Tutto sull’aloe, da un punto di vista storico, geografico, orticolo e medicinale. Una pianta grassa che appartiene alla famiglia dei gigli.
Testo © Giuseppe Mazza
In luglio-agosto, in pieno inverno australe, è difficile trovare paesaggi più belli e insoliti di un’ondulata savana con boschetti d’aloe in fiore.
Non crescono mai isolate, e sovrastano con vistose infiorescenze i bassi arbusti e le sparute acacie del “bush” sudafricano.
All’alba, prima che la temperatura salga, e si sveglino le api coi loro terribili pungiglioni, sono la meta d’obbligo di variopinti uccelli impollinatori.
In posizioni acrobatiche, a testa in giù, cercano il nettare fra le intricate corolle dell’ Aloe chabaudii, le ondeggianti infiorescenze dell’ Aloe petricola e della castanea, ed i grandi candelabri fioriti dell’ Aloe rupestris, dell’ excelsa, o della marlothii.
I leoni vi hanno girato intorno tutta la notte, ed ora è il turno delle timide gazzelle, dei facoceri, e delle giraffe, che guardano incuriosite questi strani “mazzi di fiori” alla loro altezza.
Immagini dalle tinte calde, molto diverse dall’Africa convenzionale che ci portiamo dentro.
A sud della Namìbia, nel Namaqualand, il paesaggio cambia di colpo.
Desertico per 9 mesi all’anno, si trasforma ad agosto in un grande giardino : un mare di fiori da cui emergono maestose, sui roccioni, due gigantesche aloe arboree dalle corolle dorate : la dichotoma e la pillansii.
Da giovane il tronco di questa specie è dritto e liscio come una colonna, ma poi si ramifica e può raggiungere i 10 m d’altezza e i 2 m di diametro.
Ma cos’è botanicamente un’aloe ?
Anche se a prima vista non sembra, è una Liliacea.
I fiori, ammassati spesso a centinaia in infiorescenze a pannocchia, rispecchiano infatti in pieno le regole d’oro di questa famiglia : un perigonio cilindrico formato da sei parti, sei stami, e un ovario supero.
“Gigli fuori ordinanza”, dunque, che anziché rifugiarsi sotto terra in un bulbo, per trascorrere in letargo i mesi avversi, immagazzinano l’acqua in foglie carnose, disposte a rosetta, in grado di gonfiarsi e sgonfiarsi a fisarmonica per far fronte ai lunghi periodi di siccità.
Una soluzione originale per piante spesso di grossa taglia, costrette a fare i conti con piogge sporadiche e temperature estive che sfiorano i 45° C.
Ma quante sono ?
Difficile dirlo, anche perché in natura le aloe si ibridano facilmente.
Un tempo si parlava di oltre 1.000 specie; oggi, dopo aver scoperto almeno 300 ibridi naturali, i botanici si sono messi d’accordo su circa 200 specie, per il 90% sudafricane, con qualche rappresentante in Madagascar, nel resto dell’Africa, e nell’Arabia meridionale; e si ritiene che le piante spontanee al di fuori di queste zone, siano state per lo più introdotte dall’uomo.
Nell’antichità, l’interesse per le aloe era infatti enorme.
Note ai Greci per le virtù digestive e lassative (sembra che il loro nome derivi da “als” o “alos”, cioè “sale”, con riferimento al succo amaro che si ricava dalle foglie), si diffusero rapidamente in India e nel bacino Mediterraneo per opera dei Fenici, naturalizzandosi così bene da sembrar spesso autoctone.
Almeno una dozzina di specie, hanno infiorescenze, foglie, o i semi commestibili, e quattro, l’ Aloe ferox, l’ Aloe barbadensis, l’ Aloe Africana e l’ Aloe arborescens, vengono coltivate ancora oggi su vasta scala per l’industria farmaceutica e cosmetica, con impieghi tradizionali in campo dermatologico e digestivo, ma anche d’avanguardia, nella cura di certe malattie oculari.
L’ Aloe barbadensis, nota anche come Aloe vera o Aloe vulgaris, è la specie più usata in cosmesi.
Originaria sembra delle Isole di Capo Verde e delle Canarie, e forse spontanea nelle regioni nord orientali dell’India, nell’Arabia meridionale, in Sud Africa, e nell’Africa orientale, si è naturalizzata alla perfezione in Sud America e nelle isole dei Caràibi.
I succhi delle foglie, battericidi, fungicidi, analgesici e antiflogistici, hanno spesso “effetti miracolosi” sulle ferite e le scottature, grazie a un miscuglio ben dosato di principi attivi che agiscono parallelamente, per sinergia, rinforzandosi l’un l’altro.
La sua coltura richiede un clima secco e temperature elevate fra i 19° e i 32° C, valori che in genere si riscontrano fra il 25° ed il 28° parallelo, e il maggior centro di produzione è il Texas, con oltre 2.000 ettari coltivati e 60.000 tonnellate di foglie all’anno.
Quando i germogli laterali delle piante madri raggiungono i 15 cm, vengono staccati e interrati a 50 cm di distanza.
Poi si tolgono i fusti fioriferi, per non indebolire le piante in un’inutile produzione di semi, e quando le foglie, ben nutrite, raggiungono il peso di 450-750 grammi, e i 40-50 cm di lunghezza, vengono recise alla base, due o tre per pianta, ogni due settimane.
Tolti i margini spinosi, vengono lavate e affettate in strisce sottili per estrarre il gel parenchimatico, una massa mucillaginosa e vischiosa.
È la “materia prima” che agitata fino a liquefazione, viene poi concentrata, e venduta liofilizzata o come estratto oleoso.
