Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
I Lepidotteri (Lepidoptera) sono un ordine d’insetti, secondo solo, per dimensioni, a quello dei Coleotteri (Coleoptera), che è il più grande in assoluto della classe degli Insetti (Insecta).
Ad esso afferiscono le famose e ben note “farfalle” e “falene”.
Tassonomicamente il dibattito sulla loro classificazione non è concluso, ma in linea di massima oggi la International Code for Zoological Nomenclature (ICZN) e la Royal Entomological Society ci dicono che i membri dei Lepidoptera afferiscono al phylum o tipo degli Artropodi (Arthropoda), sottotipo Antennati (Antennata), classe degli Insetti (Insecta), sottoclasse dei Neotteri (Neoptera), coorte dei Pterigoti (Pterygota), superordine degli Endopterigoti (Endopterygota = Olometaboli), ordine Lepidotteri (Lepidoptera).
Tali insetti comparvero nel periodo Giurassico o Giurese, era Mesozoica o Secondaria, circa 200 milioni di anni fa.
Attualmente i biologi entomologi ci indicano l’esistenza di circa 80 famiglie di farfalle e falene, di cui 6 caratterizzano le cosiddette farfalle diurne, dalle splendide livree alari multicolori, raggruppate nelle Ropalocere (Rhopalocera), mentre le altre, notturne o crepuscolari, vengono dette Eterocere (Heterocera).
Questa rappresenta una suddivisione molto semplice, funzionale e grossolana, che si basa sullo stile ed i costumi di vita delle varie specie di farfalle e falene.
Ma, come accennato, le famiglie in cui si suddivide l’ordine sono ben 80, a cui corrispondono circa 200.000 specie, ed a queste occorre aggiungere altre decine di migliaia di razze o sottospecie, per non parlare del fatto che i biologi scoprono di continuo nuove “buone specie” di lepidotteri, sia diurni che crepuscolari, nei vari continenti, soprattutto in Sudamerica, in Africa, Asia e Oceania, ove popolano foreste pluviali, praterie e savane, mentre in altre regioni geografiche (USA, Eurasia, Europa) raggiungono anche le foreste a Taiga, decidue e le foreste alpine.
Sono stati trovati esemplari anche nei pascoli alpini a 4.000 m di quota.
Bisogna poi aggiungere che molte specie di farfalle si sono adattate a vivere nei giardini urbani; ed è quindi facile comprendere la complessità dello studio di questo ordine d’insetti, i cui membri, tranne che ai Poli (sebbene se ne sono trovati fino le aree circumpolari), sono cosmopoliti.
Questo comporta una continua revisione della tassonomia a vari livelli gerarchici; e non bisogna scordare che i lepidotteri non sono solo animali dalle sgargianti livree, i classici animaletti che il biologo, con la testa fra le nuvole, va studiando da secoli per campi e foreste, ma hanno ruoli cardine nei vari ecosistemi in cui vivono. Come le api, infatti, sono fondamentali alle piante Angiosperme (Angiosperma), che si riproducono mediante fiore anche per via entomofila, fungendo, come i famosi imenotteri, da insetti pronubi-impollinatori.
Quindi, lo studio di tutte le specie e le sottospecie o razze esistenti, come la loro conservazione, è indispensabile per la salvaguardia di gran parte della flora del Pianeta Terra, poiché le angiosperme rappresentano attualmente, il più evoluto e ampio gruppo di piante esistenti; il che significa, in ultimo, salvaguardare la “biosfera”. Infine, poiché quasi tutte le piante officinali-domestiche eduli, coltivate dall’uomo e di cui ci nutriamo sono delle angiosperme, si evince, come per le api, quanto questi insetti siano essenziali per l’agricoltura.
Bisogna poi tener presente che ci sono due tipi di biologi che studiano e classificano gli insetti in generale e nello specifico i lepidotteri: gli entomologi e gli zoologi. Spesso hanno vedute diverse tra di loro, non solo sulla tassonomia di questi animali, ma anche sulla loro ecologia (autoecologia e sinecologia), come per la biogeografia e la fisiologia. Sebbene l’agronomo sia un robusto studioso d’insetti, il suo campo si limita solo alle specie utili o dannose all’agricoltura, e non ha mai dato contributi alla loro tassonomia, poiché più interessato al loro impatto agricolo. Nel caso delle farfalle, la scoperta e la caratterizzazione di specie nuove, ad esempio tropicali e subtropicali, è sempre stato compito dei biologi (entomologi, zoologi) da almeno tre secoli, un po’ come, riferendoci ad altre classi di animali, ad esempio gli uccelli, i biologi ornitologi s’interessano a tutte le forme ornitiche, mentre i veterinari si limitano a quelle allevate nella pollicoltura e specificamente all’aspetto medico.
Ma nel caso dei lepidotteri il discorso è ancora più particolare, poiché l’ordine è così vasto che alcuni biologi entomologi si specializzano solo su quest’ultimo, al punto da essere definiti “lepidotterologi”, alla stregua dei “coleotterologi” per i coleotteri, agli “ortotterologi” per il gruppo delle cavallette, locuste e grilli (gli “ortotteri”) e così via.
Nello specifico, noi parleremo, in questa scheda introduttiva, delle caratteristiche generali delle farfalle diurne e notturne, accennando a qualche famiglia più nota, senza fare l’elenco di 80 famiglie e 200.000 specie, poiché sebbene la tassonomia è un pilastro fondamentale per il biologo, lo spazio non ce lo consente; inoltre, esistono manuali di tassonomia specifici per tale scopo, in più per questo testo, sarebbe come voler conoscere la storia della vita di una persona che vive a Roma o Parigi, leggendo l’elenco telefonico di queste città; ovviamente in ogni scheda, saranno trattate le singole specie in tutte le loro caratteristiche.
In ultimo, essendo i lepidotteri caratterizzati nel loro ciclo vitale, come alcuni coleotteri, le api e le mosche, da una metamorfosi completa detta “olometabola”, rispetto ad esempio agli odonati, cioè le libellule, come per altre specie di coleotteri e agli ortotteri ecc., caratterizzati da una metamorfosi incompleta o parziale “emimetabola”, verrà tracciata la Storia Naturale ed Evolutiva di questi due fenomeni, facenti parte del ciclo riproduttivo di tantissimi insetti, e la fisiologia che ne è alla base.
I lepidotteri sono facilmente riconoscibili da tutti gli altri insetti grazie ad alcune peculiarità molto
vistose, oltre che per il loro aspetto esterno, caratterizzato da ampie ali (nelle diurne spesso coloratissime) e per il volo irregolare, che sembra quasi incerto.
Tipico dei lepidotteri è il loro apparato boccale succhiatore, formato da un organo simile ad una proboscide, lunga e sottile, che a riposo è arrotolata su se stessa, chiamata “spirotromba”, per mezzo della quale l’insetto succhia il nettare o la linfa di cui si nutre; parleremo tra poco, più in dettaglio di tale organo.
Altra caratteristica di questi insetti è l’avere le ali generalmente ricoperte da dense e finissime squame, da cui il nome dell’ordine Lepidoptera, parola composta che deriva dal greco antico e significa “ali ricoperte da squame”; come nel caso della classe dei Rettili (Reptilia), ove la sottoclasse dei Lepidosauria, si riferisce ai rettili squamati (vedi schede Serpentes e Rhynchocephalia).
Tali strutture, conferiscono a questi animali livree dai colori sgargianti; c’è da sottolineare che queste colorazioni possono avere una natura chimica, ad opera di pigmenti chimici che colorano le ali, oppure fisica, ove la particolare disposizione geometrica delle squame, determina una rifrangenza della luce e una sua scomposizione, la cui risultante è l’insieme dei colori che si osservano; un fenomeno simile avviene per altri insetti, come nelle livree di alcuni uccelli.
Passiamo ad esaminare più in dettaglio la morfologia di questi eleganti insetti.
Il capo è generalmente di piccole dimensioni, questo porta ai lati due grandi occhi tondeggianti, composti da un numero elevatissimo di “ommatidi” (l’ommatidio è l’unità ottica fondamentale dell’occhio degli insetti), nei lepidotteri sono sempre superiori a diecimila per occhio.
Le antenne, un paio, sono sempre allungate in proporzione al corpo e costituite da un numero elevatissimo di segmenti; la loro forma però, varia considerevolmente a secondo dei gruppi. Nelle Ropalocere (Rhopalocera), le sei famiglie diurne, le antenne sono filiformi per quasi tutta la loro lunghezza, terminando con un rigonfiamento breve, ma assai marcato, detto “clava” (la parola ropalocero significa infatti corna a clava, dove col termine corna s’intendono le antenne).
Altrimenti le antenne possono essere filiformi, gradualmente clavate, oppure dotate ad ambo i lati di ogni segmento, di varie appendici alquanto sottili, che le rendono simili a piume.
Quando queste formazioni sono presenti, esse sono sempre più marcate nei maschi, che nelle femmine, carattere di dimorfismo sessuale permanente.
Nelle Eterocere (Heterocera), le farfalle crepuscolari o notturne dette “falene”, le antenne possono essere filiformi, a bastoncello o bipettinate; questa differenza, insieme ad una livrea delle ali più eclissata, rappresentano le differenze morfologiche principali tra ropalocere e eterocere.
