Famiglia : Cercopithecidae
Testo © Dr. Silvia Foti
Le Amadriadi (Papio hamadryas Linnaeus 1758) sono delle scimmie catarrine originarie del Nord Africa, cosa che le rende a tutti gli effetti i babbuini più settentrionali tra quelli esistenti. Appartengono alla superfamiglia Cercopithecoidea e, all’interno di questa, alla famiglia Cercopithecidae, suddivisa a sua volta nelle sottofamiglie Colobinae, a cui appartengono i colobi, e Cercopithecinae, che include, oltre alle amadriadi, babbuini, macachi, mandrilli, cercocebi, babbuini Gelada, clorocebi ed eritrocebi. Il genere Papio, oltre alle amadriadi, comprende il babbuino verde (Papio anubis, Lesson 1827), quello giallo (Papio cynocephalus Linnaeus, 1766), quello nero (Papio ursinus Kerr, 1792) e quello della Guinea (Papio papio Desmarest, 1820): tutte le specie, tranne Papyo hamadryas presente anche nella penisola arabica, popolano il continente africano.
Il nome del genere Papio deriva dal tardo latino “papio” = babbuino, mentre il nome specifico hamadryas deriva dal greco ἄμα (ama) = insieme e δρῦς (drys) = quercia, albero, ad indicare le ninfe degli alberi. Forse questo nome è stato loro associato per l’abitudine di dormire talvolta insieme su grandi alberi.
Zoogeografia
Le Amadriadi sono presenti nel continente africano, specie nelle regioni a sud del Mar Rosso, in Etiopia, Somalia ed Eritrea, ma anche nella regione paleartica, in Arabia Saudita e Yemen.
Abitano le regioni sub-desertiche, le aree steppose, le savane e le montagne che si affacciano sul Mar Rosso, fino ad altitudini di 1500 m, e la loro distribuzione appare fortemente condizionata dalla presenza di pozze d’acqua e di scogliere e rocce adatte ad essere sfruttate come rifugi notturni.
In alcune regioni dell’Etiopia, questi babbuini sono assidui frequentatori di aree agricole, al punto tale da essere considerate “parassiti” delle colture.
Per quanto riguarda la loro presenza nelle aree paleartiche, si pensa che siano stati introdotti dall’uomo ai tempi degli antichi egizi, nonostante attualmente siano considerati endemici dell’area.
Morfofisiologia
Presentano uno spiccato dimorfismo nelle dimensioni e nella colorazione della pelliccia. I maschi adulti arrivano a pesare anche oltre i 20 kg, le femmine sfiorano appena i 10, mentre la lunghezza varia dai 60 ai 72 cm, esclusa la coda, che può essere lunga anch’essa fino a 60 cm. La pelliccia nei maschi assume una colorazione grigiastra, tendenzialmente chiara, con il ventre della stessa tonalità del posteriore o più scuro, mentre sulla faccia una delicata peluria degrada da sopra il labbro, dove dà vita ad un paio di baffetti, fino a formare lateralmente una folta criniera color argento.
Il capo è ricoperto da una chioma lunga e fluente di “capelli” ondulati, a coprire le spalle. Proprio questa lunga e folta pelliccia distingue le amadriadi dal resto dei babbuini, così come il colore della faccia, che varia dal rosso al rosa al nero.
Le femmine presentano una colorazione molto diversa, sui toni del marrone-oliva, mentre il colore della pelle che circonda le callosità ischiatiche (ampie zone di cute callosa intorno alle natiche), sia in maschi che femmine, è di un rosa-rosso brillante. Particolare è il colore che assume la groppa della femmina in gravidanza: diventa di un rosso acceso, così come gli organi genitali vanno incontro a gonfiori molto evidenti durante il periodo di estro.
La coda è lunga e curva. Il muso è lungo e sporgente, simile a quello di un cane, e, nei maschi, dotato di lunghi canini affilati; le arcate sopraccigliari sono molto pronunciate e gli arti lunghi e snelli. I piccoli sono ricoperti inizialmente da una peluria nera, che perdono a circa sei mesi d’età per acquisire la colorazione marrone-oliva delle loro mamme.
Ecologia-Habitat
Si cibano di erba, frutta, radici, tuberi, semi, foglie, germogli e insetti, ma non disdegnano piccoli mammiferi, come lepri e giovani gazzelle, mostrando abitudini alimentari prettamente onnivore.
Sono principalmente terrestri ma passano la notte sugli alberi o sulle scogliere, fattore questo che, insieme alla disponibilità d’acqua, ne influenza fortemente la distribuzione biogeografica.
