Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
L’ordine dei Caudati (Caudata) o Urodeli (Urodela), comunemente identificato con salamandre e tritoni, è il secondo per dimensioni e varietà di specie, dei tre ordini in cui i biologi hanno suddiviso la classe degli Anfibi (Amphibia). Il più piccolo è quello degli Apodi (Apoda), il più grande e variegato è quello degli Anuri (Anura).
Fino al 1950, e ancora oggi alcuni biologi dell’International Code of Zoological Nomenclature (ICZN, una delle società scientifiche predisposte alla tassonomia biologica) parlano di un quarto ordine, quello dei Meanti (Meantia), o Trachistomati (Trachistomata), proposto nel 1815 dal biologo Rafinesque, che comprendeva animali come la Grande sirena (Siren lacertina). Ma oggi, secondo la più accettata tassonomia, questa specie è integrata ai caudati, membro della famiglia dei Sireni (Sirenidae).
Anche qui, come per gli Anuri, daremo nella classificazione tassonomica alcune informazioni sulle numerose specie che caratterizzano l’ordine, mentre dettagli specifici verranno esposti nelle singole schede.
La parola composta Urodeli (Urodela), deriva dal greco antico e significa “con coda ben esposta”, ed anche il recente appellativo di Caudati (Caudata) vi fa esplicito riferimento. Tutti i membri di quest’ordine, presentano infatti, come le salamandre e i tritoni, code a sezione circolare, in alcuni casi molto lunghe e robuste, con una muscolatura segmentata (miosetti). Una caratteristica, che li differenzia a prima vista morfologicamente dai rospi, rane e raganelle (Ordine Anura), privi di coda, tranne che la Rana caudata (Ascaphus truei) dove è comunque ridotta al minimo.
A differenza degli Anura, con arti posteriori molti sviluppati per la deambulazione a salti, e degli Apoda o Gymnophiona (in passato classificati come Caeciliforma) completamente privi di arti, i Caudata mostrano in genere quattro zampe ben sviluppate di taglia analoga, anche se come vedremo non mancano, in seguito a particolari adattamenti evolutivi ed ecologici, specie con zampe più o meno ridotte o completamente atrofizzate. La pelle è ben aderente al corpo e “nuda”, ma anche in quest’ordine è sempre più o meno ricca di ghiandole secernenti muco (mucipare) e ghiandole secernenti sostanze tossiche per i predatori (granulose). Il cingolo pettorale è in buona parte cartilagineo.
Nel suo insieme la forma del corpo richiama quella dei Lacertidi (Lacertidae) una famiglia di rettili (Classe Reptilia) afferenti all’ordine degli Squamata, ma vi sono anche similitudini coi serpenti (Sottordine Serpentes), e gli Anguilliformi (Ordine Anguilliformes), come nel caso dei Sirenidae e della Amphiuma means.
La somiglianza con le lucertole è più conforme alle specie terrestri, mentre nelle numerose specie acquatiche la coda si presenta fortemente compressa ai lati e, spesso munita di ampie membrane natatorie.
Anche questi anfibi hanno uno sviluppo indiretto, mediante larva metamorfosante, ma mentre negli Anura le branchie delle larve sono per lo più interne, qui troviamo sempre tre paia di branchie esterne, che alcuni generi conservano durante tutto il loro ciclo vitale. Talora gli adulti non hanno né branchie né polmoni, e respirano solo attraverso la pelle e la mucosa boccale. Si tratta generalmente di animali “gonocorici” (a sessi separati) e la fecondazione può essere esterna (esogena) o interna (endogena).
Alcune specie di Caudata, appartenenti rispettivamente alle famiglie dei Proteidi (Proteidae) e Pletodontidi (Plethodontidae), presentano un adattamento avanzato alla vita acquatica “ipogea”: pozze d’acqua in caverne e grotte.
Sono prive d’occhi, depigmentate, di dimensioni generalmente modeste, con un tasso metabolico molto basso. Il tipo di nutrimento dipende dal flusso di nutrienti portati da corsi d’acqua che penetrano in tali strutture geologiche, o che decantano in questi ambienti. E a ciò è legato anche il loro modesto indice riproduttivo.
Ma anche nel mondo dei Caudata non mancano specie molto sviluppate, come la Salamandra gigante del Giappone (Andrias japonicus), vorace predatrice con oltre 1,5 m di lunghezza.
Tutte le specie appartenenti ai Caudata sono carnivore. Si nutrono di invertebrati (anellidi, oligocheti, molluschi) o in alcuni casi, come per la Salamandra gigante (Andrias japonicus), anche di piccoli anfibi, pesci, rettili e altri vertebrati di dimensioni modeste. Dal punto di vista ematologico, sono caratterizzati da globuli rossi nucleati allo stadio maturo, ellittici e molto grandi, diversamente da quelli dei Mammiferi (Mammalia), nello specifico i Primati (Primates), incluso l’essere umano, ove sono discoidali-concavi, piccoli e anucleati (privi di nucleo) allo stadio maturo di eritrociti.
Tassonomia e specie
Fino a nuovo ordine, i biologi raggruppano questi animali in otto famiglie e poco più di 300 specie.
Famiglia dei Criptobranchidi (Cryptobranchidae), salamandre giganti, 3 specie.
Sono anfibi primitivi, esclusivamente acquatici, con adulti senza branchie e palpebre mobili.
Vi appartiene la Salamandra gigante del Giappone (Andrias japonicus), detta anche Megalobatrachus japonicus da alcuni biologi, per lo più di scuola nipponica, che con i suoi 150 cm di lunghezza gareggia con l’affine Salamandra gigante della Cina (Andrias davidianus) per la taglia del più grande anfibio esistente.
Abita esclusivamente i distretti montuosi dell’isola nipponica di Hondo, dove viene chiamata “hanzaki” dalle popolazioni autoctone e frequenta principalmente le fredde acque dei torrenti montani, evitando la luce e celandosi negli anfratti delle rocce sommerse.