L’apparato boccale dei lepidotteri, presenta una struttura estremamente caratteristica: le mandibole sono atrofizzate, mentre le mascelle sono fuse tra loro a formare la spirotromba.
Tale organo succhiatore, appare come un tubo allungato, sottilissimo e eccezionalmente elastico, che in posizione di riposo, viene tenuto arrotolato su se stesso in spirali concentriche sotto il torace; le spirali, sono simili a quelle di una molla d’orologio.
Quando viene utilizzato per succhiare il nettare o la linfa vegetale, la spirotromba, che talvolta raggiunge una lunghezza superiore a quella dell’intero corpo dell’animale, viene estroflessa e mantenuta perfettamente diritta, o solo leggermente arcuata.
Privi di particolari caratteristiche morfologiche, sono il torace e l’addome, protetti da tegumenti di mediocre durezza; il torace, si presenta spesso in varie specie, assai alto e compresso ai lati, mentre l’addome è generalmente oblungo e superiormente convesso.
Entrambi sono sempre ricoperti da una pelosità più o meno lunga e abbondante che, mentre è generalmente uniforme nelle farfalle diurne, nelle notturne forma spesso disegni eleganti e bene armonizzati, rispetto quelli non così eclatanti delle ali; tra i più belli a tale proposito, sono quelli delle Sfingidi (Sphingidae), una famiglia tropicale di macroeteroceri.
Di grande ampiezza sono le ali, che si presentano più diversificate che in qualsiasi altro ordine di insetti, tranne forse solo i coleotteri, e che rivestono un notevole interesse sistematico sia per la loro forma, che per la disposizione delle nervature e dei disegni formati dalle squame, utili ai biologi entomologi per la loro classificazione.
Le ali anteriori, in numero di due, sono sempre più grandi delle posteriori anch’esse doppie, cui sono parzialmente sovrapposte; nella maggior parte delle eterocere (notturne), poi, le ali anteriori aderiscono alle posteriori, grazie alla presenza di alcune particolari strutture, assenti nella stragrande maggioranza delle ropalocere.
Entrambi le ali anteriori, possono presentare, lungo i bordi, incisioni dalla forma caratteristica, mentre nelle ali posteriori si osservano spesso prolungamenti simili a code e diretti all’indietro.
Le nervature alari, sono longitudinali e il loro scopo è, come presso tutti gli altri insetti, quello di sostenere l’ala.
Le zone da esse delimitate, chiamate “cellette”, vengono indicate con un’apposita terminologia, che permette una precisa descrizione dei disegni formati dalle squame.
La presenza di squame sulle ali è una delle caratteristiche più notevoli di quest’ordine, per cui vale la pena dedicare loro un esame più attento e accurato.
Le squamette sono inserite nell’ala per mezzo di un minutissimo peduncolo basale, che però non vi aderisce con particolare tenacia.
Chiunque sa, infatti, che ad afferrare con le dita le ali di una farfalla, queste perdono in abbondanza una fine polverina, costituita per l’appunto da un gran numero di squame che si sono sfaldate; se la perdita è notevole, la capacità di volo dell’insetto ne risulterà gravemente compromessa.
Se si osservano al microscopio ottico, o allo stereoscopio, le ali di un lepidottero, si nota che le squame non sono contigue tra loro, ma embricate (come le tegole di un tetto), cioè disposte in modo che l’apice di una di esse, copra la base della successiva.
Fortemente appiattite, le squame delle ali dei lepidotteri hanno, nella maggior parte dei casi, superficie scanalata e forma oblunga, a lati subparalleli; il loro apice si presenta in genere dentellato; la forma è determinata dalla necessità di non lasciare vuoti fra una squama e l’altra, mentre la scanalatura ed i dentelli apicali garantiscono una migliore adesione reciproca. Un altro fenomeno che stupisce i biologi mentre osservano al microscopio le ali di una farfalla, è la differenza che si osserva tra i colori visti al microscopio e quelli visibili a occhio nudo; questo, come accennato prima, è dovuto al fatto che non sempre gli stupendi colori delle ali, soprattutto quelli metallici o iridescenti, hanno base chimica, cioè determinati da cromopigmenti, bensì sono dovuti alla rifrazione della luce, quindi a un fenomeno fisico.
Di ciò, ci si può rendere anche conto osservando ad occhio nudo le ali di una farfalla a tinte metalliche, da diverse angolazioni: si assiste allora, variando posizione all’animale, a vistosi cambiamenti di colore.
Sarà comunque utile osservare, a conclusione di quanto detto finora sulle ali dei lepidotteri, che non sempre esse sono ricoperte da un rivestimento squamoso: alcune specie infatti, posseggono ali trasparenti, mentre in altre, le femmine ne sono prive.
Le zampe dei lepidotteri, sono ricoperte come il corpo, da peli assai densi anche se di minor lunghezza.
Sebbene non siano particolarmente sottili, le zampe sono sempre assai fragili, ed è particolarmente fragile l’articolazione basale del femore; chiunque da bambino ha maneggiato farfalle, ricorda bene che le zampe si staccano facilmente.
Secondo le disposizioni e i criteri sistematici più recenti, della ICZN e della Royal Entomological Society (almeno fino a pochi anni fa), l’ordine dei Lepidotteri (Lepidoptera) viene a sua volta suddiviso nei due sottordini degli Eteroneuri (Heteroneura Tillyard, 1918) e degli Omoneuri (Homoneura Wulp, 1891).
I primi, cui appartiene la quasi totalità delle specie note, ed in particolar modo quelle chiamate “farfalle”, presentano nervature delle ali anteriori, ben diverse da quelle delle ali posteriori; i secondi invece, sono privi di spirotromba e posseggono nervature analoghe in entrambe le paia d’ali.
Attualmente gli omoneuri, che rappresentano un gruppo intermedio fra i Lepidotteri e i Tricotteri (Trichoptera), sono inclusi da molti sistematici in un ordine a sé stante, quello degli Zeuglotteri (Zeugloptera). Così, privati degli omoneuri, i lepidotteri si suddividono nuovamente in due sottordini, quello dei Ditrisi (Ditrisa) e quello dei Monotrisi (Monotrisa).
Quest’ultimo sottordine comprende solo un limitato numero di specie generalmente poco note.
È caratterizzato da un unicu orifizio genitale nella femmina, mentre nei Ditrisa si osservano due orifizi distinti, uno per la copulazione e l’altro per la deposizione delle uova.
Solo a questo punto nei Ditrisa, che comprendono le specie più note di farfalle, si effettua la grande distinzione fra i due più grandi e noti gruppi di lepidotteri, quelli già accennati degli Eteroceri (Heterocera), le farfalle notturne o crepuscolari dette falene, e quello dei Ropaloceri (Rhopalocera) comunemente chiamate farfalle diurne da alcuni biologi entomologi e distinte tra loro per i caratteri morfologici delle antenne, precedentemente enunciati.
Il metodo della deposizione delle uova, come pure l’aspetto e la struttura dei vari stadi “preimmaginali” dei lepidotteri, sono estremamente diversificati, anche se accuratamente studiati dai “lepidotterologi”, tanto che, fra i grandi ordini di insetti, quello dei Lepidoptera è l’unico in cui lo studio dei vari stadi preimmaginali sia ad un livello soddisfacente.
Ma cominciamo con l’esaminare i vari tipi di ovodeposizione, mentre la fisiologia della metamorfosi completa “olometabola” e le differenze con quella graduale o incompleta “emimetabola” saranno trattate successivamente nel testo.
Qui, solo per fare un inciso, la metamorfosi graduale incompleta è in realtà definita dai biologi “eterometabola”, ed a questa afferiscono due sottotipi, quella paurometabola, ovvero pura, e quella emimetabola, tipica di quegli insetti in cui le neanidi (larve) e lo stadio immaturo di “ninfa” si svolgono in un ambiente totalmente differente da quello adulto. Ad esempio nelle libellule e nelle zanzare anofele, ove le naiadi (le larve acquatiche) e la ninfa, vivono in acqua, per fare poi vita area e subaerea da adulti.
Tornando alle strategie di ovodeposizione, si osserva che in alcune specie le femmine posseggono un “ovodepositore” chitinizzato, che viene impiegato per perforare i tessuti vegetali, all’interno dei quali saranno deposte le uova.
Come per tutti gli insetti, anche nei lepidotteri le uova sono ricche di deutoplasma (tuorlo), sono centrolecitiche ed a segmentazione meroblastica (parziale) superficiale. In molti altri casi le uova vengono semplicemente fissate agli steli od alle foglie delle piante, sia isolatamente che in voluminosi grappoli; è quest’ultimo, ad esempio, il metodo utilizzato dalle dannosissime cavolaie, ad esempio la Cavolaia minore (Pieris rapae) e la Cavolaia maggiore (Pieris brassicae), farfalle diurne della famiglia dei Pieridi (Pieridae).
In altri casi le uova vengono semplicemente deposte in prossimità della pianta ospite, e vi sono persino delle farfalle, come le Tignole lella famiglia delle Hepialidae, che depongono le uova in volo, lasciandole cadere dove capita nell’erba umida.