Etologia – Biologia riproduttiva
L’organizzazione sociale delle amadriadi appare estremamente complessa, una delle più sofisticate nel mondo animale. Viene definita come “multilivello”, in quanto si possono individuare vari “strati” sociali che, partendo dai singoli harem, si sviluppano in clan, bande e, quindi, truppe. Vediamo più nel dettaglio cosa si sono inventati questi organizzatissimi babbuini.
Le amadriadi vivono in grandi gruppi familiari definiti harem o OMU (one-male unit) costituiti da un maschio, nel ruolo di “capo-famiglia”, e da un gruppo di femmine, fino a 10, con la loro prole, su cui il maschio esercita un rigido controllo, mantenendo il diritto esclusivo ad accoppiarsi con esse ed impedendone qualsiasi contatto o forma di socializzazione con altri maschi.
Il “capo-famiglia” in genere rimane legato per anni alle proprie femmine, le quali competono continuamente per aggiudicarsi le attenzioni del loro “sposo”.
All’interno dell’harem, infatti, il maschio alfa è il principale oggetto di “grooming” da parte delle sue femmine, le quali strigliano il suo pelo di continuo, soprattutto a livello della criniera, della faccia e dei glutei.
È lui, infatti, a guidare il branco, stabilendone gli spostamenti e punendo le femmine disobbedienti. Tuttavia, talvolta, le famiglie possono essere seguite da alcuni maschi “satellite” solitari, che possono essere imparentati col maschio-alfa.
Gli harem, come dicevamo, non rappresentano che i mattoni di quello che è un delicatissimo intreccio di relazioni ed equilibri tra tutti i componenti. I capi dei vari harem possono, infatti, interagire e cooperare, essendo spesso anch’essi strettamente imparentati, dando vita a dei clan che possono raggiungere una popolosità elevata, fino a comprendere 60-90 individui.
Più clan, a loro volta, generalmente dai 2 ai 4, possono condividere gli stessi siti di riposo notturno, convivendo in grandi gruppi di oltre 200 individui, noti come bande.
Sia i maschi che le femmine di rado abbandonano la banda a cui appartengono e i maschi-alfa degli harem che la costituiscono sono i primi combattenti a scendere in campo in caso di scontri con bande nemiche. I maschi-satellite, invece, mostrano un minor grado di fedeltà nei confronti delle bande, spostandosi eventualmente dall’una all’altra. Più bande possono formare, infine, una truppa, livello sociale che si contraddistingue per la condivisione dello stesso sito di riposo notturno da parte di tutti i componenti.
In questa rigidissima organizzazione piramidale i maschi più giovani devono dimostrarsi astuti e pazienti per acquisire delle femmine a loro volta e dare vita a nuovi harem.
Questi maschi subordinati hanno due possibilità per aumentare le loro potenzialità riproduttive: in molti casi un maschio subordinato può inserirsi all’interno di un harem già definito, rimanendo ben lontano dalle femmine e non manifestando alcun comportamento riproduttivo nei loro confronti, ma limitandosi a seguire il gruppo, foraggiando e riposando insieme ad esso. In questo modo il maschio comincia ad entrare in “confidenza” con le femmine e, piano piano, accorcia le distanze tenendo d’occhio soprattutto le femmine più giovani fino al raggiungimento dello sviluppo sessuale.
La strategia consiste proprio nell’ “adottare” una femmina giovane o sub-adulta, accudendola e riservandole grande attenzione. Questa è una strategia più sicura per il maschio-satellite, in quanto, essendo la femmina immatura sessualmente, il maschio-alfa si mostra meno interessato ad essa.
I pazienti maschi satellite, tuttavia, sanno bene di investire le loro energie in maniera proficua: quando la femmina adottata diventerà adulta, terrà in giusta considerazione il maschio che l’ha accudita e aumenteranno notevolmente, per esso, le possibilità di creare un harem tutto suo.
Quando il maschio riesce a stabilire, infatti, il suo predominio sulla femmina adottata, diventando una coppia, acquisirà automaticamente molto più fascino anche nei confronti di altre femmine dell’harem, che cominceranno a sentirsene attratte.
Tuttavia la modalità che molti sub-adulti perseguono è quella di rubare l’intero harem al maschio dominante, dopo aver acquisito il giusto livello di familiarità con le femmine, deponendo il vecchio leader.
Questo sistema fa sì che le femmine possano cambiare clan o leader nel corso della vita: si è visto che circa il 70% delle femmine passa da una OMU all’altra nell’arco della vita e il cambiamento appare influenzato dalla presenza o meno di femmine imparentate nel nuovo harem in cui la femmina sceglie di entrare a far parte.
