Famiglia : Tachyglossidae
Testo © DrSc Giuliano Russini – Biologo Zoologo
Con il nome echidna, appartenente a un mostro mitologico dal corpo mezzo di donna e mezzo di serpente, vengono comunemente indicate alcune specie d’animali afferenti alla classe dei Mammiferi (Mammalia), infraclasse Prototeri (Prototheria), sottoclasse Aplacentati (Aplacentalia), ordine Monotremi (Monotremata), famiglia Tachiglossidi (Tachyglossidae), che si suddividono in due generi fondamentali: il genere Tachiglosso (Tachyglossus) e Zaglosso (Zaglossus).
A questi due generi corrispondono poche specie. Il genere Tachyglossus ne conta solo due: l’ Echidna istrice o Echidna becco corto o Echidna riccio (Tachyglossus aculeatus Shaw, 1792) e l’Echidna della Tasmania (Tachyglossus setosus).
Il genere Zaglossus annovera invece tre specie proprie della Nuova Guinea, tutte poco comuni e presenti soltanto nell’estremità orientale e occidentale dell’isola. Non sono mai infatti state trovate nella parte centrale.
Si tratta dell’Echidna di Barton (Zaglossus bartoni), dell’Echidna Brujin (Zaglossus bruijnii) e dell’Echidna bubu (Zaglossus bubuensis), dette tutte, comunemente, anche echidne dal becco lungo.
Una prima differenza tra le specie dei due generi, è infatti la differenza nella lunghezza del muso, detto becco, che nelle specie del genere Tachyglossus è più corto, mentre in quelle del genere Zaglossus è più sottile e lungo.
Inoltre le specie del primo genere sono caratterizzate da una presenza più o meno fitta d’aculei lunghi, simile a quelli degli istrici, da cui il nome comune di echidna istrice per il Tachyglossus aculeatus, mentre nelle specie del genere Zaglossus risultano più corti e radi.
Le specie d’entrambi i generi sono rare e a limite d’estinzione secondo la IUCN. Inoltre presentano carni commestibili, che, stando alle popolazioni indigene, sono anche particolarmente gustose.
Quelle del genere Tachyglossus, endemiche dell’Australia, Tasmania e isolotti circostanti, sono soggette ad una forte pressione ambientale, dettata dalle continue modificazioni indotte dall’uomo, mediante una distrofica urbanizzazione e l’agricoltura intensiva, ma almeno la caccia ad opera degli aborigeni si è attenuata.Quelle del genere Zaglossus, indigene della Nuova Guinea, se da un lato sono meno toccate dalla civilizzazione, dall’urbanizzazione e dall’agricoltura intensiva, rispetto all’Australia, dall’altro sono ancora un piatto prelibato per le popolazioni tribali papuasiche che danno loro intensamente la caccia.
Zoogeografia
Le echidne istrice sono indigene dell’Australia, Tasmania ed isolotti circostanti.
Ecologia-Habitat
Tutte le echidne, quindi anche l’echidna istrice, sono animali terragnoli. Prediligono gli ambienti rocciosi, siti ad una certa quota, dove scavano senza sosta il terreno alla ricerca d’insetti. Sono particolarmente ghiotte di termiti e di formiche, che catturano in gran numero, invischiandole con la lunga lingua appiccicosa. Rovesciano spesso anche grosse pietre, con una forza insospettata e incredibile, rispetto alla taglia, e sollevano le cortecce degli alberi, per cercare, anche lì, insetti e larve nascoste. Con gli insetti, le echidne inghiottono sempre una certa quantità di sabbia e sassolini, utili alla digestione, per la particolare conformità del loro stomaco.
Il sacco gastrico di questi curiosi mammiferi è infatti dotato di potenti pareti muscolari, che, agendo in maniera analoga allo stomaco posteriore “ventriglio” di molte specie d’uccelli, utilizzano i sassolini inghiottiti per frantumare e triturare la corazza o esoscheletro degli insetti.
Ulteriore carattere vestigiale, se ce ne fosse bisogno, che evidenzia l’arcaicità di questo ordine all’interno dei mammiferi (vedi scheda Monotremata).Morfofisiologia
Della particolarità del foro comune “cloaca”, verso cui affluiscono sia il digerente, che il sistema urogenitale e per mezzo del quale avviene l’accoppiamento, caso unico nei mammiferi (invece comune nei rettili e uccelli), al punto da aver determinato il nome dell’ordine come Monotremata, ne abbiamo ampiamente parlato nella relativa scheda introduttiva del gruppo.
I caratteri generali, riscontrabili in tutte le specie dei due generi di echidna, ci dicono che sono animali con un muso piuttosto rigido, cilindrico-tubulare e affusolato, più corto in quelle del genere Tachyglossus e più lungo in quelle del genere Zaglossus. Inoltre, in quelle del primo genere, il muso termina rivolto verso l’alto, mentre in quelle del secondo verso il basso.
