Famiglia : Ursidae
Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
L’Orso bianco o polare (Ursus maritimus Phipps, 1774), che fino agli anni ’80 del secolo XX veniva inserito dai biologi tassonomisti nel genere Thalarctos con la specie Thalarctos maritimus, è un mammifero quadrupede, eutero, placentato, nello specifico il carnivoro terrestre più grande del Pianeta Terra (insieme ad altre specie d’orso), afferente alla superclasse degli Gantostomi (Gnathostoma), classe Mammiferi (Mammalia), sottoclasse Placentati (Placentalia), ordine Carnivori (Carnivora), sottordine Fissipedi (Fissipedia), famiglia Ursidi (Ursidae), sottofamiglia Ursini (Ursinae), genere Orso (Ursus).
Gli orsi, grossi carnivori plantigradi (così chiamati poichè poggiano durante la deambulazione su tutta la pianta del piede, contrariamente agli animali digitigradi, come i felini, che poggiano sulla punta delle dita), sono diffusi principalmente nelle regioni fredde e temperate dell’Emisfero Boreale o Settentrionale; costituiscono una delle famiglie più omogenee e meglio caratterizzate dell’ordine a cui appartengono.
I biologi, descrivono attualmente sette generi a cui vengono fatte risalire un numero di specie su cui non c’è unanime accordo, anche nell’ambito dell’International Commission for Zoological Nomen- clature (ICZN). Le caratteristiche anatomiche generali degli ursidi, che formano delle tendenze generali, concordano sul fatto che tutte le specie sono riconoscibili facilmente per una mole, sempre assai notevole, a cui s’accompagnano delle forme tozze e alquanto massicce.
Il dorso si presenta sempre gibboso in corrispondenza delle spalle, il collo è corto ed ampio, ed il capo, che risulta assai massiccio, termina con un muso dal profilo dritto e dalla forma progressivamente a tronco di cono. Gli occhi sono piuttosto piccoli e parimenti lo sono le orecchie tondeggianti. Le zampe sono robuste e possenti e terminano con una pianta dei piedi assai larga, sfruttata per la deambulazione, donde la definizione di plantigradi. I piedi sono armati d’unghioni robusti non retrattili. La coda è sempre ridotta ad un corto moncherino, la pelliccia sempre molto folta ed abbondante, anche se alcune specie hanno un pelo più raso.
Nei confronti degli altri carnivori, gli orsi presentano una dentatura maggiormente adattata a triturare i cibi vegetali, sebbene non sia il caso, come vedremo, dell’orso polare, per cui il molare posteriore è sviluppatissimo in quasi tutte le specie, mentre nelle altre famiglie dell’ordine come nei Felidi (Felidae) e nei Canidi (Canidae) è ridotto o del tutto assente. La maggior parte delle specie di ursidi posseggono dodici incisivi (sei superiori e sei inferiori), queste vengono ascritte nella famiglia degli Ursidi (Ursidae) e nella sottofamiglia degli Ursini (Ursinae), mentre per l’Orso labiato (Melursus ursinus), che possiede solo quattro incisivi nella mascella superiore, i biologi hanno creato la sottofamiglia dei Melursini (Melursinae). Storicamente ed etnozoologicamente il rapporto tra le varie specie di orso, soprattutto le più grandi e feroci e l’Uomo (Homo sapiens), ha avuto sempre una natura conflittuale. Sin dai tempi preistorici ad esempio con l’Orso delle caverne (Ursus spelaeus, vissuto in Eurasia nel Pleistocene), oggi estinto, specie dalle proporzioni gigantesche, l’uomo primitivo era in lotta. Ovviamente data la mole e la ferocia, l’essere umano era una sua preda, almeno finché non fu in grado di costruire strumenti di offesa, che gli permisero, mediante forme di caccia organizzata in gruppo, di non essere sempre dalla parte di chi soccombe.
Nel corso dei secoli, nelle aree più urbanizzate, l’orso devastava spesso le mandrie ed i greggi degli allevatori. Gli si dava quindi la caccia, anche per degustarne la carne e utilizzarne il grasso e la pelliccia; la carne di tutte le specie d’orso è infatti commestibile e ricercata dall’uomo. Non parliamo solo delle popolazioni tribali come gli eschimesi, che cacciano l’orso polare per usarne la pelliccia oltre che il grasso e la carne necessari alla loro sopravvivenza, ma anche del cosiddetto uomo civile per venderne la carne sotto forma di gigantesche bistecche nei ristoranti, come accade ancora oggi in molte città di diverse provincie canadesi e siberiane, al punto che esistono anche delle bear farms, dove alcune specie, meno aggressive, vengono allevate per tale scopo.