Un animale torpido, che trascorre gran parte della sua esistenza immobile, e decide di spostarsi solo di notte, quando è costretto dalla fame. Piccoli pesci, anfibi e crostacei, vengono afferrati mediante un inatteso guizzo e inghiottiti quasi interi.
Il corpo è superiormente compresso, con fianchi aggraziati, che mostrano una grande plica cutanea, e un capo insolitamente largo e piatto.
La primitività della sua morfologia si manifesta nell’assenza di branchie, con zampe piccole rispetto al corpo tozzo, che fanno pensare quasi a un piccolo varano. Quelle anteriori recano tre dita, mentre le posteriori ne posseggono quattro palmate, ben adattate alla vita acquatica, come la coda, fortemente compressa ai lati, con una vistosa membrana natatoria. La pelle è fittamente cosparsa di grosse verruche, specialmente in corrispondenza della testa. La colorazione è bruno grigiastra, con macchie più scure dai contorni confusi.
Gli occhi sono molto piccoli, e le narici del tutto invisibili.
Il periodo riproduttivo, coincide con il pieno della stagione estiva. Le femmine depongono poche centinaia di uova gelatinose, tondeggianti, diafane, larghe un paio di centimetri, agglutinate fra loro per formare un cordone.
Dopo la fecondazione, il maschio le sorveglia per parecchie settimane, fino alla schiusa.
Le larve, lunghe circa tre centimetri, con zampe rudimentali, assomigliano agli adulti, ma con i tipici ciuffi di branchie ai lati del capo e la bocca situata nella parte inferiore del muso.
La vita larvale può durare anche 3 anni. Quando superano i 20 cm di lunghezza, perdono i caratteri giovanili e si trasformano in adulti.
I dati biologici che conosciamo, ci giungono da studi fatti su animali in cattività, viso che seguire questi animali in natura risulta estremamente difficile.
Sappiamo per esempio che alcune salamandre giganti giapponesi, tenute in allevamento, sono vissute oltre i sessant’anni, e che allo zoo di Amsterdam un esemplare ha superato i 50 anni, ma ciò non esclude che questa specie possa essere anche più longeva.
Dal punto di vista etnologico, i biologi hanno osservato che, fino la metà del XX secolo, questi animali venivano cacciati dai nativi, tanto più che abboccavano all’amo come i pesci.
Ne apprezzavano le carni, che erano molto ricercate, nonostante la cute fosse ricca di ghiandole velenose.
Attualmente la specie si è alquanto rarefatta, è entrata nella red list of endangered species, ed è protetta dalla IUCN e CITES.
Il traffico è permesso solo fra strutture specializzate, giardini zoologici e parchi acquatici, dove i biologi possano studiarla e incrementarne la popolazione.
Analogo è il discorso sulla Salamandra gigante della Cina (Andrias davidianus) minacciata dall’inquinamento delle acque, causato da pesticidi, concimi e dalla caccia incessante per la carne e le presunte virtù medicinali.
Gli esemplari che superavano i 180 cm sono ormai diventati introvabili, ed è senza dubbio fra gli anfibi più minacciati della lista rossa ed oggi severamente difesa anche in Cina (Red Data Book of Endangered Animals – Zhao 1998), che la protegge in varie riserve, ed è stata introdotta a Taiwan.
Come la Salamandra gigante Giapponese (Andrias japonicus) vive in laghi, fiumi e torrenti di montagna, con acque limpide, in genere fra i 300 e gli 800 m di quota, ma eccezionalmente anche a 1400 m.
Si nutre d’insetti, pesci e anfibi che caccia percependo, con speciali nodi sensori posti lungo il corpo, le vibrazioni provocate dalle prede. La sua vista infatti è scarsissima.
Si può distinguere facilmente dalla specie nipponica per i tubercoli sulla testa e sulla gola, che sono più piccoli, a coppie.
E mentre nella prima appaiono disposti in maniera disordinata, qui formano, sulla gola, precise linee parallele.
Le femmine depongono anche 500 uova in cavità sommerse sorvegliate dal maschio come per la Salamandra gigante giapponese. Schiudono in un paio di mesi, ma ben poche riescono a raggiungere la taglia adulta. Per fortuna si è riusciti a riprodurla in cattività, per fini alimentari e commerciali, e così, paradossalmente, sarà la principale causa di declino a salvare la specie.
La terza specie dei Cryptobranchidae è il Cryptobranchus alleghaniensis degli Stati Uniti, più piccolo, ma che raggiunge comunque la più che rispettabile taglia di 70 cm.
Famiglia Inobidi (Hynobiidae). Dette anche salamandre asiatiche, sono fra le forme meno studiate dell’ordine dei Caudata.
Strettamente correlate alla famiglia delle salamandre giganti, nel sottordine dei Cryptobranchoidea, contano circa 30 specie, di casa nell’Asia orientale e centrale, in aree geografiche montuose, ad alta quota. Presentano caratteri primitivi e palpebre mobili.
Alcune specie sono acquatiche, altre perfettamente adattate alla vita terrestre, come mostra il sistema per l’emunzione renale, che è il più efficiente nell’ordine.
Le uova sono fecondate esternamente dai maschi e vengono sorvegliate fino alla schiusa da entrambi i genitori.
Quando le larve vivono in acque fredde, ben ossigenate, le branchie esterne appaiono spesso ridotte.
Un esempio ci è fornito dalla Salamandra siberiana (Ranodon sibiricus) lunga 20-25 cm, che vive nei torrenti montani delle regioni centromeridionali dell’Asia.
Famiglia Salamandridi (Salamandridae), tritoni e salamandre, 42 specie.
I membri di questa famiglia, diffusi principalmente nel Vecchio Continente, hanno tutti i denti infissi sul palato. Gli adulti sono sempre privi di branchie.
Un esempio tipico è la Salamandra comune, detta anche Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra) e chiamata ancora, da alcuni biologi, Salamandra maculata.
Comunissima nell’Italia settentrionale, che vive tra le erbe e i muschi nelle zone umide non elevate di tutta Europa, del Nord Africa e dell’Asia minore.
Durante l’inverno, essendo come tutti gli anfibi ectoterma, cade in letargo, ammucchiandosi, spesso anche in numero considerevole, in qualche anfratto.