Dalle uova schiudono poi, dopo un periodo di tempo variabile a seconda della specie, le larve, indicate con il nome di “bruchi”, che sono larve eruciformi, polipode, cefaliche.
La grande varietà d’aspetto e di strutture che si osserva nei bruchi, non è inferiore a quella riscontrabile negli adulti, cosicché la loro determinazione risulta abbastanza agevole.
Fondamentalmente si può dire che i bruchi hanno sempre una struttura cilindrica-allungata e che, oltre alle zampe propriamente dette, di forma generalmente subconica, possiedono un numero variabile di “false zampe”, appendici dei segmenti addominali generalmente munite di ventosa.
Queste false zampe, o falsi piedi o “pseudopodi”, permettono ai bruchi un’eccellente adesione su qualsiasi tipo di superficie e ne determinano la curiosa andatura a scatti; i bruchi, infatti, si spostano a “fisarmonica”, nel modo seguente: rimanendo fermi con la parte anteriore del corpo, avanzano con i falsi piedi, comprimendo al massimo i segmenti ventrali, quindi, mantenendo la presa con l’ultimo paio di pseudopodi, si distendono in avanti, pronti ad iniziare un nuovo ciclo locomotorio; anche in questo caso, l’aver potuto registrare per cinematografia il movimento dei bruchi, durante tutto il giorno, oltre che l’osservazione su campo, è stato d’aiuto ai biologi entomologi, per decifrarne le capacità di locomozione.
In una famiglia di eteroceri, i Geometridi (Geometridae), i bruchi posseggono al più due paia di falsi piedi, posti verso l’estremità posteriore dell’addome, cosicché essi avanzando con i falsi piedi, arcuano il corpo in alto portando l’apice dell’addome a contatto con il torace, dopodiché si distendono nuovamente in avanti, con un modo di procedere simile a quello di una mano, che misuri il terreno a spanne (la spanna è un’antica unità di misura, data dalla distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo, in una mano d’adulto aperta).
Il nome “geometridi”, che dal greco antico significa “misuratori del terreno”, è stato loro assegnato dai tassonomisti proprio per questo motivo.
Le larve di molte specie di farfalle, si presentano bianchicce e con pelle traslucida; però nella maggior parte dei casi, la loro cuticola presenta colori vivaci e intensi, spesso disposti a formare disegni vistosi, il tutto a scopo di segnale o codice di comunicazione per i loro predatori (insetti entomofagi, rane, rettili, uccelli e mammiferi insettivori), per indicare la pericolosità e velenosità delle loro carni, fungendo da segnali “fanerici” attivi, che non rientrano nell’ambito del mimetismo Batesiano, ovvero passivo (il mimetismo usato per sfuggire a un predatore, mimetizzandosi e nascondendosi), ma in quello Mülleriano, ovvero attivo, ove si comportano quindi, come segnali “aposematici” di pericolo (vedi scheda Serpentes).
Oltre a ciò, si possono osservare anche strane appendici di varia natura e forma; particolarmente curiose, sono quelle poste verso l’apice dell’addome divergenti verso l’alto e dirette all’indietro, della specie Dicranura vinula.
In caso di pericolo, questo bruco all’esterno delle due appendici, mostra dei filamenti di un color rosso vivo, che vengono agitati dinnanzi all’aggressore a scopo intimidatorio.
Molte specie, infine, sono ricoperte da peli fitti e lunghi.
I bruchi, si nutrono senza quasi eccezione, di materia vegetale, fitofagi; la maggior parte delle specie, vive all’aria aperta, divorando le foglie delle più disparate piante, con estrema voracità.
Per mangiare le foglie, i bruchi si portano sul loro bordo e lo rosicchiano; alcune specie di piccole dimensioni, però, s’introducono fra le pagine della foglia, e vi scavano gallerie interne dette “mine”.
Non mancano però i bruchi che si nutrono della polpa dei frutti, come la Carpocapsa pomonella, il cui bruco è più noto con il nome volgare di “Baco delle mele”, mentre altri, come il Rodilegno (Cossus ligniperda), grosso bruco, simile a una larva di coleottero, scavano gallerie nel legno degli alberi, alterando nel punto d’ingresso la struttura del cambio.
I bruchi di molte specie vivono isolati, ma in altri casi formano colonie numerose.
Curiosissime sono le colonie delle dannose Processionarie del pino (Thaumetopoea pityocampa), i cui individui si spostano in fila indiana. La durata dello stadio larvale, è molto variabile; mentre alcune specie rimangono allo stadio di bruco solo alcuni giorni, in altre, come nella già nominata rodilegno, questo stadio può protrarsi anche per più di due anni.
Ricordiamo che lo schema semplificato del ciclo vitale dei lepidotteri, come per tutti gli insetti “olometaboli” cioè a metamorfosi totale, è così riassumibile: uovo—–>larva (bruco)—–> crisalide o pupa (che nei lepidotteri è una “pupa obtecta”; pupa deriva dal Latino e significa “bambola”), in senso più generale detta ninfa—–>adulto.
La pupa obtecta è quella ove le appendici sono evidenti, ma saldate al corpo mediante una cuticola di rivestimento.
Nel passaggio allo stadio successivo a quello larvale, cioè quello ninfale, si osservano sostanziali differenze nei due grandi gruppi di lepidotteri, i ropaloceri e gli eteroceri.
Infatti nei primi, la ninfa, detta crisalide o pupa obtecta, non si racchiude in un bozzolo protettivo (tipico degli eteroceri) e, attende la muta definitiva, semplicemente appoggiata sul terreno, oppure appesa alla vegetazione per mezzo di un peduncolo, che si forma all’apice dell’addome.
Le crisalidi, che sono generalmente rivestite di una corazza chitinosa assai solida (molto più robusta sia di quella del bruco, che di quella dell’adulto), hanno una struttura completamente diversa da quella dei bruchi e presentano, in embrione, tutte le parti anatomiche che andranno poi a completo sviluppo con lo stadio immaginale detto “imago”.
Le ali, corte, sono ripiegate sull’addome, che ricoprono nel tratto basale, mentre le zampe e le antenne sono raccolte sul ventre, fortemente aderenti al corpo; la colorazione è sempre poco vivace.
Nelle farfalle notturne o falene, afferenti al gruppo delle eterocere, la crisalide o pupa obtecta, s’infossa profondamente nel terreno, oppure, ancor più spesso, si costruisce un bozzolo protettivo, con filamenti di seta, prodotti da ghiandole labiali specifiche dette “sericigene”, simili a quelle dei ragni.
Come tutti ben sanno, storicamente la seta è uno dei tessuti più pregiati fra quelli utilizzati e commerciati dall’uomo; questa è appunto prodotta da un bruco noto come Baco da seta (Bombyx mori), specie della famiglia dei Bombicidi (Bombycidae), originaria dell’Asia orientale (Cina, Giappone ecc.) e, strettamente legata al Gelso (Morus alba), pianta afferente alla famiglia delle Moracee (Moraceae), sua unica pianta nutrice.
Per ricavare la seta, l’uomo alleva appunto questa farfalla, fornendo ai bruchi l’alimento di cui abbisognano; una volta che questi hanno costruito il loro bozzolo di seta e vi si sono incrisalidati, l’animale viene ucciso con il calore e il bozzolo viene dipanato; ogni bozzolo è composto in media, da un chilometro circa di filo di seta.
L’insieme di queste tecniche, che hanno origine millenaria (i bachi da seta, venivano già allevati nel Giappone antico, all’epoca dei samurai), poi nel corso del tempo razionalizzate, vanno sotto il nome di bachicoltura, una specializzazione delle zoocolture.
Solo un numero molto limitato di crisalidi, viene mantenuto in vita in tali colture, al fine di permettere il formarsi di una nuova generazione; una sola femmina di farfalla della specie Bombyx mori può deporre da centinaia d’uova, fino a cinquemila.
Una calamità per i coltivatori del baco da seta, è la malattia chiamata “Pebrina”, detta anche atrofia parassitaria o mal delle petecchie del baco da seta, causata da un protozoo ciliato lo Nosema bombycis, che il bruco ingerisce mentre mangia le foglie di gelso; questo protozoo interrompe in maniera irreversibile la produzione della “bava”, o filo di seta, ad opera delle larve, tale malattia comparve nel 1850 in Francia e Italia, portando al collasso il settore della bachicoltura.
In altre specie, la seta del bozzolo, spesso impastata con terriccio, è meno abbondante e assai meno pregiata. Giunta l’epoca della definitiva muta ad insetto perfetto, o “imago”, la crisalide rompe il bozzolo dall’interno, oppure lo scioglie, secernendo opportune sostanze a natura enzimatica.
Gli adulti perfetti, dopo lo sfarfallamento, che avviene qualche tempo dopo l’uscita dal bozzolo, dopo che le ali asciugatesi, vengono distese, assumono abitudini di vita totalmente differenti da quelle dei bruchi; essendo privi dell’apparato masticatore, ben sviluppato nei bruchi, essi si limitano a suggere il nettare dai fiori o la linfa dalle piante, con la loro spirotromba; la metamorfosi completa, ha cambiato anche il sistema del digerente, affinché si instauri una nuova “ecologia alimentare”.
