Storia della Rosa : dalle Rose Botaniche verso una rosa perfetta
Testo © Giuseppe Mazza
La visita a un roseto è anche un modo per ripercorrere la storia della rosa, dalle varietà più antiche alle recenti, un lungo cammino verso la forma perfetta disegnata dalle mani dell’uomo.
Perché la rosa è molto di più di un semplice prodotto della natura, è la ricerca del bello nei secoli, attraverso gli occhi di diverse civiltà.
Sappiamo dai fossili che nell’Oligocene, 35-40 milioni d’anni fa’, nell’Oregon cresceva una rosa molto simile alla Rosa nutkana , appartenente al gruppo delle Cinnamonmeae come la Rosa rugosa che schiude ancora oggi al sole dei nostri giardini i suoi splendidi fiori semplici a 5 petali rosso malva.
E sappiamo che il genere Rosa in natura cresce spontaneo solo nell’emisfero nord, dove ha accompagnato l’uomo fin dalla preistoria.
Botanicamente le rose sono parenti stretti di meli, peri, peschi, albicocchi, nespoli, pruni, mandorli, ciliegi e fragole, di piante da frutto, insomma.
E le loro vistose bacche rosse, in realtà dei falsi frutti detti cinorrodi contenenti gli acheni, erano certamente apprezzate dagli uomini preistorici, per la polpa commestibile, leggermente lassativa, e ricca di vitamina C.
Possiamo quindi immaginare che qualche nostro lontano antenato abbia provato a coltivare, accanto a casa, un cespuglio di Rosa canina o una Rosa gallica.
Abituate come sono a vivere in suoli poveri ed aridi, fra le sterpaglie, a volte, ben nutrite, in coltura queste piante cambiano aspetto.
Se prendiamo una Rosa gallica selvatica, a 5 petali, e la portiamo in un suolo fertile, irrigato, senza concorrenti intorno, spesso la corolla spontaneamente si duplica, e passa a 10-15 petali.
Fenomeno, pare, legato alla rapidità della crescita, che indurrebbe, con altri fattori, una mutazione.
In modo analogo, ai tempi d’Erodoto, nel quinto secolo avanti Cristo, una Rosa canina dei campi, che conta normalmente 5 petali, diede improv- visamente origine ad una forma semipiena con 10 petali.
Questi fatti non passarono certo inosservati, e parallelamente a quanto accadde in Cina, la rosa diventa la prima pianta ornamentale domestica.
Bellezza, profumo e ricchezza trovano in questo fiore un simbolo, tant’è che una città si fa chiamare Rodi, da Rodon, il nome greco della rosa, e che si scoprono disegni di rose a profusione su scudi, monete e affreschi del mondo greco-romano.
Certamente Greci e Romani coltivavano la Rosa gallica, la rosa rossa per eccellenza, che aveva anche una varietà medicinale, e le profumatissime Damascena, nate dall’incrocio con la Rosa phoenicia .
Virgilio ci parla di una Damascena autunnale, che fioriva due volte all’anno, scaturita dal matrimonio di una Rosa gallica con la Rosa moschata , specie anche questa dell’Asia Minore, dove era giunta molti secoli prima,dall’ Himalaia.
Plinio il Vecchio, nella sua Storia Naturale, racconta di rose profumatissime, con cento petali, che ornavano la parte esterna delle ghirlande.
Già a quei tempi la rosa ne aveva fatta di strada, ma i colori dei petali nell’antichità erano solo il bianco, il rosa e il rosso, e occorre attendere la fine del Medio Evo, con l’introduzione della Rosa foetida, per vedere la prima rosa gialla.
Tappa fondamentale nella storia della rosa, perché da questa specie originaria della Persia e dell’Asia sud occidentale, trarranno poi origine tutte le sfumature gialle e arancio delle varietà moderne, grazie all’incrocio con uno dei primi Ibridi di Tea.
Nel Medio Evo circolavano anche le rose Alba, con caratteri della Rosa canina, della Damascena e della Rosa gallica.