Non sa nuotare e partorisce con prudenza a marcia indietro, nell’acqua corrente, piccoli forniti di branchie.
Si tratta dunque di un animale ovoviviparo.
Viene detta anche, grazie a una famosa leggenda, il “messaggero del diavolo” in quanto, come scrisse persino Plinio il vecchio, non morirebbe tra le fiamme, e il suo velenosissimo secreto cutaneo potrebbe uccidere un uomo.
Il grande poeta, storico e filosofo romano aggiunse anche che emetteva dalla bocca una saliva, che toccata avrebbe fatto cadere il manto e i peli di un animale, causando addirittura ulcere cutanee.
Gli alchimisti del XVI secolo, alla ricerca della “pietra filosofale”, pensavano che versando del piombo fuso sulle ceneri di una salamandra carbonizzata, si otteneva dell’ oro.
E nel XIX secolo, una giovane donna inglese, sposata con un attempato e ricco commerciante londinese, ma innamorata di un coetaneo povero, per liberarsi del consorte ed ereditare le sue ricchezze, avrebbe messo ogni giorno pezzi di salamandra, nello stufato e nelle zuppe che preparava al marito per avvelenarlo, riuscendo nell’intento.
Queste ed altre storie, hanno generato paure ataviche su questo povero animale, del tutto ignaro delle considerazioni umane.
Ma l’insieme di queste sciocchezze, come spesso accade nelle leggende, hanno un fondo di verità.
In effetti la Salamandra salamandra, attraverso le sue “ghiandole granulose”, secerne una sostanza vischiosa alcalina, irritante per i predatori, in cui è stato identificato un principio attivo, un alcaloide chiamato “samandarina”, che deprime il sistema respiratorio.
Se inalato da un mammifero o dall’uomo, avrebbe lo stesso effetto del veleno del cobra !
Quando viene assunto per bocca, da un cane o un essere umano, e quindi raggiunge lo stomaco passando per l’esofago, provoca solo bruciore, irritazione, nausea fino al vomito, ma non è velenifero. Se invece viene inoculato per bolo endovenoso in un cane, dopo una fase di astenia, lo porta rapidamente alla morte, in meno di 30 minuti !
Più spiccatamente montana è la Salamandra nera o alpina (Salamandra atra), facilmente distinguibile dalla precedente per una sagoma più snella, le dimensioni minori e la colorazione totalmente melanica del corpo e della testa.
Ma esiste una sottospecie, la Salamandra atra aurorae, con grandi macchie dorsali, spesso fuse, di un bel giallo brillante.
Le branchie, assorbite dal piccolo prima della nascita, sono praticamente uguali a quelle della Salamandra salamandra, ma più grandi.
Oggi si sa che è una specie ovovivipara, che partorisce cioè piccoli (al massimo due) già formati e non depone uova, perché vengono incubate negli ovidotti.
Fu scoperto negli gli anni ’30 dal biologo tedesco Scheiber, che la studiò sia sul campo che in laboratorio, constatando che i parti bigemini possono spesso essere anche singoli, cosa mai vista in altre salamandre.
Infatti, anche se ad ogni ciclo di gravidanza arrivano nell’ovidotto diverse decine di ovocellule ricche in tuorlo, se ne sviluppano al massimo uno o due. Questo o questi embrioni sono detti dominanti (darwinismo embrionale), rispetto agli altri potenziali, perché si nutrono del tuorlo delle uova vicine, non fecondate o fatte abortire. Metamorfosano nell’ovidotto, ed escono del tutto simili all’adulto, ma con dimensioni molto modeste, per raggiungere la taglia fisiologica per accrescimenti allometrici consecutivi.
Fra le salamandre terragnole, due sono presenti anche in Italia, ove anzi sono endemiche: si tratta della Salamandra dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), di 10 cm, ed il Tritone o Euprotto sardo (Euproctus platycephalus), che raggiunge i 15 cm.
La prima, ha una distribuzione Appenninica, a sud del fiume Volturno, fino al Parco Nazionale del Pollino in Basilicata, ove la si ritrova nei pressi del torrente Frido a Peschiera. Presenta un corpo con colorazione arancione nel basso ventre e nella coda, mentre il tronco e la testa, sono variegate bianco-nero.
La seconda specie, come dice il nome è endemica della Sardegna, la sua colorazione può andare dal verde oliva-bruno, al rosato comunque in entrambi i casi la livrea è fortemente maculata.
Parzialmente terrestri sono invece i Tritoni propriamente detti (genere: Triturus), riconoscibili per la coda fortemente compressa ai lati.
I biologi diedero loro questo nome con riferimento alla figura mitologica del dio greco marino Tritone, con tronco e testa umani, mentre la parte inferiore del corpo è a pesce, con una coda lunga, intento a soffiare all’interno di una conchiglia ritorta.
Questo genere è particolarmente diffuso nell’emisfero boreale, molto comune in Europa, soprattutto in Italia, non tanto per frequenza, quanto per varietà di specie. Ma è presente anche in Nord America e nell’Asia settentrionale.
Le dimensioni dei tritoni sono generalmente inferiori a quelle delle salamandre, ma la livrea è spesso spettacolare, con variazioni di forma e colori che dipendono dalla specie, dal sesso, dall’età e dalla stagione. Le zampe sono piuttosto lunghe, dotate anteriormente di quattro dita, posteriormente di cinque.
Oltre ai denti impiantati sulle arcate mascellari, possiedono due serie di denti vomero-palatini. La lingua, che può essere estroflessa notevolmente, è breve, ovale e arrotondata, libera solo ai margini. Si nutrono di anellidi, oligocheti, crostacei, molluschi e pesciolini.
Hanno carattere schivo, non è facile individuarli in natura, se non nei periodi e in luoghi piuttosto umidi quando si espongono di più, poiché tendono in periodi più aridi a vivere in anfratti rocciosi, sotto le radici di alberi, sotto strati di fogliame in decomposizione, mimetizzandosi con la loro livrea.
