La fabbrica delle acciughe. Sulla costa atlantica del Sudafrica si trova uno stabilimento che tratta annualmente migliaia di tonnellate di acciughe pescate nella zona. In pochi minuti vengono trasformate in olio e farina.
Testo © Giuseppe Mazza
Nulla va sprecato.
Da una tonnellata d’acciughe si ricavano 220 kg di farina di pesce e 30-85 litri d’olio grezzo.
Unico scarto l’acqua, un bianco vapore che esce quasi ininterrottamente dalle ciminiere della Lambert’s Bay Canning Company.
Visibile a chilometri di distanza, sale dritto verso il cielo, abbagliante come neve, e poi si appiattisce al suolo, mischiandosi spesso alle nebbie che si formano lungo la costa per effetto della corrente fredda del Benguela.
Un’atmosfera irreale, da porto scandinavo, in cui, fra grida d’uccelli, si muovono degli strani fantasmi neri in tuta blu.
Siamo 300 km circa a nord di Cape Town, lungo la costa atlantica del Sudafrica, in uno dei posti più pescosi del mondo, luogo d’incontro, in ottobre, di cormorani, pinguini, ed oltre 10.000 sule che giungono fin qui, per riprodursi, anche dal Golfo di Guinea.
Non hanno paura della gente: la ignorano; e a parte qualche turista o studioso, l’uomo fa altrettanto. La “febbre dell’acciuga”, sembra aver contagiato tutti, e non c’è tempo pel resto.
“La stagione di caccia”, mi spiega Mr George Dunn, Public Relations della Lambert’s Bay Canning Company, “si apre il 15 gennaio e dovrebbe finire in giugno.
Ogni sera le nostre barche si portano al largo, dove la corrente fredda del Benguela assicura un continuo apporto di plancton, e li, col sonar, individuano i grossi branchi d’acciughe.
In una notte possono prenderne anche 1.200 tonnellate, e raramente tornano a stive vuote. Cercano due specie: una di profondità, l’Etrumeus teres, di cui se ne può pescare fin che si vuole, ed una di superficie, l’Engraulis capensis.
Questa è più facile da prendere, ma è anche la principale fonte di cibo degli uccelli marini, e ogni anno il ministero della pesca ci fissa quindi un tetto massimo, da non superare.
Di solito 34.000 tonnellate, cui possono poi aggiungersi, se la stagione è favorevole, altre 20.000 tonnellate.
La pesca si protrae allora fino a tutto ottobre, e ci restano appena 2-3 mesi per la manutenzione delle barche e degli impianti”.
“Ma gli uccelli non ne risentono?” lo interrompo guardando le sule e i cormorani che, carichi di pesce per i nidi, passano senza sosta davanti alle finestre della fabbrica.
“Si è molto discusso, in passato”, continua George Dunn,”sui possibili danni che la nostra attività comporterebbe all’equilibrio biologico e agli uccelli marini in particolare.
Ma a Lambert’s Bay le sule sono in aumento, e un geniale esperimento ha mostrato l’anno scorso, senza alcun dubbio, quanto il pesce sia ancora abbondante.
Le sule, come noto, sono fra i più grossi uccelli marini: depongono un sol uovo, ed i loro piccoli, degli autentici divoratori d’acciughe, crescono al ritmo incredibile di 1 kg al mese.
Si è pensato quindi, al momento della schiusa, d’aggiungere a un nido un pulcino appena nato, sottratto a un’altra coppia.
Se il pesce fosse stato scarso, nonostante la buona volontà dei genitori adottivi, uno dei due piccoli sarebbe certamente morto di fame per la voracità dell’altro.
E invece, a fine stagione, superavano entrambi il peso standard.
Per il momento, dunque, la disponibilità d’acciughe è nettamente superiore al fabbisogno degli uccelli.
Ci avvisano che è rientrata la flotta.
Otto bianchi pescherecci, con un elegante bordo rosso e nero, fanno la coda all’attracco, mentre un grosso tubo aspirante risucchia rumorosamente dalla stiva montagne d’acciughe scintillanti.
Perderanno subito la lucentezza, e gran parte delle squame, in un cilindro rotante, che le avvia senza sosta, malconce, ad un nastro trasportatore.
Raggiungono la fabbrica, e finiscono in enormi cisterne di cemento.
“Sono 8 vasche da 100 tonnellate”, mi precisa George Dunn,”ma non vi restano a lungo.
La lavorazione inizia subito, e quando le ultime barche attraccano, il carico delle prime è già smaltito”.
Le acciughe cuociono a vapore, per circa 5 minuti, a 90° C. Poi vengono pressate, e l’olio, scuro come la pece, passa in una strana macchina assordante, degna del sommergibile di Capitan Nemo o d’un film del Fellini.
Vibra, fra nuvole di vapore, su un pavimento d’acciaio; sbuffa, e separa senza sosta l’olio grezzo dall’acqua.
La carne e le ossa delle acciughe vengono intanto tritate, e passano per l’essiccazione in un’enorme cilindro rotante, da cui esce una polvere terrosa con un aroma inconfondibile: la farina di pesce.
“Serve come mangime per animali, soprattutto polli”, mi spiega George Dunn,”ma anche per arricchire alimenti umani e il pane dei paesi poveri.
L’olio entra nella produzione di margarina, burro, saponi, cosmetici e medicinali. Ha un alto tenore di EPA, e viene esportato in Giappone per farmaci contro il mal di cuore”.
Anche i “polli all’acciuga”, presenti in tutti i ristoranti sudafricani, sembrano incorporare questa preziosa molecola, e secondo recenti studi effettuati in U.S.A., sarebbero la miglior cura preventiva dell’infarto.
SCIENZA & VITA NUOVA – 1989