Inoltre, a causa della distruzione nel corso del tempo, ad opera dell’essere umano, degli ecosistemi e dei biotopi in cui le varie specie d’orso vivono, come a causa dell’inquinamento crescente, questi animali sono sempre più minacciati in varie aree geografiche.
Nel caso dell’Orso polare (Ursus maritimus), lo scioglimento dei ghiacci polari artici si somma agli altri fenomeni di degrado ambientale prima accennati. La International Union for Control of Nature (IUCN) ha stabilito ad oggi uno status di vulnerabile.
La caccia a cui sono stati soggetti, soprattutto a scopo sportivo, sparandogli da un elicottero in volo, permessa fino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, ha dato un contributo sostanziale al loro decremento.
Oggi tale stupida attività venatoria è per fortuna vietata con decreto mondiale. L’orso polare è ora una specie severamente protetta, specialmente dai russi. Viene concessa solo l’uccisione di qualche capo all’anno alle tribù eschimesi per sopravvivere. Numerose sono le loro tane per l’inverno, vicino l’insediamento umano nell’isola di Wrangel, un’isola dell’Oceano Artico, fra il Mare dei Chukci ed il Mare Siberiano Orientale.
L’inquinamento ambientale, ad opera, soprattutto in passato (fino a tutti gli anni ’80 del secolo scorso), di carburanti automobilistici con scarichi contenenti piombo, o ancora oggi l’utilizzo in agricoltura d’alcuni insetticidi chimicamente stabili, come il DDT, che si fissano irreversibilmente negli organismi viventi, entrando nella catena alimentare, hanno mostrato e mostrano tutti i loro effetti dannosi anche nelle lande isolate del Circolo Polare Artico e del Polo Nord. Sono state infatti misurate tracce della loro presenza atmosferica, nel ghiaccio e nel grasso degli orsi polari, luoghi dove ovviamente è assente il traffico urbano e l’attività agricola.
Zoogeografia
L’Orso polare (Ursus maritimus) popola le coste artiche dell’Emisfero Boreale, spingendosi solo di poco e solo in alcune regioni a sud del Circolo Polare Artico.
È diffuso lungo tutte le coste della Groenlandia, della Nuova Zemlia (o Novaja Zemlja, un arcipelago russo costituito da due isole maggiori separate dallo stretto di Matockin), dello Spitzbergen (un’isola norvegese, la più estesa dell’arcipelago delle Svalbard) e delle grandi isole artiche canadesi (Baffin, Victoria, Ellesmere, Banks ecc.); sulla terraferma, sono poi presenti sulle coste settentrionali della Siberia, del Canada e dell’Alaska. In Europa s’incontra nella Norvegia settentrionale, nella Penisola di Kanin in Russia ed in parte dell’Islanda; occasionalmente può spingersi per fame anche più a sud.
Al di fuori del Mare Artico questi grandi orsi si possono incontrare nelle isole Curili (un arcipelago di 60 isole che si trova tra la parte nordorientale dell’isola giapponese di Hokkaido e la penisola russa di Kamciatka), a Sachalin (un’isola russa del Pacifico settentrionale al largo delle coste orientali della Russia), nella Kamciatka (o Kamchatka, una penisola al largo delle estreme propaggini orientali del territorio russo, appena al di sopra dell’arcipelago delle isole del Giappone), a Terranova e nella Nuova Scozia (rispettivamente un’isola e una provincia federale canadese).
Ecologia-Habitat
In realtà l’orso polare, più che un abitatore delle coste delle isole, può considerarsi un animale che trascorre parte del suo tempo nel mare e parte sui bordi del Pack (uno strato di ghiaccio di mare, prodotto dallo sgretolamento della banchisa). È un eccellente nuotatore, veloce ed agile nelle immersioni; inoltre è in grado di correre con notevole velocità sul ghiaccio e sulla neve. Mentre la maggior parte degli orsi sono onnivori (nutrendosi sia di carne di vertebrati come pesci, mammiferi, sia d’insetti, di bacche, funghi e miele) l’ Ursus maritimus è una specie esclusivamente carnivora, sebbene, quando le prede scarseggiano, si nutra anche di bacche, licheni e di altre rare forme vegetali di quelle zone come il papavero polare e la silene acaule e dei vegetali della tundra artica. Oggi purtroppo, soprattutto in inverno, trovando sempre meno cibo, si spinge frequentemente a sud; ad esempio in Alaska, lo si vede sempre più spesso cercare qualcosa da mangiare tra la spazzatura dei piccoli centri urbani. Nello specifico si nutre di foche (vedi testo Pinnipedia) e piccoli di trichechi, cetacei (come quelli di beluga e di narvalo) e di pesci.