Curioso è il caso di un grande eterocero, ben noto ai biologi entomologi, afferente alla famiglia delle Sfingidi (Sphingidae), la Sfinge testa di morto (Acherontia atropos), cosiddetta per un disegno simile a un teschio, che reca sul dorso: questa farfalla, infatti, penetra negli alveari e si nutre di miele, suscitando spesso rabbiose reazioni da parte delle api.
Le farfalle diurne, durante i loro periodi di attività, svolazzano in continuazione, posandosi solo a tratti sui fiori o sul terreno; a riposo, le ali vengono tenute a contatto tra loro per mezzo della superficie superiore, così da risultare perpendicolarmente rivolte verso l’alto, mostrando la sola faccia inferiore.
Questo modo di tenere le ali a riposo, è proprio dei ropaloceri; negli eteroceri invece, le ali a riposo, rimangono a contatto per mezzo dei loro bordi inferiori, così da formare una specie di tetto, lasciando in vista la sola superficie superiore.
Il volo delle farfalle diurne è particolarmente leggero e irregolare, cosicché ai predatori, in prevalenza uccelli insettivori, la cattura risulta piuttosto difficile.
Sempre per scoraggiare i predatori, poi, quasi tutte le farfalle sono impregnate di sostanze che ne rendono il sapore nauseabondo; per non essere confuse con altri insetti commestibili, le farfalle, sono quasi sempre adorne di colori molto vistosi, i quali non sono affatto mimetici, ma ne facilitano il riconoscimento, come accennato sopra.
Diversi dai costumi delle farfalle diurne, sono quelle delle notturne o crepuscolari, che presentano un volo molto più pesante e regolare. Oltre a ciò, le falene, rimangono molto più a lungo posate, rispetto alle sorelle diurne, e mentre quest’ultime, utilizzano principalmente il nettare dei fiori come nutrimento, le prime si cibano sopratutto di linfa essudata dalle piante.
Parliamo ora dei principali gruppi e specie; data l’eccezionale vastità dell’ordine, non è possibile fare in una introduzione, una panoramica esauriente di tutte le famiglie.
Particolarmente note, tra le farfalle diurne dei ropaloceri, sono le famose Vanesse, appartenenti alla famiglia dei Ninfalidi (Nymphalidae), di dimensioni abbastanza grandi e dalla livrea elegante, priva in genere di tinte metalliche.
Le specie più note della famiglia, sono la Vanessa Io, detta anche Occhio di Pavone (Inachis io), adorna all’apice superiore di entrambe le ali, di una grande macchia variopinta simile a un occhio o agli ocelli presenti sulla coda dei pavoni maschi; la si ritrova nelle aree temperate dell’Europa e Asia.
La Vanessa antiopa (Nymphalis antiopa), dalle ali di color vinaccia, largamente bordate di bianchiccio, è presente in Nordamerica e in Europa; altre specie sono la Vanessa del cardo (Vanessa cardui), presente in tutti i continenti tranne che in Antartide, la Vanessa atlanta detta anche Vulcano (Vanessa atalanta), diffusa in Europa, Nordamarica e Asia, nelle aree temperate e la Vanessa dell’ortica (Aglais urticae, da alcuni autori non correttamente chiamata Nymphalis urticae), presente nelle aree temperate dell’Asia e Europa, sebbene nella parte occidentale di quest’ultima negli ultimi dieci anni sia quasi totalmente scomparsa.
Simili ai Ninfalidi (Nymphalidae), sono i Morfidi (Morphidae), dalle ali di un meraviglioso color azzurro iridescente, come nella Morpho menelaus, lepidottero dalle grandi dimensioni con apertura alare fino a 18 cm, presente in America centrale e del sud, in particolare in Messico, Costa Rica, Brasile e Venezuela.
Altre meravigliose farfalle, sia nostrane che esotiche, afferiscono alla vasta famiglia dei Papilionidi (Papilionidae); la specie più nota, fra quelle presenti in Italia, è il Macaone (Papilio machaon), dalle ali anteriori gialle, con fasce e linee nere, che si fa notare soprattutto per il curioso peduncolo nelle ali posteriori le quali, oltre alle tinte delle anteriori, presentano una fascia marginale azzurra e una macchia arancione presso l’apice interno di questa; il colore giallo in alcuni casi è molto sbiadito, quasi bianco sporco. Simile al macaone e altrettanto comune, ma meno elegante, è un’altra specie del genere, la Papilio podalirius. Un altro ropalocero assai conosciuto, è la Cavolaia maggiore (Pieris brassicae), la cui notorietà non è dovuta però alla livrea, che è quasi uniformemente bianca, ma ai gravi danni che questa farfalla arreca alle colture “cultivar”, di cavoli; è una specie Paleartica, per cui si trova in tutta l’Europa continentale, scendendo a sud fino all’Africa settentrionale.
Altre importanti famiglie di ropaloceri, sono i Satiridi (Satyridae), strettamente imparentati con i già citati Ninfalidi (Nymphalidae).
Ancora tra i ropaloceri, abbiamo i Licenidi (Lycaenidae), comprendenti specie di piccole dimensioni dalla colorazione spesso in gran parte celeste o arancione, ad esempio la Lycaena virgaureae, una delle farfalle diurne europee più colorate, e gli Esperidi (Hesperiidae), dall’insolito aspetto massiccio, come la Pelopidas mathias presente sia in Asia orientale (fino le Filippine), in Africa tropicale e in Arabia; le farfalle di quest’ultima famiglia per certi versi appaiono intermedie fra i due gruppi di ropaloceri e eteroceri.
Quest’ultimo gruppo (gli eteroceri), assai più vasto e completo del precedente, non comprende in realtà solamente specie notturne, ma anche specie dai costumi prevalentemente diurni.
Fra le specie nostrane o Europee, le più note diurne, appartengono alla famiglia dei Zigenidi (Zygaenidae); molto comune è la Zygaena filipendulae, dalle ali blue scuro e macchiate di rosso vivo. Fra gli eteroceri italiani comunque, le specie più belle e più grandi, appartengono alle famiglie dei Saturnidi (Saturniidae) e degli Sfingidi (Sphingidae).
La Saturnia del pero (Saturnia pyri), nota anche con il nome volgare di Pavonia, è infatti il più grande lepidottero europeo, avendo un’apertura alare superiore ai quindici centimetri. È una farfalla dalla tinta bruna-grigia, variegata di nero, con eleganti macchie ocellate e, con bordo posteriore delle ali biancastro
Molto bello è pure un altro saturnide nostrano, il Bombice dell’ailanto o Filosamia (Philosamia cynthia o Samia cynthia), originario però dell’estremo oriente: Russia, Cina e Giappone; mentre fra gli sfingidi la specie più nota è la già citata Sfinge testa di morto (Acherontia atropos), specie Paleotropicale, per cui si trova sia nelle regioni mediterranee che afrotropicali; questo lepidottero presenta eleganti disegni anche su corpo.
Assai note, sono pure le specie afferenti alla sterminata famiglia dei Nottuidi (Noctuidae), ove un esempio bene noto è la Catocala conjuncta, specie circum-Mediterranea, presente in Europa, in Nordafrica e fino al Medioriente; altra famiglia, è quella dei variopinti Arczidi e tante altre, fra le quali alcune particolarmente dannose per l’agricoltura, l’orticoltura e le derrate alimentari; fra queste, meritano d’essere citate la famiglia dei Tineidi (Tineidae), cui appartengono le tignole come le Tignole della farina (Pyralis farinalis e Ephestia kuehniella) e molte altre, che allo stadio di bruco vengono chiamate “Tarme” e, arrecano gravi danni agli indumenti riposti negli armadi, oltre che agli alimenti conservati; oppure la famiglia dei Tortricidi (Tortricidae), comunemente detti ricamatori per il tipo di attività che li caratterizza, comprendono numerose specie dannose per vari tipi di frutta; un esempio è la Tignola orientale del pesco (Cydia molesta), originaria dell’Asia orientale, diffusosi poi facilmente in Australia, Americhe e Europa occidentale, tra cui in Italia all’inizio del secolo XX, dannosissima per le drupacee.
Un’altra famiglia è quella dei Lasiocampidi (Lasiocampidae), che sono in grado di danneggiare gravemente interi boschi; tra queste troviamo il Bombice della quercia (Lasiocampa quercus), presente in Europa e Asia minore; in Italia è presente su tutto il territorio, tranne che in Sardegna.
Fra le famiglie utili, c’è quella dei Bombicidi (Bombicidae), a cui appartiene il già discusso Baco da seta (Bombyx mori), che può essere a ragione considerato, l’unico lepidottero divenuto un vero e proprio animale domestico.
Concludiamo questa breve rassegna sulle varie famiglie, generi e specie di lepidotteri, con due casi particolari.
Il primo, riguarda una specie predetta e, sotto certi aspetti scoperta indirettamente, dal grande biologo inglese Charles Darwin.