Sono animali ovipari, per cui faranno ritorno all’acqua in modo stabile, in occasione dell’accoppiamento, quando vengono esplicate le parate nuziali dei maschi, e vi resteranno finché non sono stati svolti tutti gli obblighi parentali.
I maschi, che presentano la regione cloacale più turgida delle femmine, all’epoca nuziale si ornano spesso di una vistosa cresta seghettata, che decorre quasi dalla nuca, all’estremità caudale, che scompare del tutto al termine della stagione degli amori.
Alla livrea “nuziale” del maschio (formazione di creste, cambiamenti cromatici della livrea), fa da contrasto la livrea “eclissale” della femmina che non muta per niente.
I rituali, nelle varie specie, sono assai bizzarri e complicati, descritti da numerosi biologi, che li hanno fotografati e filmati.
Essi consistono in contorcimenti grotteschi del maschio, che nello stesso tempo, assesta colpi alla femmina, per rendersi interessante ai suoi occhi.
Tutto il ciclo riproduttivo si svolge in acqua, dove ha luogo, con rituali, la deposizione della “spermatofora” da parte del maschio, una struttura capsulare contenente i suoi spermi.
Questa viene raccolta dalla femmina con la bocca, e inserita, circa una settimana dopo, nella cloaca. Solo allora avviene la deposizione delle uova fecondate, di forma ovale o tondeggiante e del diametro di un paio di millimetri, ricoperte da un involucro mucillaginoso. Vengono emesse poco per volta, nel corso di qualche giorno, e fissate alle foglie delle piante acquatiche sommerse.
Può accadere che, per ragioni di diversa natura (ambientali, nutrizionali… ecc.) la fecondazione non avvenga nei tempi suddetti, ma non è un problema, perché all’interno della “spermatofora” lo sperma si conserva a lungo, senza danneggiarsi o perdere il vigore fecondante.
Terminato il loro compito, gli adulti escono dall’acqua, tutti i maschi perdono la cresta (fenomeno detto “eclissamento”) e riprendono vita normale, parzialmente terragnola; non è raro tuttavia che si possano soffermare nell’acqua, anche più a lungo, trascorrendovi addirittura l’intera stagione invernale.
Lo sviluppo embrionale peraltro, ha durata variabile; se le condizioni ambientali e stagionali, sono ottimali, si esplica nell’arco di un mese.
L’aspetto delle larve neonate, che alla nascita misurano un centimetro di lunghezza, è quanto mai caratteristico; quasi diafane, hanno tronco esile e corto, la testa enorme con occhi grossi e lungo la linea dorsale, presentano una membrana natatoria. Gli arti anteriori sono poco sviluppati, e ai lati del corpo esistono tre paia di minute branchie esterne a ciuffi espansi. Inoltre sui lati del corpo si nota una struttura analoga alla “linea laterale” dei pesci, forse un residuo vestigiale filogenetico, che scomparirà nell’adulto. Mancano completamente, o sono solo abbozzati, gli arti posteriori, che si formeranno in seguito.
Queste larve, sono estremamente voraci, per un tasso metabolico molto accelerato, divorano crostacei e animaletti planctonici di ogni sorta, sicché in capo a pochi mesi completano il loro sviluppo, perdendo le branchie, assumendo la morfologia adulta e uscendo dall’acqua.
La maturità sessuale, viene raggiunta sia nei maschi che nelle femmine al quarto anno di vita.
Il Tritone crestato (Triturus cristatus) è senza dubbio una delle specie italiche più belle e conosciute, che si presenta in genere con dorso bruno scuro, più o meno variegato, e parti inferiori, compreso il ventre di un arancione brillante, su cui spiccano macchie circolari nere. La membrana natatoria, si estende anche sul dorso, dove è più o meno dentellata.
I maschi raggiungono i 16 cm; le femmine i 19-20 cm, con un chiaro dimorfismo sessuale.
È endemico dell’Austria, Istria, Svizzera; e in Italia il limite tirrenico nella distribuzione occidentale è rappresentato dalla Liguria. A sud non è presente al disotto del 39° parallelo.
Il tipico habitat riproduttivo è rappresentato da acque ferme “lentiche” naturali e artificiali di varia dimensione, da piccole pozze a bacini lacustri. Si può facilmente allevare negli acquari domestici o in laboratorio, e viene quindi utilizzato per studi di embriologia e biologia dello sviluppo. Ma bisogna fare attenzione che la vasca non sia troppo affollata, e che il nutrimento sia sufficiente, onde evitare fenomeni di cannibalismo.
I maschi compiono spettacolari parate nuziali nella stagione degli amori, che cade generalmente a fine inverno, ma può intercorrere anche ad autunno inoltrato.
Un altra specie italiana è il Tritone comune o punteggiato (Triturus vulgaris) con la sottospecie o razza Triturus vulgaris dalmatinus. Di mole inferiore al tritone crestato, non supera i 10 cm di lunghezza. Vive in Europa ed Asia occidentale. In Italia è endemico nel Friuli.
Anche qui, nella stagione riproduttiva, il maschio ha una cresta sul dorso e la coda si appiattisce verticalmente per favorire il nuoto. Questi caratteri morfologici, acquisiti per l’occasione, sono detti “attrattori sessuali di dimorfismo sessuale transitorio-stagionale”.
Vi è poi il Tritone italiano (Triturus italicus), con colorazione sul dorso tendente al verde, sempre punteggiato di nero. Assomiglia al precedente, e lo rimpiazza, come specie, nelle regioni meridionali. In quota si trova infine il Triturus alpestris, da alcuni autori detto anche Mesotriton alpestris, che misura circa 6 cm.
È frequente in Italia, sulle Alpi centro-orientali, sulle Alpi liguri, in alcuni siti isolati in valle d’Aosta e in Pianura Padana, dove troviamo la razza o sottospecie Triturus alpestris alpestris, sull’Appennino settentrionale, in alcune località dell’Appennino toscano, in un sito nel Lazio, dove vive la razza o sottospecie Triturus alpestris apuanus, e in tre punti, sulla catena Calabrese, con la sottospecie Triturus alpestris inexpectatus.