La modalità in base alla quale le femmine selezionano un nuovo harem in cui spostarsi consente, spesso, di mantenere contatti con le altre femmine imparentate per tutta la vita.
Ovviamente il maschio-alfa monitora attenta- mente le sue femmine, e non manca di infliggere pesanti punizioni alle più indisciplinate: nel caso in cui esso scorga una delle sue “donne” in atteggiamenti compromettenti con altri maschi-satellite, non ci pensa due volte ad intervenire rincorrendo, strattonando e mordendo la potenziale traditrice.
A questo punto c’è da chiedersi cosa spinga una femmina ad esporsi al rischio di incorrere in un’ira così funesta: si pensa che le femmine, accoppiandosi con altri maschi, rendano più confusa la paternità all’interno del gruppo evitando in questo modo che i maschi mettano in atto atteggiamenti infanticidi nei confronti dei piccoli di cui non sono sicuri di essere padri. Un piccolo potrebbe, infatti, essere figlio del leader, cosa vera nella maggior parte dei casi, ma potrebbe essere figlio di uno dei maschi-satellite: nel caso in cui questo assuma il potere, deponendo il vecchio capo, più difficilmente ucciderà il piccolo.
Le femmine hanno tipicamente un ciclo estrale di 31-35 giorni, di cui i primi 3, in assenza di concepimento, sono caratterizzati da un notevole flusso mestruale.
Nei giorni dell’ovulazione, invece, la pelle perineale si gonfia per comunicare al maschio la ricettività sessuale della femmina. L’accoppiamento avviene secondo una modalità stereotipata: l’atto viene iniziato dalla femmina, la quale offre la sua parte posteriore al maschio, che la monta ripetutamente fino all’eiaculazione. La frequenza di accoppiamento nei giorni di massima ricettività è molto alta, arrivando anche a 7-12 episodi all’ora.
In genere quando un nuovo maschio si aggiudica la femmina di un harem, questa sviluppa subito i classici rigonfiamenti dei genitali, anche se ciò non si accompagna ad un vero estro: è plausibile pensare che questo estro “fittizio” serva ad “ingannare” il nuovo leader facendogli credere che la femmina in questione sia ricettiva sessualmente al fine di evitare che egli possa uccidere i piccoli che ella ha avuto col maschio-alfa precedente.
La gravidanza dura circa 6 mesi, al termine dei quali la femmina dà alla luce un solo piccolo; le nascite si registrano soprattutto nei mesi da maggio a luglio, salvo che per le amadriadi etiopi, per le quali i mesi in cui si registra il più alto tasso di nascite sono novembre e dicembre.
Tra un parto e il successivo generalmente passano 2 anni, ma vi è una elevata variabilità inter-individuale: alcune femmine riescono a mettere al mondo un figlio all’anno, altre uno ogni tre, riflettendo probabilmente differenze nello stato nutrizionale e nel livello di stress di ogni singola femmina.
I piccoli sono neri, pesano circa 600-900 g, hanno la pelle rosa acceso e sono completamente dipendenti dalla madre per i primi mesi, fino a quando non iniziano a mangiare cibi solidi e sono in grado di camminare da soli. Lo svezzamento avviene tra i 6 e i 15 mesi: la durata del periodo di allattamento varia sulla base di numerosi fattori di natura ecologica e sociale, oltre che in base alle condizioni fisiche della madre.
Le femmine somministrano ai piccoli la quasi totalità delle cure parentali: li accudiscono, strigliano loro il pelo e si dedicano non solo ai propri figli, ma anche ai piccoli delle altre femmine appartenenti all’ha- rem. Inoltre, i giovani possono continuare ad avere rapporti molto stretti con le loro madri anche dopo che si rendono indipendenti da esse, essendo questa una specie in cui la socialità è estremamente svi- luppata.
Anche il padre, tuttavia, svolge la sua parte: difende i piccoli dai predatori, evitando il più possibile che gli altri maschi del gruppo possano entrare in contatto con essi.
La maturità sessuale viene raggiunta tra i 5-7 anni nei maschi e intorno ai 4 nelle femmine. Per quanto riguarda le dimensioni corporee, nei maschi la taglia adulta viene raggiunta intorno ai 10 anni di età, mentre nelle femmine, che rimangono notevolmente più piccole, intorno ai 6.