Lo scienziato, studiando una pianta del Madagascar, afferente alla famiglia delle Orchidacee (Orchidaceae), la Orchidea cometa o Orchidea di Darwin (Angraecum sesquipedale Thouars, 1822), di cui coltivava nella sua serra in Inghilterra, alcune piante ricevuta in dono dal botanico James Bateman, arrivò a ipotizzare la seguente cosa: tali orchidee che presentano fiori esameri color bianco candido, hanno dei nettarii verde brillante, lunghi più di 30 cm, ove solo il fondo, per un totale di 3-3,5 cm di lunghezza, risulta pieno di nettare.
Questa particolare struttura ed il colore dei nettarii fece riflettere il biologo inglese sul fatto che, l’entomofauna malgascia dovesse concepire l’esistenza di farfalle notturne, eterocere, dotate di una spirotromba lunghissima, adattata ecologicamente a questi fiori.
Questo esemplare, doveva quindi avere dimensioni del corpo e spirotromba, in rapporto, giganteschi rispetto gli esemplari di Sfingidi (Sphingidae) presenti in Inghilterra.
La comunità scientifica dell’epoca, ancora critica sulla validità della teoria “dell’Origine della Specie, mediante Selezione Naturale”, pensò che il biologo inglese, ormai anziano, avesse preso un abbaglio grossolano; a sostegno di Darwin venne un altro biologo inglese A.R. Wallace, il quale propose uno sfingide dell’Africa tropicale, come potenziale pronubo di questo fiore, la specie Xanthopan morgani. Ma, solamente nel 1903 gli entomologi K. Jordan e L. W. Rothschild, scoprirono in Madagascar la razza Xanthopan morganii praedicta, come aveva correttamente predetto Darwin.
Altri sfingidi con spirotrombe così lunghe, sono poi stati scoperti nel XX secolo, nella foresta Amazzonica brasiliana.
Oggi, alcuni autori, ritengono che la razza Xanthopan morganii praedicta, sia da eliminare, confinandola nella buona specie di Wallace dell’Africa tropicale, la Xanthopan morgani, altri scienziati persistono nel mantenerle separate; comunque, completamente distesa, la spirotromba di questi lepidotteri raggiunge i 30 cm di lunghezza!
Se si osserva all’inizio dell’estate un ranuncolo, come il Ranunculus asiaticus, fiori semplici molto colorati, di origine asiatica, afferenti alla famiglia delle Ranuncolacee (Ranunculaceae), molto spesso, vi capiterà di trovare che è abitato da un certo numero di piccole farfalle. Queste sono le Micropteryx calthella, il più primitivo di tutti i lepidotteri. È il secondo caso particolare, accennato; questi insetti, hanno una struttura più primitiva di quella dei tricotteri e alcuni biologi entomologi, li classificano in un ordine separato di insetti.
I piccoli Micropterygidae, hanno parti boccali adatte a mordere, dello stesso tipo di quelle dello scarafaggio, mentre in tutti gli altri lepidotteri, come già detto, le mandibole sono atrofizzate, mentre le mascelle sono fuse tra loro a formare la spirotromba. L’elenco di tutte le famiglie e i generi, per non parlare delle specie, sarebbe così lungo da riempire più libri, ma per il nostro scopo, quanto qui accennato è più che sufficiente; il lettore troverà tutte le informazioni sulle singole specie, nelle apposite schede.
Storia Naturale ed Evolutiva della Riproduzione e della Semiochimica
Il mondo degli insetti, come più in generale quello degli invertebrati, sono un campo vasto e durissimo di studio per il biologo, per le numerosissime strategie riproduttive esistenti.
Nello specifico dei Lepidoptera, il discorso è abbastanza complesso.
Non è possibile, o almeno fruttuoso, schematizzare come viene fatto per diversi ordini di vertebrati, le differenti strategie riproduttive utilizzate dai lepidotteri; conviene fare alcuni esempi più classici e studiati, che possono darci l’idea di quanto la Natura si diverte a rendere semplice ciò che è inverosimilmente complesso.
Evolutivamente parlando, nelle varie forme d’accoppiamento degli insetti, la vista, l’odorato, il tatto e l’udito possono venire tutti coinvolti ed essere altamente specializzati a tale scopo.
Di solito, è il maschio che cerca attivamente la compagna. Nel caso delle farfalle, hanno grande importanza il colore e i movimenti della femmina; nelle farfalle del genere Argynnis, il maschio inseguirà una farfalla finta, fatta di carta, se colorata di arancione scuro imitante la femmina e l’attrazione sarà ancora maggiore se le ali di carta si muovono.
Il maschio della farfalla Satyrus semele è attratto dalle caratteristiche di volo della femmina che può, anche in questo caso, essere imitata da un pezzetto di carta, fatte le dovute modifiche.
Ma la femmina è anche provvista di una “ghiandola odorifera”, posta all’estremità posteriore dell’addome, che può essere portata all’esterno per aumentare il potere attrattivo.
In effetti, la maggior parte delle farfalle femmine possiedono un organo che emana odore, sotto forma di feromoni, e quelle in attesa di essere fecondate, assumono una posizione caratteristica, la cosiddetta “positura di richiamo”, con gli organi odoriferi in mostra.
Il maschio, dal canto suo, è particolarmente conformato per riconoscere e localizzare questi odori.
Ciò è molto evidente nei Saturnidi (Saturniidae), nei Bombicidi (Bombicidae) e nei Lasiocampidi (Lasiocampidae), nella maggior parte dei quali le femmine sono lente e sedentarie; ad esempio le femmine del Baco da seta (Bombyx mori) sono incapaci di volare, mentre le femmine del genere Limantride (Orgyia), sono quasi totalmente prive d’ali.
In questi insetti la capacità d’accoppiamento dipende dall’abilità dei maschi nello scoprire, col loro volo attivo, la femmina ricettiva in attesa.
In tutte queste specie, il maschio è fornito di antenne piumate, enormemente sviluppate, la cui sola funzione sembra essere quella di captare l’odore del feromone emesso dalle femmine, anche da grandi distanze.
In un esperimento fatto da alcuni biologi entomologi austriaci, negli anni ’70 del XX secolo, alcuni maschi di Saturnide cinese (Arctias selene) vennero contrassegnati per essere poi liberati a 11 km di distanza, da femmine tenute in cattività. Nel 26% dei casi furono in grado di trovare la strada giusta, mentre il 46% riuscì nell’impresa da una distanza di 4 km.
Analogamente il maschio del saturnide Collosamia promethea, un altro baco da seta dalle dimensioni enormi, non è influenzato dalla colorazione delle femmina conspecifica, per quanto essa sia stata resa anormale, dipingendola, né viene attratto da femmine racchiuse in un recipiente di vetro o da altre, alle quali sia stato asportato l’addome, ma è fortemente attirato solo dall’addome (ove c’è la ghiandola odorifera) o anche da luoghi ove la femmina si è posata.
Il maschio del genere Limantride (Orgyia) tenterà d’accoppiarsi con pezzi di carta assorbente imbevuta di gocce del secreto della ghiandola femminile.
Il liquido odorifero estratto dall’apice dell’addome della femmina di Bombice dispari o Limantria (Lymantria dispar), è usato regolarmente nell’America settentrionale per catturare i maschi di questo lepidottero, non allo scopo di ridurre l’entità del flagello che possono causare, ma per individuare se si è diffuso in quella particolare località.
Sono stati compiuti molti esperimenti, per studiare questi richiami sessuali, particolarmente per quanto riguarda il baco da seta.
Il liquido odorifero (contenente il feromone) è stato estratto dall’apice dell’addome di 500.000 femmine di Bombyx mori ed alla fine è stata ottenuta la sostanza attiva allo stato puro.
Chimicamente si tratta di un alcool semplice, con due doppi legami nella catena, la cui formula grezza è C16H30O; questo è stato il primo feromone animale caratterizzato nella storia dell’umanità, ciò avvenne negli anni ’70 del secolo scorso.
Per individuare la presenza di questa sostanza, durante il processo chimico adoperato per isolarla, i biologi entomologi suggerirono ai chimici organici, che scioglievano il secreto delle ghiandole addominali in etere di petrolio, di immergere una cannuccia di vetro nella soluzione per avvicinarla alle antenne di un maschio.
La più piccola quantità di questa sostanza che, disciolta in un centimetro cubo di etere, dava un reazione nel maschio, fu definita una unità di “profumo-attrattivo”; questo rappresenta un tipico caso di test biologico.
Quando i chimici ottennero allo stato puro la sostanza attiva, si constatò che una unità era contenuta in 10-10 microgrammi di secreto, vale a dire in un decimiliardesimo di grammo!
È curioso notare, che il maschio risponde solamente a questo odore; se sono presenti altri odori forti, questi non lo disturbano affatto!
Questo significa, che i feromoni sono altamente specie-specifici.
Ma non solamente la femmina emana questi stimoli odorosi; in molti maschi di lepidotteri, ghiandole speciali producono profumi che hanno una funzione afrodisiaca, eccitando la femmina, preparandola ad accettare il partner che la corteggia.
A tale scopo, i maschi presentano particolari strutture, che consistono in ciuffi di squamette situati sull’addome, sulle zampe o sulle ali, che possono essere rapidamente aperti e allargati, in maniera da diffondere la sostanza odorosa secreta da ghiandole poste alla loro base.
Tali squame hanno forme complesse e appariscenti; sono conformate in modo da trattenere l’odore e disperderlo rapidamente al momento giusto.