Le razze Triturus alpestris apuanus e Triturus alpestris inexpectatus vivono in acqua tutto l’anno, mentre gli esemplari delle altre razze, svernano ed estivano a terra.
Il periodo riproduttivo inizia normalmente a febbraio (marzo-aprile nelle popolazioni più settentrionali) e già ai primi di marzo si possono trovare le uova nei siti riproduttivi. Le larve hanno dimensioni che vanno dai 3-6 mm.
In Francia e nella Penisola Iberica è facile incontrare il Tritone marmorizzato (Triturus marmoratus) che raggiunge i 16cm.
Tra febbraio e aprile frequenta stagni pozze e fossati per riprodursi, ma conduce prevalentemente una vita terrestre, con battute di caccia all’imbrunire o quando piove.
La femmina ha una livrea elegantissima, verde e nera, con una lunga striscia dorsale arancio. Ma all’esotico Tylototriton verrucosus tocca certamente il record della spettacolarità
Di casa nelle umide foreste montane della Cina meridionale, Birmania, Assam, Bhutan e Sikkim, spicca le la vistosa colorazione rosso-arancio, con creste ossee e tubercoli, in contrasto col fondo nero-brunastro. Raggiunge quasi i 20 cm di lunghezza e fa subito pensare ai dragoni delle feste cinesi. Attivo soprattutto di notte, nella lettiera del sottobosco, si riproduce in acquitrini e risaie in marzo-aprile, quando arrivano le piogge. Nella sua parata nuziale, il maschio, prima di rilasciare la spermatofora, abbraccia la femmina tenendola con le zampe anteriori sul dorso. Questa la raccoglie, come di consueto, e depone da 55 a 100 uova. Le larve impiegano circa un anno per raggiungere i 4 cm di lunghezza e completare la metamorfosi.
Famiglia Anfiumidi (Amphiumidae), amfiume o anfiume, conta 3 specie.
Questi caudati, dal corpo esile e verde-nerastro, con piccolissimi arti, vivono nelle acque palustri e stagnanti delle zone orientali degli Stati Uniti e sono senza dubbio animali molto curiosi per i biologi zoologi.
La Grande anfiuma (Amphiuma means) degli Stati Uniti orientali, con oltre un metro di lunghezza è, dopo le Salamandre giganti il più grande anfibio oggi esistente.
Il corpo anguilliforme, praticamente cilindrico, mostra una sessantina di solchi costali. Le zampe, sia anteriori che posteriori, sono quasi inesistenti, con due minuscole dita. La testa è allungata, affusolata e lateralmente compressa, e subito dietro si notano delle fessure branchiali.
Gli occhi sono privi di palpebre, piccolissimi, ma sufficienti a cacciare nel buio piccoli pesci, rane e gamberetti. Le anfiume sonnecchiano infatti tutto il giorno immobili, mimetizzate tra la vegetazione sommersa, e abbandonano i loro nascondigli solo all’imbrunire.
Non si sa molto sulla loro biologia riproduttiva, a parte il fatto che femmina depone anche fino a 200 uova, riunite in lunghi cordoni gelatinosi, in una fossetta scavata nel letto fangoso in cui vive. Poi vi si arrotola sopra e le protegge per 5 mesi circa, fino alla schiusa.
Esiste anche una sottospecie con tre minuscole dita per zampa: l’ Amphium means tridactylum.
Famiglia dei Proteidi (Proteidae) con 6 specie acquatiche, senza palpebre, che conservano per tutta la vita la loro forma larvale.
Un esempio vistoso è il Netturo o Cane d’acqua (Necturus maculosus) lungo 20-40 cm, con grandi branchie piumose marrone-rossastro, di casa nei laghi e nei corsi d’acqua delle regioni centrorientali dell’America settentrionale con abbondante vegetazione sommersa.
Ha una colorazione grigio-bruna, con macchie scure, spesso bluastre, e un capo allungato con occhi minuscoli. Gli arti, corti e tozzi, hanno 4 dita. La coda, fortemente compressa, è dotata di pinne dorsali e ventrali.
Di giorno se ne sta nascosto fra le piante o sotto le rocce, mentre di notte va a caccia di gamberetti, insetti e piccoli pesci.
La femmina può deporre anche 200 uova, che incolla sul lato inferiore dei sassi sommersi.
A questa famiglia appartiene anche il nostro Proteo (Proteus anguinus), creatura priva d’occhi, e la Salamandra cieca del Texas (Typhlomolge rathbuni), che popola le acque sotterranee delle grotte carsiche.
Endemica dell’Italia nordorientale e delle regioni costiere, dall’Istria al Montenegro, è l’unico vertebrato troglobio europeo. Dato l’ambiente in cui vive, anche la sua pelle è depigmentata, ma presenta un colorito rosa-pallido, piuttosto che albino, su cui risalta il “rosso” delle lunghe branchie ramificate, poste ai lati del collo anche allo stadio di adulto. In questa specie, che non supera i 30 cm, gli arti anteriori recano 3 dita e i posteriori 2. Si nutre di molluschi e piccoli crostacei, e le femmine depongono da 10-70 uova sul lato inferiore delle rocce sommerse.
Famiglia Ambistomidi o Amblistomidi (Ambystomidae), forme, dette Axolotl, che si riproducono senza metamorfosare.
32 specie diffuse nell’ America centrale e settentrionale. La fecondazione è interna, come in tutte le famiglie più evolute dei Caudata.
Un rappresentante tipico è l’Axolotl messicano (Ambystoma mexicanum), lungo una decina di centimetri che vive nei laghi. In genere mantiene l’abito larvale per tutta la vita, riproducendosi a questo stadio (neotenia), ma quando l’ambiente diventa improvvisamente arido, per sopravvivere porta a termine la sua metamorfosi: le branchie scompaiono e l’animale si avventura sulla terra ferma.
Questa condizione “neotenica”, che può intrappolare l’animale in uno stadio larvale per tutta la sua esistenza, sembra sia correlabile, almeno per alcuni biotopi, a una bassissima concentrazione di “iodio” nell’ acqua in cui l’animale vive, elemento necessario, dal punto di vista endocrino, per completare la metamorfosi. Tant’é che se a degli Axolotl in cattività si dà da mangiare dei frammenti di tiroide bovina, o di altro vertebrato, metamorfosano rapidamente.
