Famiglia : Caricaceae
Testo © Pietro Puccio
L’esatta area di origine non è nota, si suppone dal Messico meridionale al Centro America; le prime notizie storiche la danno presente agli inizi del 1500 nelle coste caraibiche dell’America centrale e a Hispaniola, viene infatti menzionata dallo storico e naturalista spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés (1478-1557), e già intorno alla metà dello stesso secolo i semi venivano portati dagli spagnoli nelle Filippine e da qui in Malesia e India.
Agli inizi del secolo successivo la sua coltivazione era già estesa all’America meridionale tropicale e a tutti i Caraibi.
Il nome generico pare derivi dal nome specifico del fico comune, Ficus carica, per la somiglianza delle foglie palmate; il nome specifico deriva dal nome caraibico in lingua Taino.Nomi comuni: “papaya”, “pawpaw” (Australia) (inglese); “papaia”, “papaya” (italiano); “papayer” (francese); “ababaia”, “fruto do mamoeiro”, “mamão”, “mamão-do-amazonas”, “mamãozinho”, “papaeira” (portoghese); “fruta bomba”, “lechosa”, “lechoso”, “lechoza” (Venezuela), “mamón”, “melón de árbol”, “melón zapote” (Messico), “papayero”, “papayo” (spagnolo); “melonenbaum”, “papajabaum”, “papajapflanze” (tedesco).
La Carica papaya L. (1753) è un albero, anche se più correttamente dovrebbe definirsi una specie semierbacea, generalmente a fusto singolo eretto, non ramificato, alto fino a 6 m e diametro fino a 20-30 cm, dalla linfa lattiginosa e corteccia verde, tendente al grigio bruno con l’età, su cui rimangono evidenti le cicatrici fogliari. Le foglie, su un picciolo cavo lungo fino a 0,8-1 m, disposte a spirale nella parte terminale del fusto, hanno lamina pinnatifida, larga 30-60 cm, profondamente divisa in 5-9 lobi lanceolati o ovati con margine intero o a loro volta suddivisi in lobi lanceolati o ovati.
La specie è solitamente dioica (ogni individuo porta o solo fiori maschili o solo fiori femminili), raramente monoica, ma in coltivazione sono state selezionate numerose varietà con fiori ermafroditi.
Le piante dioiche presentano fiori maschili riuniti in infiorescenze ascellari pendule lunghe da 0,3 a 1 m; i singoli fiori hanno un tubo corollinico lungo 2-5 cm, corolla a cinque lobi lanceolati, lunghi circa 1,5 cm e larghi 0,5 cm, di colore giallo crema, e 10 stami di cui 5 più piccoli. I fiori femminili sono generalmente solitari, a volte riuniti in corimbi ascellari in numero di 2-4, ma di cui solo uno raggiunge la completezza (gli altri cadono), con corolla a cinque lobi oblunghi o lanceolati, lunghi 5-6 cm e larghi 1,5-1,8 cm, di colore giallo crema, e ovario ovoide.I fiori ermafroditi, nelle varietà monoiche, presentano un tubo corollinico di 2-2,5 cm, corolla a 5 lobi oblunghi, di circa 2,6 cm di lunghezza e 0,8 cm di larghezza, 5 o 10 stami e ovario.
A volte piante maschili producono nella parte terminale dell’infiorescenza fiori ermafroditi che però danno luogo a frutti piccoli e allungati. Può anche succedere che alcune varietà producano alternativamente corte infiorescenze maschile e fiori femminili, in dipendenza dell’andamento stagionale. Infine, a seguito di danneggiamento o troncatura dell’apice, piante a fiori maschili o ermafroditi, possono cambiare sesso producendo solo fiori femminili.
I frutti, prodotti ai tropici lungo tutto l’arco dell’anno, sono sub globosi o ovoido-cilindrici, lunghi 10-40 cm con un diametro di 10-20 cm, di colore giallo o giallo arancio a maturità, con polpa succosa di colore giallo, arancio o rossiccio, contenente in una cavità centrale numerosi semi ovoidi neri, lunghi circa 0,5 cm, contornati da una membrana (arillo) gelatinosa.
Il peso varia normalmente da 0,5 a poco più di 1 kg, anche se non sono rari i frutti di peso superiore, fino a sfiorare i 9 kg. Benché la pianta possa vivere per molti anni, per la produzione viene rinnovata con una frequenza che generalmente non supera i quattro anni.