Ne è un chiaro esempio il maschio della farfalla Eumenis (Satyrus) semele.
Come in tutti i Satiridi (Satyridae), le scaglie odorifere del maschio, o “androconi”, si trovano su una superficie allungata che attraversa obliquamente le ali anteriori.
Queste squame, presentano delle estremità a fiocco simile alla sommità fiorita, di certe erbe da campo.
La parata nuziale è bellissima: il maschio si antepone alla femmina, aprendo le ali in modo che quest’ultima con le antenne possa toccare le scaglie androconiali, a questo punto l’eccitamento sarà massimo ed i due insetti si congiungeranno per mezzo dei fori genitali, presenti nella parte terminale dell’addome.
Esistono numerosi altri esempi, ove la vista, l’udito, il tatto e l’odore, vengono a livelli diversi, specie-specifico, più o meno coinvolti.
Ed è affascinante constatare che, insetti come le farfalle e le falene, che possono a prima vista non competere per complessità, con animali che hanno dimensioni da centinaia, fino a migliaia di volte superiori, come rettili, uccelli e mammiferi, presentino un arsenale di strategie riproduttive di una tale sconcertante complessità.
Per concludere, dobbiamo dire che, dopo la scoperta del primo feromone negli anni ’70, i chimici organici hanno cominciato a sintetizzare migliaia di molecole da secreti ghiandolari, di specie, generi e famiglie d’insetti che i biologi gli fornivano.
Questo ha trovato poi un campo d’applicazione utilissimo in agricoltura e silvicoltura, entrando nell’area più generale della “lotta biologica”; il lavoro congiunto di biologi e chimici (i primi in natura, i secondi in laboratorio), su tali sostanze, ha portato alla nascita di una disciplina chiamata “Semiochimica”, la chimica dei segnali. Oggi alcuni biologi evolutivi, tracciano la tassonomia e l’evoluzione dei Lepidoptera, considerando anche l’evoluzione di tali segnali, oltre che la loro paleontologia, morfologia ed ecologia.
Storia Naturale ed Evolutiva della “Metamorfosi” parziale e completa; come cambiare in parte o completamente identità
Ma parliamo ora del fenomeno della metamorfosi completa “olometabola” e incompleta o parziale o graduale “emimetabola”, soffermandoci per ora solo all’aspetto della loro Storia Naturale e Evolutiva (poiché la fisiologia verrà trattata successivamente nel testo) per rimanere ancora più a bocca aperta sulle “cose della Natura” o sulla “natura delle Cose”.
Non appena gli Artropodi (Arthropoda) ebbero acquisito una cuticola dura, divenne per loro necessario il fenomeno della “muta” per poter crescere in dimensioni.
I tegumenti di tipo più tenero, come la cuticola che riveste tutto il corpo del bruco, possono essere provvisti di uno strato superficiale, o “epicuticola”, piuttosto ampio e ricco di pieghe.
Questo consente spazio per l’accrescimento; le pieghe superficiali si spianano, altra chitina e altra proteina si aggiungono agli strati interni del tessuto e, nei limiti concessi dalla estensibilità dell’epicuticola, il corpo può continuare a crescere.
L’esempio più impressionante di questo processo ci viene offerto dalla regina delle termiti.
Mano a mano che gli organi di riproduzione di questo insetto si sviluppano, l’addome può aumentare di lunghezza, fino a 50 volte la sua dimensione originale.
Ma le strutture rigide sclerotizzate, come la capsula cefalica, che in molti insetti deve sostenere la mandibola, il robusto scheletro del torace o le zampe, una volta indurite, non possono più allungarsi.
Il processo della “muta”, in senso lato, è costituito da una serie molto complessa di attività e viene messo in moto dalla secrezione di speciali cellule contenute nel cervello.
Questo secreto agisce sulle ghiandole a secrezione interna (endocrine), che si trovano nella testa e nel torace (dette ghiandole ventrali e toraciche), che per risposta, a loro volta, secernono l’”ormone della muta”. Tale processo è utilizzato dalle specie di lepidotteri eterocere, la cui larva/bruco, s’incrisalida durante il ciclo vitale, all’interno di un bozzolo setoso/chitinoso, ove avviene la metamorfosi, vedi il Bombyx mori.
L’esuviazione, il meccanismo che porta la farfalla notturna all’esterno del suo bozzolo, viene garantita da particolari enzimi, capaci di dissolvere la chitina e la proteina setosa che lo costituiscono. Questi enzimi sono riversati nel cosiddetto “liquido esuviale”, che l’insetto maturo o “imago” secerne per liberarsi dalla sua capsula, ormai divenuta una prigione stretta.
Ma durante la metamorfosi completa “olometabola” all’interno del bozzolo, per mezzo della quale si passa dallo stato di bruco, o meglio di crisalide o pupa, a quello di farfalla, avverrà anche una continua distruzione/ricostituzione di tessuto di rivestimento dell’insetto, per mezzo di tali enzimi; nel caso dei bruchi, con rivestimento molle, il 90% del vecchio rivestimento viene digerito e solo una sottilissima pellicola detta, “esuvia o exuvia”, viene abbandonata.
Nella maggior parte degli insetti, tra cui i Lepidoptera, non appena si raggiunge lo stadio adulto, le ghiandole a secrezione interna che producono l’ormone della muta, cioè le ghiandole toraciche e ventrali, regrediscono fino a scomparire; il tutto è preceduto dall’estinzione dei segnali che originariamente partono dalle cellule cerebrali.
Questa è una caratteristica, che si accompagna alla maturità dell’insetto.
Non si conosce molto, ancora oggi, su come sia regolata l’attività delle ghiandole toraciche e ventrali, ma si sa che viene stimolata da un altro ormone prodotto da cellule nervose del cervello, dette “cellule neurosecretrici”.
Ancora meno si sa, da cosa e come vengono controllate queste ultime; ma ciò che conta è che il centro fondamentale, che decide se i fenomeni di muta e metamorfosi, come di sviluppo, si debbano o meno attivare, risulta essere nel cervello dell’insetto, quindi anche del lepidottero.
Nel caso delle cimici, ad esempio, la forte distensione che l’addome subisce, dopo che l’emittero ematofago ha terminato il suo pasto di sangue, provoca lo stimolo nervoso nel cervello, che innesca la cascata ormonica suddetta.
In alcuni insetti alati, ovvero afferenti alla coorte degli Pterigoti (Pterygota), si nota una caratteristica nuova. Durante gli stati giovanili, tali insetti assomigliano più o meno alle specie attere dette Apterigoti o Atterigoti (Apterygota): sono sprovvisti d’ali e non raggiungono la maturità sessuale; si nutrono, crescono e subiscono una serie di mute successive, nelle quali s’osserva un progressivo ingrandimento degli abbozzi alari, ma ben pochi altri cambiamenti.
Finalmente, grazie ad un’ultima muta, questi insetti pterigoti, subiscono una spettacolare trasformazione, una vera metamorfosi, che però essendo parziale o incompleta, i biologi entomologi chiamano “emimetabola”; più generalmente “eterometabola”, la quale può poi essere “paurometabola” o “emimetabola”, in relazione alla specie.
Gli organi sessuali e riproduttivi, assumono maturando, la forma definitiva, compaiono ali completamente sviluppate e spesso la struttura e la forma della cuticola, sono profondamente alterate, anche nel colore.
È quanto avviene in uno dei due superordini, in cui la coorte degli Pterigoti (Pterygota) è suddiviso, che comprende le blatte, gli ortotteri (locuste, cavallette e grilli), gli emitteri (cimici, pulci, ecc.) e gli odonati anisotteri (libellule, ecc.), detto degli Esopterigoti (Exopterygota).
Una volta che le ali e gli organi sessuali si sono sviluppati, questi insetti non mutano più.
Esiste solo una curiosa eccezione, quella delle effimere, ove la larva acquatica o “naiade”, dà vita a un insetto alato detto “subimago”, che subito muta per formare il vero insetto adulto “imago”.
Nell’altro superordine di insetti alati, gli Endopetrigoti (Endopterygota = Olometaboli), a cui afferiscono appunto i lepidotteri, oltre che molte specie di coleotteri, ditteri come le mosche e imenotteri come le api, è stato adottato un espediente ancora più nuovo e stupefacente. Nella maggior parte dei lepidotteri, la ninfa appena si libera dall’involucro larvale, ha un aspetto in cui le ali appaiono per la prima volta; questo stadio è anche detto pupa in senso largo.
In più, come in molte specie di coleotteri, la ninfa non solamente possiede ali rudimentali, ma zampe, antenne e parti boccali, che non sono in grado di muoversi, ma sporgono dall’involucro superficiale e serviranno in seguito da guaine per le strutture mobili che si svilupperanno al loro interno, nell’insetto adulto.
Quasi immediatamente le ali, le parti boccali, le zampe e le antenne, si adattano le une alle altre come pezzi a incastro di un puzzle; poi, una sostanza cementante riveste tutti gli organi, che s’incollano saldamente, cosicché nella crisalide completamente formata di una farfalla o di una tarma, le varie parti, sono visibili in superficie solo nei loro contorni; questa rappresenta la pupa obtecta, come accennato prima.
