un odore sgradevole che si può definire “narcotico-viroso”.
La celidonia cresce sui muri, fra i ruderi, nelle boscaglie ripariali, luoghi ombrosi, dal piano fino a 1200 (1600) m. Il latice contiene parecchi alcaloidi isochinolinici molto attivi e velenosi se sovra dosati: copiticina, protropina e allocriptopina (ad azione morfino-simile), stilopina, chelidonina, omochelidonina, berberina, coptisina, sparteina, fumarina, sanguinerina, chelidoxantina, cheleritrina, ecc.), acidi malico e chelidonico, resine, enzimi proteolitici, mucillaggini, una sostanza colorante (chelidoxantina), sali minerali (specialmente fosfati di calcio, ammonio e magnesio), olii eterei e resine.
Il tempo balsamico per la raccolta della pianta intera è la fine dell’estate.
Allo stato fresco il latice ed il suo estratto alcoolico glicerinato sono impiegati come topicì cheratolitici per far regredire le verruche cutanee, papillomi, psoriasi e per ammorbidire calli e duroni.
Nelle campagne era prassi, prima di intervenire ad aiutare il parto delle mucche o dei cavalli, di usare come disinfettante per le mani un decotto di piante di celidonia e, in caso di mal di denti, si impiegava la pianta fresca spezzettata nell’acqua bollente, per suffumigi per calmare il dolore.
La celidonia ha proprietà antispasmodiche, narcotiche, catartiche, colagoghe, scialagoghe, ipotensive, diuretiche e vermifughe.
Alcuni alcaloidi della celidonia si sono dimostrati efficaci contro lo stafilococco aureo.
La decozione della pianta od il succo molto diluito, è utilizzato nelle blefariti, ulcere palpebrali, congiuntiviti ed oftalmie croniche, sotto controllo medico.
Le preparazioni per uso interno sono esclusivamente di competenza medico-erboristica, quindi da escludere dagli impieghi domestici.
In virtù di dimostrati poteri citotossici la celidonia è tuttora oggetto di studio con altre specie (Colchicum, Vinca, ecc.) come potenziali fonti di principi attivi nelle terapie oncologiche.
La chelidonina, alcaloide chimicamente simile alla papaverina, analogamente ad esso e quando è tratta dal succo fresco, ha effetto spasmolitico sulle vie biliari e sui bronchi.
La celidonia è occasionalmente coltivata nei giardini per bordure, specialmente la sua varietà Laciniata caratterizzata da petali crenulati o inciso-dentati e lobi fogliari profondamente incisi.
La celidonia è affine ad altre papaveracee come i papaveri, ad esempio il comune rosolaccio (Papaver rhoeas) che inizia a fiorire assieme a questa e ad altri generi come Roemeria e Galucium, Ipecoum, Platycapnos, Fumaria, Corydalis, ecc., od alla californiana Escocholzia di bellissimi petali di un vivo arancione coltivata per ornamento nei giardini che contrastano e ben si abbinano al colore glauco-azzurro della pianta.
Ricordiamo che Glaucium flavum, noto come papavero cornuto per le lunghissime capsule che produce, pianta costiera e nitrofila che abita scarpate asciutte, dune e le spiagge marine, contiene nelle sue parti verdi il principio attivo glaucina, la sostanza amara glaucopicrina oltre a cheleritropina, protropina, sanguinarina, sostanze resinose e mucillaginose.
Dalla spremitura della pianta fresca si ottiene un succo di colore giallastro che è da tempo utilizzato nella medicina umana e veterinaria per la medicazione delle superfici cutanee ulcerate e, nella tradizione popolare si preparavano infusi e decozioni da somministrare ai bambini come sedativo anche se, per il contenuto di alcaloidi è pratica da sconsigliare vivamente.
Ricordo a questo proposito che l’impiego delle piante, siano esse commestibili selvatiche od officinali, fatte salve quelle di tradizione consolidata nel tempo e scevre da pericoli per la presenza di sostanze velenose o tossiche (camomilla, tiglio, malva, melissa, timo, ecc.), non deve essere fatto se non sotto la guida di un medico o di un titolato erborista e, comunque, la raccolta deve essere fatta in luoghi salubri, lontani da strade, zone industriali, campi con agricoltura intensiva dove si fa largo uso di erbicidi, prodotti fitosanitari e liquami.
Preparazioni :
Latice per eliminare callosità e verruche
Rompere pezzetti di fusto ed utilizzare il latice fresco tre volte al giorno sul callo o sulle verruche proteggendo la pelle sana. Tutti i giorni fino alla regressione.
Sinonimi: Chelidonium laciniatum Mill. (1768); Chelidonium majus var. plenum Latourr. (1785); Chelidonium majus Lour. (1790) Chelidonium majus var. tenuifolium Lilj. (1792); Chelidonium ruderale Salisb.(1796); Chelidonium murale P. Renault (1804); Chelidonium majus var. laciniatum (Mill.) Lam. & DC. (1805); Chelidonium majus var. laciniatum Roth (1811); Chelidonium umbelliferum Stokes (1812); Chelidonium majus var. grandiflorum DC. (1821); Chelidonium dahuricum DC. (1824); Chelidonium grandiflorum DC. (1824); Chelidonium majus var. fumariifolium (DC.) K.Koch (1833); Celidonium olidum Tarscher. Ex Ott (1851); Chelidonium majus var. hirsutum Trautv. & C.A.Mey. (1856); Chelidonium majus f. laciniatum Schube (1913) pubbl. 1914; Chelidonium cavaleriei H.Lév. (1915); Chelidonium majus subsp. grandiflorum (DC.) Printz (1921); Chelidonium majus L. var. plenum H.R.Wehrh. (1930); Chelidonium majus subsp. laciniatum (Mill.) Domin (1947); Chelidonium majus subsp. asiaticum H.Hara (1949); Chelidonium majus L. f. acutilobum Fast (1953); Chelidonium majus L. f. quercifolium Fast (1953); Chelidonium majus L. f. serratum Fast (1953); Chelidonium majus L. var. pleniflorum Lawalrée (1955).
→ Per apprezzare la biodiversità all’interno della famiglia delle PAPAVERACEAE cliccare qui.