L’orso polare, costituisce l’ultimo anello di una catena alimentare che ha inizio col plancton e giunge all’orso, attraverso i pesci e le foche. La concentrazione di vitamina A aumenta lungo la catena alimentare ed i vertebrati ne accumulano l’eccesso nel fegato. La concentrazione nel fegato dell’orso polare è così elevata che risulta tossica sia per l’uomo che per molti animali. Il biologo polare K. Rodahl ha trovato 26.700 Unità Internazionale (UI) di vitamina A per grammo di fegato di un orso polare ucciso in Groenlandia; e alcuni ratti sono morti, avendo mangiato 0,5-0,7 g di questo fegato al giorno per circa una settimana. Di carattere fiero, l’orso polare non esita ad aggredire l’essere umano e ad ucciderlo, anche se non disturbato o cacciato. Ma grazie alla sua particolare area di distribuzione, vivendo in aree pressoché disabitate, non ha mai causato stragi umane o d’animali domestici. Sostanzialmente, al di fuori dell’essere umano, non ha predatori, per cui è definibile come un Apex-predatore.
Morfofisiologia
Questa specie si differenzia maggiormente da tutte le altre, per il suo modo di vita e per le sue caratteristiche morfologiche. Infatti l’Ursus maritimus, insieme con il Kodiak o Orso dell’Alaska (Ursus middlendorffi), è la specie che raggiunge le dimensioni maggiori della famiglia.
I maschi hanno una lunghezza totale che sfiora i tre metri, per un peso non molto al disotto della tonnellata; le femmine non superano i 2,10 m di lunghezza per circa 300-400 kg di peso, ovviamente prima di partorire ed allattare.
L’orso polare, rispetto all’Orso bruno (Ursus arctos), ha una sagoma più slanciata, col capo proporzionalmente più piccolo ed il muso più allungato. Le zampe sono eccezionalmente robuste, con pianta dei piedi molto ampia e dita unite fra loro, fino a metà della loro lunghezza, per mezzo di una membrana cutanea atta a favorirne il nuoto in mare. La pelliccia è foltissima e lunga, per adattamento all’ambiente, di colore uniformemente bianco candido che tende al giallognolo nel tempo e negli esemplari molto vecchi diventa decisamente gialla. Ha un pannicolo adiposo molto sviluppato.
Vive mediamente 25-30 anni in natura e raggiunge anche i 40 anni in cattività.
Etologia-Biologia Riproduttiva
I maschi sono sessualmente maturi dal quarto anno in poi, le femmine possono già procreare al terzo anno di vita. Il periodo degli accoppiamenti per l’orso polare è verso la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
I periodi in cui le femmine sono disponibili all’accoppiamento sono poco frequenti, in quanto una femmina non s’accoppia finché ha i piccoli d’accudire e questo significa ogni tre anni; l’estro dura pochi giorni e durante questo periodo il maschio e la femmina formano una coppia. Il periodo di gravidanza varia tra 195-265 giorni, in questo periodo la futura mamma costruisce una tana nella neve e mangia fino a raddoppiare il suo peso. La tana non è mai troppo lontana dalla costa per facilitare la ricerca del cibo. La femmina d’orso bianco partorisce generalmente due piccoli per gravidanza, questi nascono nell’inverno successivo all’accoppiamento e all’interno della tana dove la madre si rinchiude, senza mangiare, in prossimità dello sgravamento.
Appena nati i cuccioli sono ciechi, nudi e pesano circa 1-2 kg, ma la particolare struttura di questo igloo e la pesante mole della madre sono sufficienti a fornire loro tutto il calore necessario. Il latte, fornito per diverse settimane, è molto ricco in grassi e proteine, tanto che con l’arrivo della primavera successiva, quando escono dalla tana, hanno raggiunto 20-25 kg circa di peso.
I piccoli entrano dunque in contatto col mondo esterno a circa 3-4 mesi di vita postnatale, e la mamma, dimagrita tantissimo per l’allattamento ed il digiuno, se li porta appresso mentre va in cerca di cibo sulla banchisa per riacquistare il peso fisiologico.
Il distacco dalla madre avviene solo al terzo anno di vita, alquanto tardivamente nel mondo dei mammiferi, ma in tutto questo periodo insegna loro le tecniche di caccia, i pericoli del Pack, il sapersi destreggiare e nuotare in mare aperto e trovare una tana adatta.