Nello stadio ninfale, l’insetto entra in una sorta di “animazione sospesa”, per cui il metabolismo si rallenterà a valori basali e l’animale, non avrà necessità di nutrirsi; è, secondo alcuni biologi entomologi, come se si trovasse una seconda volta allo stadio di uovo, durante il quale si rinnova lo sviluppo embrionale.
Come abbiamo accennato, nelle eterocere-notturne, spesso la ninfa si racchiude in una cella sotterranea, oppure in un bozzolo serico, costruito appositamente dalla larva matura.
Diversi, invece, sono i “pupari” di protezione della mosca domestica e dei mosconi.
La vera larva della mosca, che è bianca e fragilissima, è racchiusa all’interno di un “pupario” bruno o nero, che rappresenta in realtà l’ultimo stadio della larva.
Tornando ai lepidotteri (ma lo stesso, fatte le dovute differenze, vale per le mosche, i coleotteri e le api), nella ninfa ha luogo uno sviluppo molto complesso, al termine del quale l’insetto che emergerà sarà notevolmente diverso da tutti gli stati precedenti.
L’insetto ha subito una “metamorfosi completa”.
Queste sorprendenti trasformazioni, sollevarono alcuni problemi che hanno tenuto impegnate sin dai tempi più antichi, le menti dei biologi.
Come sono regolati tali cambiamenti di forma? Come ebbero origine nel corso dell’evoluzione? Quale è il significato e quale l’origine dello stadio ninfale?
La prima delle tre domande è quella a cui è più facile rispondere, anche se in maniera ancora oggi piuttosto superficiale.
Immediatamente dietro al cervello del lepidottero (ricordiamo che questo vale anche per gli altri insetti olometaboli e emimetaboli, ove in questi ultimi però i ritmi sono differenti), è posta una minuscola ghiandola a secrezione interna detta “corpus allatum”.
Durante gli stadi giovanili, tale ghiandola secerne un ormone comunemente chiamato “ormone giovanile” o “hormone juvenile”, altri autori lo chiamano “neotenina”; fintanto che questa sostanza circola nel sangue (più precisamente emolinfa), le cellule epidermiche, quando l’insetto muta, depositano una cuticola di tipo larvale.
Sembra, che sia il cervello a decidere se il “corpus allatum”, debba secernere o meno l’ormone giovanile. Nel caso degli insetti esopterigoti (cimici, cavallette, grilli, blatte ecc.), tale ormone è presente nei loro stadi larvali; raggiunto l’ultimo stadio larvale, che negli ortotteri (grilli, cavallette) e negli emitteri (cimici, pulci), è di solito alla quinta muta, la neotenina viene a mancare e quando l’insetto muta ancora, si trasforma in adulto.
Gli stessi principi, valgono per gli insetti endopterigoti, quindi lepidotteri, coleotteri, api ecc., ma con una differenza. Se il “corpus allatum” viene tolto chirurgicamente da un giovane bruco, questo muta in una minuscola crisalide, che, a sua volta, darà vita a una piccolissima farfalla.
D’altra parte, se si espianta il corpus allatum, a un bruco nel suo ultimo stadio larvale, esso si trasforma in una creatura mostruosa con caratteristiche che sono tra quelle di una crisalide e di una farfalla adulta.
Da questi e altri esperimenti, i biologi entomologi, hanno dedotto che la forma di bruco si produce quando è presente una grande quantità di ormone giovanile, la forma di crisalide solo nel caso che ve ne siano piccole tracce, e la forma adulta (farfalla) quando questo ormone manca del tutto.
Alla seconda domanda (come ebbero origine nel corso dell’evoluzione?) è più difficile rispondere.
L’ipotesi più verosimile, che i biologi evolutivi, i biologi entomologi fanno, è che vi sia stata un’evoluzione indipendente dei diversi “stadi” degli insetti.
La forma di un animale (sia invertebrato che vertebrato) è il risultato di una serie di processi di sviluppo, che sono regolati dai “geni” ereditari esistenti nei cromosomi del nucleo delle cellule. I geni, forniscono la copia “eliografica” del progetto biologico d’insieme, in cui sono previsti la forma e le caratteristiche dell’animale.
È noto che negli insetti, per esempio il baco da seta, alcuni geni sono quelli che determinano soprattutto i caratteri della larva, mentre altri sono specificamente responsabili dei caratteri dell’insetto adulto. Nella forma di bruco, possono verificarsi grandissime variazioni senza che alcuna differenza percettibile, possa rilevarsi nella farfalla che ne deriva.
Analogamente, esistono certe specie di lepidotteri, come Acronycta psi e Acronycta tridens, afferenti alla famiglia dei Noctuidae, i cui adulti sono praticamente indistinguibili, mentre le loro larve sono del tutto dissimili; viceversa, ne esistono molti che sono virtualmente identici da larve, e molto differenti da adulti.
Non appena due serie di geni parzialmente indipendenti risultano separati in tal modo, è facile comprendere come la larva e l’adulto possano evolversi e mutare indipendentemente l’una dall’altro.
Così, quando la larva e l’insetto adulto, si trovano a vivere in ambienti differenti e a nutrirsi di cibi diversi, essi diverranno sempre più dissimili finché sarà necessaria una spettacolare “metamorfosi”, per assicurare il passaggio da una forma all’altra.
Forse, non è un caso del tutto fortuito, che larve di insetti assolutamente non imparentati, quando si trovano a vivere nelle medesime condizioni ecologiche, assumano per convergenza ecoevolutiva, un aspetto simile; ancora una volta, a mio avviso, questo dimostra che è sempre l’ambiente (che agisce sul substrato genetico, ma anche somatico), la forza principale a cui appartiene il vincolo storico-evolutivo di una specie, sia essa animale che vegetale.
Infatti le larve mangiatrici di foglie, dei tentredini, imenotteri del genere Symphytes, appaiono notevolmente simili ai bruchi dei lepidotteri ed alle larve di certi coleotteri, afferenti alla famiglia dei Chrysomelidae ed a quelle del Tipulide (Cylindrotoma splendens), che si nutrono allo stesso modo sulle foglie.
Possiamo pertanto considerare che la metamorfosi, sia completa che parziale, abbia avuto origine in quanto risultato dell’evoluzione divergente tra i vari stadi del ciclo vitale, da un lato degli stadi giovanili e di accrescimento dell’insetto, dall’altro dello stadio adulto e riproduttivo.
Probabilmente, l’origine della ninfa, dev’essere ricercata nella stessa direzione, e cioè come evoluzione indipendente di uno stadio intermedio, la cui forma è controllata ancora da altri geni e che serve a colmare il largo vuoto, tra la struttura della “larva” o “bruco” e quella dell’adulto, in questo caso la farfalla. Non è difficile immaginare che un simile stadio protetto e transitorio, tra larva e adulto, possa aver avuto un valore selettivo, durante il corso dell’evoluzione della specie.
Come è poi potuto accadere, che questi fondamentali e straordinari cambiamenti di forma, siano venuti a dipendere dal controllo dell’ormone giovanile?
A partire dagli anni ’50, poi confermato successivamente fino ad oggi, è stato scoperto che questo ormone (o alcune sostanze chimiche strettamente affini, che provocano le stesse risposte) è largamente presente tra gli animali e le piante, per cui si dice in biochimica essere un “ormone ubiquitario”.
Infatti, è stato estratto da molti invertebrati, da alcuni batteri e lieviti, dai semi di soia e da parecchi organi di mammiferi, tra cui l’uomo.
Tale composto naturale è il “Farnesol” un alcol sesquiterpenico aciclico, coinvolto nella sintesi dei lipidi, del colesterolo e dei carotenoidi.
È questo un tipico caso definito dai biochimici di “cattura ormonica”; tale fenomeno si ha quando
una qualsiasi sostanza chimica naturale, ampiamente distribuita nel regno animale, vegetale, procariotico, dei protisti e dei funghi come anche minerale, o che invece talvolta è un semplice prodotto secondario del metabolismo, senza alcuna importanza fisiologica, viene da alcune specie animali o vegetali, utilizzata come ormone.
Quindi, ad un certo punto, nella storia evolutiva di una specie, una ghiandola, in questo caso il “corpus allatum”, lo utilizza come suo vettore informativo, agendo mediante esso su vari organi, nel caso dei lepidotteri e degli altri insetti olometaboli, sulle cellule epidermiche che formano la cuticola, provocando specifiche risposte.
Come una chiave che apre una porta, tale ormone attiva una serie di geni, che sono i responsabili dello stadio larvale o di bruco.
Per tale ragione lo si ritrova in tutto il corpo, quando espresso, in modo che tutto l’insetto è allo stadio larvale o ninfale.
Per cui quando fattori ambientali, come una temperatura non adeguata, rompono tale equilibrio ormonico, si formano delle mostruosità come conseguenza di una espressione non bilanciata della serie di geni da esso attivati.
Ad esempio, sia nei lepidotteri, che nei coleotteri del genere Tenebrio, si possono avere casi di “protetelia”, l’insetto si presenta in una forma a metà tra larva e ninfa, oppure di “metatelia”, ove si presenta a metà strada tra lo stadio di ninfa e adulto.