Specie analoga è la Salamandra tigre (Amblystoma tigrinum da alcuni autori come il Brehm indicata con il nome di Ambystoma tigrinum), lunga una ventina di centimetri come la nostra Salamandra comune (Salamandra salamandra), e abbastanza simile nei colori, con la sua livrea spesso nera a macchie gialle.
La salamandra tigre, ha abitudini terrestri e si porta in acqua solo per deporre 50-100 uova, da cui nascono larve con le branchie, che normalmente metamorfosano in un anno.
Ma in alcuni esemplari può verificarsi il già citato fenomeno della “neotenia” e questi
individui branchiati, denominati “Axlotl” continuano a condurre vita acquatica.
Esclusivamente terrestre, risulta invece la Salamandra marmorizzata (Ambystoma opacum) che vive negli Stati Uniti orientali, dal sud del New England al Nord della Florida fino a Ovest del Teaxas e Illinois.
Deve il nome alle numerose macchie nere, su fondo chiaro, che ricordano i disegni del marmo, e può raggiungere i 13 cm di lunghezza.
A fine estate, nelle notti umide, migrano in massa verso gli stagni più o meno secchi dove sono solite riprodursi.
I maschi precedono le femmine di qualche giorno e la fecondazione avviene sulla terra ferma. Maschi e femmine danzano insieme, strofinandosi, finché le dame recuperano le spermatofore.
Le uova vengono deposte fuori dall’acqua, in piccole buche o al riparo di pietre, tronchi o foglie morte. La femmina le sorveglia e le rigira per evitare muffe aspettando le forti piogge autunnali che riempiono gli stagni dove le larve potranno svilupparsi ed effettuare la metamorfosi. Quando arriva il freddo invernale queste cadono in ibernazione, ma se non piove le uova possono aspettare anche le piogge primaverili.
La Salamandra macchiata di blu (Ambystoma laterale) è nativa dei grandi laghi dell’Ontario e del Quebec, in Canada e di quelli del Nordest degli USA. La sua lunghezza varia fra gli 8 e i 14 cm, ma occorre aggiungere che il 40% spetta alla coda.
L’habitat tipico è quello delle foreste “decidue” e delle paludi nei boschi del nord, ma si trovano anche nelle foreste a “conifera” e nelle pozze d’acqua della Taiga.
La fantasiosa Salamandra Maculata (Ambystoma maculatum) presenta una pelle scura con riflessi blu elettrico e macchie tonde gialle che ricoprono anche il capo.
Raggiungono una lunghezza di 18-25 cm, ed occhi molto sporgenti con palpebre.
Anche questa è una specie nativa delle foreste decidue della parte orientale degli Stati Uniti del Nord e del Canada, ma la si ritrova anche in Nuova Scozia, Georgia e Texas.
All’interno di questi biotopi, predilige per la riproduzione gli specchi d’acqua piuttosto limpidi, dove le femmine depongono gruppi con anche 100 uova.
Queste salamandre passano gran parte della giornata in tane scavate nella terra umida, ed escono a caccia di lombrichi e piccole prede solo all’imbrunire o quando piove.
Come suggerisce il nome, di grossa taglia è infine la Salamandra gigante del Pacifico (Dicamptodon ensatus) che raggiunge i 30 cm di lunghezza. Testa e struttura robusta, grandi occhi sporgenti, ed una elegante livrea bruna con numerose marmorizzature nerastre.
Gli adulti, prevalentemente terrestri, di casa nelle umide foreste delle estreme regioni occidentali del Nord America, dalla Columbia Britannica alla California, sono molto voraci. Non solo cercano insetti e lombrichi fra le foglie del sottobosco, ma non esitano ad attaccare piccoli anfibi e persino giovani serpenti.
In primavera, per la stagione degli amori, si portano nei vicini ruscelli, dove le femmine depongono singolarmente le uova sotto ai sassi sommersi. Le larve metamorfosano dopo due anni, appena superano i 10 cm.
Famiglia Pletodontidi (Plethodontidae). È quella delle salamandre senza polmoni, la famiglia più numerosa dei Caudata, con circa 183 specie.
Molte sono acquatiche, ma gli adulti, ad eccezione del genere Typhlomolge, non hanno branchie e la respirazione avviene esclusivamente per via cutanea.
Le specie terrestri, sono meno attive e consumano meno ossigeno di quelle che vivono nei torrenti di montagna, dove le acque ben areate, favoriscono la respirazione cutanea.
Li troviamo in Europa meridionale, in America del Nord e centrale e nella parte settentrionale dell’America del Sud.
La famosa Salamandra cieca del Texas (Typhlomolge rathbuni), con branchie permanenti, vive nell’acqua di pozze ipogee (grotte e caverne).
È una specie criptica, che trascorre tutta la sua vita in un ambiente totalmente privo di luce.
Tale caratteristica zoogeografica ed ecologica, ha un po’ alla volta determinato, evolutivamente parlando, una completa depigmentazione di tutto il corpo, che è diventato bianco, e la scomparsa degli occhi.
Percepisce la presenza del cibo e dell’ acqua mediante chemiocettori e recettori tattili, che si sono sviluppati nel tempo, rimpiazzando la vista. Gli adulti non superano i 13 cm di lunghezza.
Dato l’ambiente in cui vivono, ben poco si sa sulla loro Biologia riproduttiva. Nel 1923 il biologo inglese Dunn catturò alcuni esemplari per allevarli in terrari di laboratorio.
Scoprì che le femmine rilasciano poche uova per volta, e possiedono delle spermateche al cui interno il maschio depone gli spermi.
Una seconda specie, a prima vista simile a una piccola lucertola o a un lombrico, è la Salamandra rossa (Pethodon cinereus). Lunga 7-12 cm, vive nella lettiera dei boschi misti di latifoglie e nelle foreste di conifere degli Stati Uniti orientali.