Da noi, a meno d’ospitarla in piena terra, al riparo di una serra o di una pensilina, difficilmente ci si potrà permettere il lusso di farla a fette per cataplasmi, o strizzar come “tubetti disinfettanti” gli apici fogliari recisi.
Meglio considerarla una pianta d’ornamento insolita a fiori gialli, e usare semmai a questo scopo le foglie della ben più rustica Aloe arborescens, d’origine sudafricana, di casa, a cielo aperto, in tutti i giardini della Riviera.
Nel Medio Evo era celebre per la cura delle ustioni, e ancora in tempi recenti, in Sud Africa, ogni famiglia colonica se la teneva nell’orto, a portata di mano, col nome di “burn aloe”. Tutti conoscono i suoi grandi cespi, le lunghe foglie ricurve con margini spinosi, ed i precocissimi fiori rosso-corallo che allietano in pieno inverno le nostre passeggiate a mare.
Una specie analoga, la salmdyckiana, forse un ibrido fra l’ arborescens e la ferox, ha infiorescenze più lunghe, raggruppate a candelabro.
Al Jardin Exotique de Monaco ha sopportato senza grossi danni, all’aperto, la neve e i -5° C. In vari giardini della Riviera, è facile imbattersi, a fine inverno, anche nelle vistose infiorescenze della marlothii, della dichotoma, e della ferox, una pianta dalla crescita lenta, molto usata, oltre che dall’industria farmaceutica, nella produzione d’aperitivi.
Specie precoce, resistente al freddo, ma quasi sconosciuta nei giardini mediterranei, è invece l’ Aloe speciosa, diffusa sulle montagne del Little Karoo non molto distanti da Cape Town.
I suoi fiori, stipati in dense pannocchie, trascolorano maturando dal rosso al bianco.
Ma le aloe non sono solo piante a fioritura invernale. I vivaisti sudafricani ne offrono di spettacolari in ogni stagione, e dove il clima lo consente, si potrebbe metter su un “giardino delle aloe” con sempre qualche pianta in fiore.
Due specie, la woolliana e la ciliaris, sbocciano già del resto, con più cicli, quasi tutto l’anno.
Quest’ultima, ben naturalizzata in Riviera, si riproduce facilmente per talea di giovani rami, e si presta molto bene, col suo portamento sarmentoso, a rivestire muri e nicchie.
Una specie analoga, da introdurre, potrebbe essere anche l’ Aloe tenuior, con fiori gialli o, più raramente, color corallo.
La coltura di tutte queste specie è molto facile, ma non bisogna dimenticare che sono piante grasse : tollerano spesso il freddo (alcune specie crescono ad alte quote, dove per qualche ora la temperatura può scendere anche sotto zero) ma non l’umidità.
Il terreno dev’essere quindi ben drenato, e durante l’inverno in genere non vanno annaffiate. Le foglie debbono comunque asciugare in fretta, ed è bene non spruzzarle, perché il cuore delle rosette tende facilmente a marcire.
In zone poco adatte, tipo la Pianura Padana, le aloe vanno tenute in vaso, per ripararle d’inverno in una veranda luminosa.
Ed anche se l’ Aloe arborescens dà prova di una robustezza e un’adattabilità eccezionale, sarà meglio orientarsi verso specie di piccola taglia a foglie decorative, come l’ Aloe brevifolia o la variegata non più alta di 30 cm.
Il terreno, dev’essere sabbioso ma ricco. Contrariamente a quanto si crede, infatti, le aloe crescono in terre molto fertili, e la mancanza di nutrimento, col cattivo drenaggio, è fra le principali cause d’insuccesso.
Tutte le specie fin qui citate richiedono terreni neutri, ma una ventina circa ha bisogno di suoli alcalini, e una dozzina di terreni acidi. Fra queste la più celebre è senza dubbio l’ Aloe plicatilis, diffusa a sud ovest di Cape Town.
Le sue foglie, anziché a “rosetta”, sono opposte, e formano strani “ventagli” molto decorativi. Raggiunge i 3-4 m d’altezza, e avvezza com’è al freddo e alle piogge invernali, potrebbe crescere facilmente all’aperto nei caldi giardini del sud.
Le aloe si moltiplicano per lo più separando i polloni basali, o con talee estive dei germogli laterali del fusto. Vanno messe nella sabbia umida, dopo aver lasciato cicatrizzare 2-3 giorni il taglio in un luogo caldo e secco, e la crescita delle radici può essere accelerata da ormoni, facilmente reperibili in commercio.
Le specie con una sola “testa” non si prestano naturalmente a questa pratica, ma se a causa di una gelata il tronco è compromesso, si può reciderlo di netto e ripiantarlo più basso.
C’è anche la lunga via del seme. Occorre, è vero, una pazienza infinita, ma le piante così ottenute sono in genere più robuste e adatte ai nostri climi. A differenza degli animali, infatti, il mondo verde mostra un’enorme variabilità individuale all’interno delle specie, e fra le piantine in germinazione, ce n’è sempre una “diversa”, più adatta alle mutate condizioni ambientali.
I semi, contenuti in capsule deiscenti di varia grandezza, vanno sparsi in primavera su un terriccio leggero ma sostanzioso, composto per 2/3 da buona terra, e per 1/3 da sabbia. Si coprono con uno straterello di ghiaia, che permetterà all’aria di circolare, e le piantine si rinvasano dopo un anno, quando raggiungono i 2-4 cm d’altezza, con molta attenzione, per non rompere le fragili, ridottissime radici.
GARDENIA + SCIENZA & VITA – 1988
Di recente il genere Aloe è stato assegnato alla famiglia delle Xanthorrhoeaceae.