Si riproduce generalmente per seme, che va pulito per togliere la sostanza gelatinosa che lo riveste, contenente antigerminativi, posto direttamente a dimora o in contenitori in luogo caldo e luminoso; per evitare la frequente mortalità per marciume delle giovani piantine, conviene trattare preventivamente i semi con fungicida e utilizzare, nella semina fuori suolo, substrati sterili. I semi germinano in 2-3 settimane, ai tropici i primi frutti maturi si hanno dopo un anno, un anno e mezzo, e da quel momento la produzione prosegue senza sosta. Nel caso si voglia essere sicuri di riprodurre la varietà si ricorre alla margotta o alla talea erbacea in estate.
La papaya è uno dei più popolari frutti tropicali, ricco di calcio, fosforo, ferro, potassio e vitamina A, B e C, consumato, ben maturo, tal quale o sotto forma di succo, conserva e gelatina.
È una pianta essenzialmente tropicale, cresce e fruttifica bene e abbondantemente nelle zone in cui le temperature si mantengono tra 20 e 30 °C; valori intorno a 0 °C, anche per brevissimo periodo, danneggiano la pianta, periodi prolungati con temperature di qualche grado sopra 0 °C possono essere fatali. Preferisce suoli porosi, ricchi di sostanza organica, neutri o subacidi, abbondantemente irrigati nei periodi di secco, ma ben drenati, non sopportando acqua stagnante, che se prolungata può essere letale. Le piante di papaya sono purtroppo soggette agli attacchi di numerosi parassiti, come la “mosca della papaya” (Toxotrypana curvicauda) e il “verme della papaya” (Homolapalpia dalera) a virosi e malattie fungine, come antracnosi (Colletotrichum gloeosporioides) e oidio (Oidium caricae) che provocano gravi danni alle coltivazioni.
La papaya non è coltivata solamente per i suoi frutti, ma anche, ed estesamente, per ricavarne il lattice che contiene enzimi proteolitici, in particolare papaina e chimopapaina che hanno svariati utilizzi. Il lattice viene ricavato prevalentemente dai frutti immaturi (buccia e polpa), ma anche da altre parti della pianta. La produzione di papaina è massima nelle piante di un anno, poi diminuisce sensibilmente negli anni successivi. La papaina è impiegata nell’industria farmaceutica per farmaci con azione antiparassitaria intestinale, digestiva, favorendo l’assorbimento delle proteine, e antinfiammatoria.
La papaina è impiegata nell’industria farmaceutica per farmaci con azione antiparassitaria intestinale, digestiva, favorendo l’assorbimento delle proteine, e antinfiammatoria È utilizzata anche dalle industrie delle carni in scatola per intenerirle, della birra, per eliminare le proteine che precipitano a bassa temperatura e la intorbidiscono, della cosmetica e dei detergenti e in quella tessile per il trattamento di lana e seta prima della coloritura. È comunque da tenere presente che la papaina può provocare reazioni allergiche in individui particolarmente sensibili, sia a livello della pelle, per contatto con il lattice, che per ingestione sia del frutto, anche maturo, o di carni trattate.
Sinonimi: Carica posoposa L. (1753); Carica posopora L. (1753); Papaya carica Gaertn. (1790); Papaya communis Noronha (1790); Papaya cucumerina Noronha (1790); Papaya vulgaris A. DC. (1804); Carica citriformis Jacq. (1811); Carica sativa Tussac (1824); Papaya sativa Tuss. (1824); Carica mamaya Vell. (1825); Papaya edulis Bojer (1837; Carica peltata Hook. & Arn. (1840); Papaya citriformis (Jacq.) A. DC. (1864); Vasconcellea peltata (Hook. & Arn.) A. DC. (1864); Carica hermaphrodita Blanco (1879); Papaya papaya (L.) H. Karst. (1882); Carica bourgeaei Solms (1889); Carica papaya fo. portoricensis Solms (1889); Carica cubensis Solms (1889); Papaya cubensis (Solms) Kuntze (1889); Carica rochefortii Solms (1889); Papaya bourgeaei (Solms) Kuntze (1891); Papaya cimarrona Sint. ex Kuntze (1891); Papaya peltata (Hook. & Arn.) Kuntze (1891); Papaya rochefortii (Solms) Kuntze (1891); Carica jamaicensis Urb. (1909); Carica portorricensis (Solms) Urb. (1910); Carica jimenezii (Bertoni in J. B. Jimenez) Bertoni (1913); Carica papaya var. jimenezii Bertoni in J. B. Jimenez (1913); Carica pinnatifida Heilborn (1936); Carica papaya fo. mamaya Stellfeld (1947); Carica papaya var. bady Aké Assi (1961).
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