Per concludere tale aspetto della biologia dei lepidotteri, accenniamo a un fenomeno (presente in una moltitudine di altri insetti), il quale è essenziale per la sopravvivenza dell’insetto, che si evidenzia con un arresto di crescita, durante periodi in cui si hanno situazioni ambientali avverse, quali temperature estreme (sia alte, che basse), carenza di cibo e acqua, ecc.
Questo fenomeno, o strategia, è detta “diapausa” (nei vertebrati: sia pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, si può verificare a livello dell’embrione in sviluppo).
La diapausa (condizione di animazione sospesa, in cui il metabolismo si abbassa a valori basali) è un mezzo fisiologico usato per sopravvivere alle stagioni avverse, ed è particolarmente frequente nelle zone temperate dove l’inverno rigido non è adatto allo sviluppo degli insetti.
Può verificarsi anche in certe zone tropicali, dov’è la stagione secca, quella oltre la quale l’insetto deve sopravvivere.
Le cause che fanno entrare un insetto, nello specifico un lepidottero, come ad esempio Araschnia levana o Lasiocampa cuercus in diapausa, possono essere molteplici; gli stimoli che possono indurre una crisalide a entrare in diapausa, possono essere di natura fotoperiodica (la variazione irregolare del fotoperiodo): ad una sua alterazione risponde entrando in diapausa. Ad esempio, nella Cavolaia maggiore (Pieris brassicae), quando le ore di luce sono meno di dodici.
Altre vengono stimolate dalle variazioni della temperatura; ad esempio portando crisalidi di farfalle tropicali a latitudini superiori, queste entrano subito in diapausa.
Nel caso in cui, per qualche ragione, il ciclo vitale di un lepidottero non è riuscito a proteggersi con la diapausa, al verificarsi di situazioni ambientali avverse, ma che non morendo ha completato il ciclo, generando l’adulto, questo risulterà piuttosto malconcio anche nella livrea, rispetto a chi è passato per la diapausa; tali esemplari sono detti forme “prorse”. Molti sono ancora oggi gli studi, ad opera dei biochimici, che vogliono chiarire quali sono le cascate ormonali coinvolte in tale processo.
D’altronde i biologi entomologi Kirby e Spence nel 1815, nell’introduzione del loro magnificente testo “Introduction to Entomology” scrissero: “Ricondurre l’ibernazione (diapausa) degli insetti, alla semplice e diretta influenza del freddo, equivale a pensare che uno degli atti più importanti della loro esistenza, possa essere abbandonato alla cieca guida delle sensazioni che, nelle mutevoli condizioni climatiche dell’Europa, li condurrebbe verso continui e fatali errori … Possiamo esser certi, che il Creatore non ha affidato la salvezza di una parte così importante delle sue creature a una guida tanto ingannevole”.
Fisiologia generale dell’Olometabolia e dell’Emimetabolia
Ripercorrendo velocemente, riassumendole, la fasi (per percepirne le differenze), tra la metamorfosi emimetabola o incompleta e quella olometabola o completa, possiamo dire che dopo la schiusa dell’uovo, negli insetti esopterigoti (ortotteri, odonati, blatte ecc.), la larva che ne fuoriesce detta anche “neanide”, di aspetto “non molto diverso” da quello dell’adulto, proseguirà nello sviluppo in modo graduale, fino uno stadio finale detto “immagine”, attraverso una serie consecutiva di mute, accompagnate da un accrescimento con graduale comparsa delle ali, negli stadi detti “ninfa” e, alla fine, con la maturazione dell’apparato genitale; da qui sorge l’insetto adulto e, avremo che l’ormone giovanile non sarà più secreto, per regressione totale del “corpus allatum”.
Nei Lepidoptera, come in tutti gli insetti olometaboli, o a metamorfosi completa (mosche, mosconi, api, coleotteri), la fisiologia è un po’ più complessa.
In questo caso, dall’uovo fuoriesce alla schiusa, una larva del tutto diversa dall’adulto, come abbiamo già discusso, che dapprima si accresce attraverso una serie di mute consecutive, finché giunta a una muta detta “critica”, si riveste di una cuticola di nuova foggia, trasformandosi in una “pupa”, che nei lepidotteri è obtecta.
Come accennato, durante il periodo di vita pupale, si verifica una serie enorme di cambiamenti della struttura interna e esterna dell’insetto. Con la muta definitiva, l’involucro pupale viene perduto, e ne emerge l’immagine o adulto.
Entrambi i tipi di sviluppo sono caratterizzati da un periodico ricambio e rinnovamento dell’esoscheletro chitinoso: involucro cuticolare acellulare non vivente, che con la sua persistenza limiterebbe lo sviluppo e la crescita dell’insetto. Questo fenomeno, è ormai ben noto come “muta”. Durante ciascuna muta, la vecchia cuticola esterna si distacca da una nuova cuticola interna, più sottile, formatasi alla superficie del corpo.
Tale distacco, tra la vecchia e la nuova cuticola, è opera di un’attività enzimatica. La vecchia cuticola quindi si fende lungo determinate linee d’incisione, e l’animale ne esce con sforzo muscolare, fenomeno noto con il termine di “esuviazione”. Non appena la vecchia cuticola è perduta, l’animale si dilata introducendo aria nel proprio apparato tracheale, ed aumenta pertanto il volume, sotto la nuova cuticola sottile, ancora elastica. Quando, più tardi, la nuova cuticola si sarà ispessita e indurita, l’aria in eccesso verrà di nuovo spinta fuori, ma l’animale entro il nuovo esoscheletro ha ormai spazio disponibile per ulteriore accrescimento, sino a quando debba ripetersi il processo.
Le estese modificazioni strutturali, che avvengono durante lo stadio pupale, nello specifico dei lepidotteri, implicano vaste demolizioni di tessuti e la loro sostituzione con tessuti nuovi, che si sviluppano da piccoli gruppi di cellule indifferenziate a riposo, detti “dischi immaginali”. Tutti questi complicati processi ci dicono i biologi cellulari, sono regolati da un complesso sistema di ormoni.
In maniera analoga a quanto si verifica per l’ipofisi nei vertebrati, che è sotto il controllo dei centri neurosecretori dell’ipotalamo, così anche negli insetti, varie ghiandole endocrine sono attivate da cellule neurosecretrici, contenute nella “massa gangliare sopraesofagea”.
Il loro secreto, di natura peptidica, si accumula in altre strutture di origine nervosa, dette “corpora cardiaca” e da qui, liberato nell’emolinfa, regola l’attività endocrina di altre ghiandole endocrine, di natura non nervosa, le “ghiandole toraciche e ventrali”; queste producono un ormone a natura steroide, l’ ”ecdisone”, detto anche ormone della muta, che regola il ritmo e la sequenza delle mute successive descritte sopra.
Esistono infine, altre ghiandole endocrine di origine anch’esse non nervosa, poste ai lati della parte anteriore dell’aorta, in vicinanza dei “corpora cardiaca”, le abbiamo già incontrate e sono i “corpus allatum”, le quali come ben sappiamo secernono l’ “hormone juvenile” o neotenina, che è un estere metilico di uno speciale acido grasso insaturo, il quale controlla la conservazione di tutte le strutture di tipo larvale. Finché continua, da parte del “corpus allatum”, la produzione della neotenina, di muta in muta, gli stadi di sviluppo permangono larvali; a un dato momento, le cui cause non sono ancora note, tuttavia, i “corpus allatum” diminuiscono la loro attività fino a cessarla, allora avviene la metamorfosi: le strutture giovanili quindi, vengono sostituite da quelle adulte, ad opera dell’ecdisone, che innesca l’espressione di una sequenza di geni, precedentemente inespressi, cui corrispondono le caratteristiche morfofisiologiche dell’adulto. Dopo la metamorfosi, le ghiandole pretoraciche regrediscono e scompaiono, per cui l’insetto non muta più.
L’essenziale differenza tra insetti emimetaboli e omometaboli, sembra semplicemente consistere nel fatto che nei primi, l’esaurimento della secrezione della neotenina è un processo assai più lento che nei secondi; questo significa che nei primi, la “crisi metamorfica” si avvera appunto gradualmente, durante i vari stadi di ninfa, mentre nei secondi, si verifica in maniera quasi subitanea o esplosiva, durante l’unico stadio di pupa.
Durante la crisi metamorfica, i “corpus allatum”, che hanno cessato di produrre ormone giovanile, iniziano la secrezione di altri ormoni, che determinano la maturazione dell’apparato riproduttore dell’insetto.
La mia formazione di biologo da campo e di zoologo, non mi permette di proseguire nei dettagli biochimici, che vanno oltre la mia preparazione, ma è ovvio che ancora i citologi e i biochimici ci sorprenderanno con i loro studi.
Qui terminiamo questo approssimativo testo, sulla vita dei lepidotteri e sulla loro biologia, chiedendo scusa ai colleghi biologi entomologi, per l’approssimazione quantitativa delle informazioni e, pur considerando fondamentale la tassonomia in quanto biologo, tanto quanto la matematica per il fisico, per non aver elencato tutte le famiglie, i generi e le specie note, per motivi di spazio, che però verranno trattate nei dettagli, nelle singole schede.