Lo sviluppo sessuale nei mas- chi appare come un processo particolarmente complesso: i testicoli si ingrandiscono ad un ritmo diverso rispetto al resto del corpo. Tra i 4 e i 6 anni hanno già raggiunto le loro dimensioni massime, mentre il corpo raddoppia le sue dimensioni solo tra i 7 e gli 8 anni. Tutto ciò ha, ovviamente, un significato specifico: si pensa, infatti, che in questo modo i maschi sub-adulti, sprovvisti di un loro harem, possano intrufolarsi più agevolmente all’interno degli harem altrui, non avendo ancora le dimensioni di un adulto, ma essendo maturi sessualmente possano accoppiarsi con qualche femmina, creando quindi una loro OMU.
Diversamente, l’acquisizione ritardata dei caratteri sessuali secondari avrebbe soprattutto la funzione di mantenimento dell’harem: lo sviluppo della criniera argentea, di guance e posteriore di colore chiaro averebbe molto fascino sulle femmine, spingendole a rimanere col maschio-alfa e procurandogli un altissimo tasso di “grooming”.
Funzionamento di clan, bande e truppe
L’organizzazione sociale dei babbuini appare, come abbiamo visto, estrema- mente complessa e basata su una struttura piramidale che, a partire dalle singole OMU, porta alla formazione di clan, quindi di bande e in ultimo di truppe. Perché i babbuini si associano in gruppi via via di dimensioni maggiori?
La formazione di bande pare sia importante per consentire alle amadriadi di competere per l’accesso alle pozze d’acqua e ai siti di riposo notturno. Ogni mattina i vari maschi-alfa appartenenti ad una stessa banda prendono accordi circa la pozza d’acqua presso cui si riuniranno a mezzogiorno. L’accordo avviene in modo molto semplice: un maschio-alfa compie alcuni passi in direzione della pozza d’acqua presso cui vuole che la banda si riunisca, e se anche gli altri leader sono d’accordo con la sua scelta, muoveranno a loro volta dei passi nella stessa direzione.
Per comunicare, invece, che gradireb- bero visitarne una diversa muoveranno dei passi nella direzione dell’altra pozza. Alla fine, la spunterà la pozza verso cui più capi si muoveranno: quello sarà il luogo deputato all’incontro di mezzo- giorno.
Da quel momento in poi le varie OMU si disperderanno in cerca di cibo e si ritroveranno a mezzogiorno, come secondo gli accordi, alla pozza presta- bilita.
È molto importante che tutti i clan si ritrovino all’orario e nel luogo giusti: la pozza d’acqua rappresenta una risorsa importante per moltissimi altri animali e il principale vantaggio, per i babbuini amadriade, nel riunirsi in folti gruppi è proprio quello di garantirsi l’accesso all’acqua.
Stesso procedimento vale per la scelta dei siti di riposo notturno, presso cui le varie bande di babbuini si riuniscono in truppe. Sembra, infatti, che nel caso delle truppe non ci sia un vero e proprio significato sociale, come invece per le bande, ma che i babbuini si trovino “costretti” a riunirsi in grandissimi gruppi soprattutto a causa della scarsità di luoghi adatti ad essere sfruttati come rifugi per la notte.
Una particolarità propria delle amadriadi è quella di associarsi in bande in cui ci siano relazioni di parentela tra i vari componenti: nonostante i maschi possano formare dei propri harem, separandosi da quello di origine, non si allontanano mai del tutto dai parenti, in quanto tutti tenderanno a rimanere nell’ambito della stessa banda. Questi legami di sangue sono quelli che, si pensa, determinano l’elevato grado di rispetto che vige all’interno delle bande: difficilmente un leader di una OMU farà il “dongiovanni” con le femmine di un’altra OMU.
Abbiamo visto, infine, come anche per le femmine valga in qualche modo la stessa regola: cercano di spostarsi in OMU in cui ci siano sorelle o parenti e non è raro, infatti, che due femmine provenienti dallo stesso gruppo di origine si trasferiscano, in età adulta, nella stessa OMU. Nonostante ciò, all’interno degli harem è presente una “pseudo-dominanza” anche per quanto riguarda le femmine: il maschio-alfa tende a reprimere il più possibile gli episodi di aggressività tra le sue compagne, evitando la stratificazione sociale.
Tuttavia all’interno di una famiglia si possono individuare alcune femmine definite “centrali”, che passano maggior tempo in prossimità del maschio e hanno con esso un legame più forte, e altre femmine, dette “periferiche”, che passano meno tempo col leader e sono spesso usate dal gruppo per andare in avanscoperta presso i siti di foraggiamento o le pozze d’acqua, esponendosi ad un maggior rischio di predazione.