Il dorso può essere rosso o plumbeo. In questo secondo caso l’insieme assume una tonalità grigiastra che ne spiega il nome. Si contano varie sottospecie.
Spiccatamente terricola non ha una fase larvale acquatica. Le femmine attaccano sotto ai sassi dei grappoli gelatinosi di uova, e le proteggono fino alla schiusa.
Anche la Salamandra verde (Aneides aeneus) è esclusivamente terricola. Vive nelle regioni orientali degli USA, nascondendosi di giorno fra rocce ricche di fessure o sotto le cortecce dei tronchi marcescenti.
Deve il nome volgare a una serie di chiazze verdastre sul dorso, che spiccano su una colorazione di fondo più scura, non supera i 14 cm.
Caccia di notte, si accoppia d’estate; la femmina depone grappoli di 10-20 uova sotto i massi, sorvegliandole gelosamente fino alla schiusa. Manca la fase larvale e i piccoli, simili ai genitori, misurano già 2 cm.
Terragnole e pure arboricole sono anche l’insolita Bolitoglossa mexicana e la Bolitoglossa dofleini.
La prima, diffusa dal Messico al Guatemala, raggiunge i 19 cm e nella stagione secca si arrampica come niente fosse sugli alberi della foresta per raggiungere delle piante epifite, le Bromeliaceae, che nelle loro rosette mantengono sempre una riserva idrica, che attira, fra l’altro, piccole prede come insetti e altri invertebrati.
Anche qui le uova vengono deposte in cavità protette e sorvegliate dalla madre fino alla schiusa.
La Bolitoglossa dofleini è caratterizzata da un corpo e testa di colore brunastro, piuttosto compatto, coda robusta e corta (in % rispetto al corpo), predilige come habitat le foreste pluviali tropicali e subtropicali dei bassipiani o anche montane del Guatemala, Honduras e Belize.
Inutile dire che queste tre ultime specie sono molto colpite dalle attività umane e che appaiono purtroppo nella red list of endangered specie della IUCN.
La Salamandra rossa (Pseudotriton ruber), di casa nelle regioni orientali del Nord America, ha invece una vita prevalentemente acquatica.
Sorgenti, ruscelli con acque fredde e pulite, ma anche paludi, sono il suo habitat, ma non è raro incontrarla fuori dall’acqua quando di notte e nelle giornate piovose va a caccia di insetti e lombrichi, che sono la sua preda preferita.
Colpisce per la spettacolare livrea rossa con numerose macchiette nere, principalmente sul dorso. Ma negli adulti, che possono raggiungere i 18 cm, queste tinte si attenuano.
Le femmine depongono in autunno fino a 100 uova in piccole cavità sotto le pietre sommerse. La vita larvale può durare due anni e a fine metamorfosi i giovani misurano 7-10 cm.
Non meno fiammeggiante è la vistosa Salamandra porporina (Gyrinophilus porphyriticus), diffusa dal Quebec alla Georgia e al Mississippi, con una scintillante livrea rosso salmone ed una fine punteggiatura più scura.
Abita anche lei le acque fredde e pulite dei ruscelli di montagna ed è un’ottima nuotatrice.
Di notte, e durante gli acquazzoni, può uscire a caccia sulla terra ferma, ma non si allontana mai dall’acqua, dove il suo piatto forte è costituito da piccoli artropodi.
La riproduzione avviene a fine estate, le femmine attaccano, una ad una, anche 100 uova al lato nascosto delle pietre sommerse.
Il genere Hydromantes comprende tre specie nordamericane della California, fra cui l’Hydromantes shastae, e due specie europee. Costituiscono il gruppo dei “geotritoni”.
Questa strana distribuzione geografica, rende superflua ogni considerazione dal punto di vista biogeografico.
I geotritoni del Vecchio e del Nuovo Mondo non differiscono molto tra di loro: hanno forme assai allungate e gracili, dita delle zampe posteriori palmate e lingua assai caratteristica, conformata a “fungo” ed estroflettibile, con cui catturano le prede a mo’ dei “camaleonti”.
Peraltro sul mento degli adulti, di sesso maschile, si può osservare un corpo rilevato di natura “ghiandolare”, dalle funzioni non del tutto note ai biologi zoologi, così come è stato osservato che
gli stessi, durante il corteggiamento, depongono delle spermatofore.
La testa dei geotritoni, dagli occhi piuttosto grandi e sporgenti, è piatta, la cute perfettamente liscia, le narici, sono unite al margine della labbra per mezzo di un solco ben netto.
Ritenuti “vivipari” fino agli anni ’60, perché osservati solo in cattività dagli zoologi del XX° secolo, si è scoperto nella seconda metà degli anni ’70 del medesimo secolo, con osservazioni in natura o in condizioni quasi identiche a quelle “naturali”, che si riproducono in realtà per mezzo di uova e sono dunque “ovipari”.
Il nome geotritoni, ci indica il significato di “tritoni-terrestri”, questi anfibi, che pur necessitano di un altissimo grado di umidità, sono praticamente “svincolati” dall’ambiente strettamente acquatico, anche durante il periodo riproduttivo.
Le larve infatti sono del tutto, salvo che nelle dimensioni, simili agli adulti, e quindi in grado di vivere subito sul terreno.
Nettamente “lucifughe o fotofobe” (che fuggono la luce) e molto resistenti alle basse temperature, sono le due specie che troviamo in Italia: il ben noto Geotritone italiano (Hydromantes italicus) ed il Geotritone sardo (Hydromantes genei).
Li troviamo sia in pianura che nelle zone montuose, fin oltre i 1500 m d’altitudine.
Passano la loro vita attiva specialmente nell’ambiente “ipogeo” e “cavernicolo”.
È comunque facile trovarli, specialmente se si tratta di giovani individui, sotto mucchi di fogliame marcescente o sotto le pietre durante il tempo piovoso.
Durante la calura estiva, invece, i geotritoni sono reperibili nel sottosuolo.
Nelle Alpi Marittime, ma anche nel vicino territorio francese, vive la razza o sottospecie Hydromantes italicus strinatii.