La bocca, situata all’apice rostrale del muso, è piccola e circolare. Non vi sono denti impiantati nelle mascelle (ed è anche questa la causa di una così scarsa presenza di reperti fossili delle specie in questione), ma il palato e la porzione posteriore della lingua, presentano pliche cornee, atte a triturare il cibo quando è ancora in bocca. La lingua, è subcilindrica, lunga e sottile, simile a quella del formichiere; per tale ragione, alcuni biologi del passato, chiamavano questi animali anche formichieri spinosi. Il corpo è tozzo, ricoperto dorsalmente di una ruvida pelliccia cui sono frammisti numerosi aculei rigidi, nello specifico del Tachyglossus aculeatus, questi sono numerosissimi e ricoprono tutto il dorso e i fianchi dell’animale, sono lunghi anche 20-25 cm, rigidi e di color giallo, con punta nera.
Nella specie Tachyglossus setosus, sono più radi, mentre nelle specie del genere Zaglossus, sono molto più radi, più piccoli, meno rigidi e di colore bianco.Sul capo e sull’addome, peraltro, non vi sono aculei, ed anche il pelame è più soffice. La coda, rudimentale, è ridotta ad un cortissimo moncherino, tanto da sembrare del tutto assente, ad un primo sguardo superficiale.
Le zampe sono robuste, armate di fortissimi unghioni ricurvi, in numero variabile da tre a cinque. Queste sono utilizzate per scavare alla ricerca degli insetti, ma anche buche ove tali animali solitari vanno a coricarsi, o rifugiarsi per sfuggire a un predatore, proteggendo il ventre che è la parte più vulnerabile, lasciando all’esterno il dorso con i pericolosi aculei.
Le zampe posteriori appaiono storte, poiché i piedi sono diretti verso l’esterno; nei maschi queste sono provvisti di uno sperone corneo, situato sul calcagno e posto in comunicazione con una ghiandola velenifera.
Un organo del tutto analogo, ma con un veleno ad azione alquanto più intensa, è presente anche nel più famoso rappresen- tante di quest’ordine arcaico, l’ Ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus).
L’origine evolutiva di tale organo, come la sua funzione, sia nell’ornitorinco che nelle echidne, sfugge ancora oggi ai biologi zoologi; sebbene alcuni autori abbiano proposto per l’ornitorinco, un uso rivolto alla lotta contro un conspecifico, per la conquista della femmina, durante la stagione degli amori, nel caso dell’echidna tale ruolo sembra assente.
Il colore dell’echidna istrice, questo vale anche per l’altra specie, è scuro poiché il pelame è bruno-nero. Le dimensioni non sono eccessive per tutte le echidne: vanno da 40 a 80 cm. Il Tachyglossus aculeatus è la specie più piccola di entrambi i generi, la lunghezza totale non supera i 40 cm, di cui solo uno, al massimo due, spettano alla coda.
Maschio e femmina, salvo fatto per la presenza nel primo dello sperone con l’aculeo velenoso, non hanno spiccati caratteri di dimorfismo sessuale, né stagionale né transitorio.Etologia-Biologia Riproduttiva
Tolto il periodo riproduttivo che cade tra luglio-agosto, tutte le echidne d’entrambi i sessi sono animali predisposti alla vita solitaria.
Si tratta di mammiferi ovipari. Le uova sono telolecitiche meroblastiche, cioè con un grosso tuorlo e una segmentazione parziale, alla stregua di uccelli e rettili.
Sono di colore bianco e piccole dimensioni, con un guscio morbido, elastico-membranoso, che richiama in questo più l’uovo “cleidoico” dei rettili.
Non vengono deposte sul terreno, bensì custodite in una tasca addominale, in cui rimangono tenacemente attaccate al pelame grazie ad una sostanza collosa di cui sono permeate al momento della deposizione.
I piccoli nati, dopo la schiusa, in numero variabile da uno a tre, mediamente due, sono alquanto immaturi e vengono trattenuti nella tasca, del tutto paragonabile ad un marsupio, per un certo periodo di tempo.
La collocazione delle mammelle permette che i piccoli, vengano allattati senza che escano fuori dal loro accogliente rifugio.
Dopo un certo periodo, le piccole echidne raggiungono una certa mole e cominciano a sviluppare gli aculei; ed è a questo punto che la madre, li estrae dalla tasca addominale, trasferendoli in un luogo riparato e appartato, che controlla attivamente recandosi con regolarità per proseguire l’allattamento fino allo svezzamento.
→ Per informazioni generali sui MONOTREMATA vedere qui