Ovviamente questa discriminazione fa sì che all’interno dell’harem ci sia competizione tra le femmine per entrare nelle grazie del maschio-alfa. Ciò potrebbe giustificare i rigonfiamenti delle zone genitali a cui vanno incontro le femmine subito dopo che un nuovo maschio si impossessa di una OMU: abbiamo detto che questo “finto” estro potrebbe evitare o ridurre comportamenti infanticidi da parte del nuovo capo, ma potrebbe anche servire per avere subito degli accoppiamenti col nuovo leader, per instaurare con esso un legame saldo.
Comunicazione intraspecifica
Una organizzazione sociale così sofisticata richiede, ovviamente, una modalità di comunicazione altrettanto complessa ed efficace. I babbuini amadriade comunicano per mezzo di un codice fatto di gesti, sguardi, sfregamenti, vocalizzazioni, e in minima parte, odori.
Tra le forme di comunicazione visiva più importanti per la specie vi è indubbiamente la presentazione del posteriore al maschio dominante da parte di femmine e giovani del gruppo in segno di sottomissione, segnale ben diverso da quello che la femmina usa per comunicargli la sua disponibilità all’accoppiamento: nel primo caso, infatti, il posteriore rimane molto più basso, vicino al suolo.
I maschi comunicano, poi, le loro intenzioni minacciose nei confronti di altri maschi fissandoli e scoprendo i canini, mentre le vocalizzazioni vengono emesse come segnale di allarme o di affiliazione.
In Papio anubis le femmine, quando sono in estro, producono una serie di sostanze odorose, col fine di rendersi ancora più attraenti nei confronti del maschio e si pensa che la stessa cosa possa valere per Papio hamadryas. La comunicazione tattile, invece, si sviluppa sotto forma di “grooming”, ovviamente, ma anche attraverso abbracci e sfregamenti rassicuranti, come anche attraverso schiaffi e colpi in caso di competizione.
Curiosità
In alcune aree dell’Etiopia pare che Papio hamadryas mostri abitudini migratorie: sono state osservate alcune popolazioni spostarsi nelle zone montane nel Parco Nazionale dei Monti Simien, fino a 3300 m d’altitudine, durante la stagione delle piogge.
Attualmente non sono conosciuti dei veri e propri predatori di Papio hamadryas nella maggior parte del suo areale, ma si ritiene che l’evoluzione di una sofisticata organizzazione sociale sia anche la conseguenza della predazione di cui è stato oggetto nelle epoche passate: ritrovarsi in grande numero presso le pozze d’acqua aiuta ad affrontare con maggiore sicurezza eventuali predatori, come pure la scelta di scogliere e rocce posizionate ad una certa altezza quali rifugi notturni evince la necessità, almeno in passato, di mettersi al sicuro da pericoli, fattore quest’ultimo che, come abbiamo già detto, può spiegare la nascita delle truppe.
Papio hamadryas può ibridizzare con Papio anubis, il babbuino verde, in una regione a Nord dell’Etiopia in cui gli areali delle due specie si sovrappongono.
La durata massima della vita in cattività è stata registrata di 37 anni; in natura si pensa che il dato sia leggermente inferiore.
I babbuini amadriadi hanno goduto per lungo tempo di una reputazione assai prestigiosa: gli antichi egizi li conside- ravano sacri, in quanto trasfigurazione animale del Dio Thot, divinità della sapienza, della scrittura e della luna. Nell’arte egizia è molto frequente, infatti, imbattersi in raffigurazioni della divinità con fattezze di amadriade, come pure sotto forma di amadriade veniva rappresentato Astennu, il guardiano di Toth, il quale aveva il delicato compito di trascrivere il risultato della pesatura del cuore.
Si pensa che questa attribuzione di sacralità alle amadriadi sia da ricercare nello stretto rapporto che intercorreva tra esse e gli antichi egizi, che le addomesticavano per raccogliere i frutti sugli alberi o anche per custodire greggi di pecore, come fossero dei cani da pastore. Una spiegazione alternativa, invece, dice che le amadriadi fossero oggetto di culto in quanto in alcuni dei loro comportamenti gli antichi egizi rintracciavano una forma di venerazione nei confronti del sole.
Sinonimi
Hamadryas aegyptiaca Gray, 1870; Hamadryas chaeropitheus Lesson, 1840; Papio arabicus Thomas, 1900; Papio brockmani Elliot, 1909; Simia cynamolgus Linnaeus, 1758; Theropithecus nedjo Reichenbach, 1863; Cynocephalus wagleri Agassiz, 1828.