Sembra essere la stessa forma che si rinviene sull’Appennino ligure, mentre nella zona di La Spezia, si trova la razza Hydromantes italicus ambrosii.
La forma tipica, cioè la razza o sottospecie Hydromantes italicus italicus, è diffusa nell’Appennino centrale, dalle province di Bologna e di Pistoia, al monte Morrone, in Abruzzo.
Più a Nord, infine, dalle province di Pistoia e di Modena, con i confini settentrionali non precisi si rinviene l’ Hydromantes italicus gorman.
La famiglia dei Sireni (Sirenidae), sirene, conta solo 3 specie, che vivono nelle acque degli Stati uniti meridionali e nel Messico settentrionale.
Non hanno arti posteriori, né denti né palpebre. Le mascelle sono coperte da piastre cornee, e le branchie permangono tutta la vita.
Il nome Sirenidae della famiglia, fu assegnato dal biologo francese J. L. Buffon, già nella seconda metà dell’ 700.
Questo nasceva dalla comunanza che il biologo transalpino trovava tra questi animali e la mitologica figura della sirena: assenza degli arti posteriori, la forma sinuosa e avvolgente del corpo, la colorazione grigio-verde-brunastra della pelle per mimetizzarsi tra le piante acquatiche, e il sonoro gorgoglio, quasi un canto, che producono nell’espellere l’aria dai polmoni.
In passato i biologi zoologi ascrivevano i Sirenidae nel gruppo dei “pennibranchiati”, poiché, anche negli adulti, sporgono ciuffi di branchie.
La non regressione negli adulti di tali organi, in genere preposti alla vita larvale, dimostra che questi anfibi presentano una respirazione sia polmonare che branchiale.
La Grande sirena (Siren lacertina) che può superare i 90 cm, è senza dubbio il membro più curioso e meglio conosciuto della famiglia, sebbene risulti molto meno compreso e svelato nei suoi segreti di tante altre specie di anfibi.
Vive negli Stati Uniti sudorientali, in stagni poco profondi, nuotando come un’anguilla, di cui richiama le sembianze, guizzando via veloce, in caso di pericolo, con energiche ondulazioni.
La linea mediana dorsale, che solca il corpo serpentiforme dell’animale, ne rende compressa lateralmente la struttura.
La regione mediana del tronco è segnata da una quarantina di solcature.
La coda, che ha sezione circolare, alla base è molto larga, per restringersi a punta verso la fine, con due vistose pinne natatorie (dorsale e ventrale).
Più precisamente dal punto di vista zoogeografico, questi animali che sono presenti nelle acque dolci della parte Atlantica degli Stati Uniti (dove sono abbastanza frequenti), dalla Vecchia Inghilterra alla Nuova Florida, in realtà frequentano gli ambienti acquatici più disparati.
Abitano infatti, non solo gli stagni, le paludi e le acque calme i fossati, ma anche i torrenti vorticosi e i fiumi, poiché, tra tutti gli anfibi, sono probabilmente i nuotatori più veloci e resistenti. Alcuni zoologi americani hanno osservato che questi animali misteriosi possono spostarsi velocemente nell’acqua con punte di 6,5 km/h.
Le grandi sirene passano gran parte della loro vita in acqua. Solo nelle ore notturne a volte si avventurano sulla terraferma, peraltro non allontanandosi mai troppo dal loro bacino idrico.
Strisciano tra la vegetazione, aiutandosi con i piccoli arti anteriori, alla ricerca del nutrimento, che consiste, oltre che di altri anfibi, anche di insetti e artropodi. In acqua è invece un abile cacciatore di pesci di piccola taglia.
Inoltre questo anfibio, a differenza della quasi totalità dei suoi parenti, se si vede minacciato troppo da vicino, o viene afferrato, non esita a mordere, producendo lievi ma dolorose ferite. Vista la dieta poco specializzata di questo animale, è abbastanza semplice tenerlo in cattività.
Si adatta benissimo, superando i 20 anni di longevità, e svolge tutto il suo ciclo vitale.
È così che, in passato, i biologi zoologi hanno potuto studiarne il ciclo biologico e le sue modalità riproduttive, che si presumono essere però molto diverse da quelle in “natura”, ove peraltro non è per nulla facile osservarla, data la sua natura schiva, riservata e sfuggente.
Da ciò, comunque, è noto che le uova, di grandi dimensioni (circa un centimetro di diametro), riscoperte di un involucro mucillaginoso, vengono deposte singolarmente, o a piccoli gruppi, sulle pietre del fondale o sulla vegetazione sommersa. Un congenere di questa specie, la cosiddetta Sirena nana (Siren intermedia), lunga circa 40 cm, abita la parte sudorientale degli Stati Uniti d’America, il Texas e il Messico settentrionale.
Nuotatrice meno provetta della sorella maggiore, la sirena nana frequenta esclusivamente le acque ferme e gli stagni ricchi di piante acquatiche, nutrendosi di ogni sorta di animale e deponendo fino a 500 e più uova. Se ne conoscono diverse razze geografiche.
Per finire accenniamo brevemente, anche per le poche informazioni a riguardo, all’altro genere di Sirenidae gli Pseudobranchiati (Pseudobranchus).
Questi anfibi sono anzitutto caratterizzati da dimensioni di gran lunga inferiori a quelle delle sirene vere e proprie. I piccoli arti anteriori recano solo tre dita.
Questi anfibi, come la grande sirena, hanno una colorazione per lo più grigio-brunastra del corpo, cosparsa di macchioline gialle sul tronco e sugli arti, ma a differenza delle sirene, hanno i fianchi percorsi da una banda irregolare-gialla, con il lato ventrale, anch’esso maculato giallo. Prediligono, la vita in acquitrini e paludi.
La Sirena del fango (Pseudobranchus striatus) ha un corpo sottile e anguilliforme, che può raggiungere i 25 cm, con vistose bande laterali da capo a coda. Frequente nel Carolina del Sud, Georgia e Florida, vive sul fondo degli stagni e caccia di notte piccoli crostacei e insetti. Quando si prosciugano, può sopravvivere anche due mesi in tane scavate sotto il fango, a circa 30 cm di profondità.