Un profumo insuperabile, e un fogliame verde grigio in perfetta armonia con le tonalità pastello dei petali, che variano dal rosa chiaro al bianco puro.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, il mondo orticolo è in gran fermento.
È di moda la Rosa x centifolia una varietà pomposa a cento petali profumati creata in Olanda, e detta anche “Rosa dei pittori“.
La troviamo spesso raffigurata in quadri e affreschi dell’epoca, o ritratta, come l’essenza stessa della rosa, su ceramiche e tessuti.
È diversa da quella descritta da Plinio il Vecchio, ma nasce anche lei da ceppi antichi, probabilmente da una rosa Damascena, la Rosa gallica officinalis e la Rosa canina.
Verso la fine del secolo, giungono in Europa, coi carichi di tè della Compagnia delle Indie, le prime rose Cinesi, subito battezzate Tea-scented Roses, o più semplicemente Tea, per via del profumo delle casse in cui viaggiavano.
E ad evitare equivoci chiariamo subito che i petali di questi fiori non profumano di tè, l’aroma sprigionato da una scatola di tè aperta, ma hanno una fragranza tipica, con un fondo secco ed acro, mai dolce, paragonabile al limite, se proprio vogliamo, all’odore delle foglie fresche del tè spezzate fra le dita.
Mostrano boccioli insoliti, lunghi e appuntiti, e nascono da antichi incroci fra la Rosa chinensis e la Rosa gigantea, una specie rampicante dell’Himalaia che raggiunge anche i 30 m d’altezza, con robuste spine uncinate. Ma soprattutto queste rose venute da lontano, erano sempre in fiore.
Dal loro matrimonio con le varietà europee, le rose dei nostri giardini trarranno la capacità di rifiorire, che fino ad allora aveva solo la Damascena autunnale, e si parla di Ibridi Perpetui in grado di sfornar corolle, una dopo l’altra, durante tutta la stagione vegetativa.
Da nuovi incroci fra le Tea e gli Ibridi Perpetui ebbero infine origine le Rose Ibride di Tea, che sono oggi le grandi regine del mondo dei fiori.
Sempre alla fine del ‘700, giunge dal Giappone anche la Rosa rugosa, che a parte qualche fortunato incrocio, si afferma in maniera autonoma, con numerose varietà, che enfatizzano la naturale composta bellezza dei fiori semplici, per non parlare delle caratteristiche foglie venate, ruvide ma leggermente lucide, e dei grandi frutti.
E si parla di rose Bourbon, nate all’isola di Bourbon, oggi Réunion, dall’incrocio di una Rosa chinensis con una Damascena autunnale; delle Portland, nate da una rosa scarlatta, probabilmente un ibrido di Rosa chinensis , Damascena e Gallica, scoperto in Italia e portato a Londra dalla Duchessa di Portland; e delle Noisette, varietà con una rifiorenza eccezionale, create dai due fratelli Noisette, uno vivaista a Parigi e l’altro nella Carolina del Sud, che incrociarono una Rosa chinensis con la Rosa moschata .
Da un altro piccolo gruppo di rose con fiori riuniti in corimbi, le Polyantha, nate dalle nozze della Rosa multiflora var. nana con rose nane cinesi, Poulsen ottiene, incrociandole con gli Ibridi di Tea, delle rose con fiori più grandi, a mazzetti, dette Ibridi di Polyantha o semplicemente Poulsen.
E da ripetuti incroci di queste con gli Ibridi di Tea, hanno infine origine le rose Floribunda, che giocano oggi un ruolo importante nel paesaggio dei giardini.
Ma come procedono gli ibridatori ?
Come sono nate le 45.000 varietà di rose oggi esistenti ?
A volte è facile.
Quando la natura ci dà una mano, può prodursi spontaneamente, in coltura, una mutazione genetica : una specie arbustiva diventa improvvisamente rampicante, o i petali, di colpo, cambiano colore.
È il caso per esempio di una pianta di rosa Excelsa che al Roseto Princesse Grace de Monaco, accanto ai suoi fiori rosso cremisi normali, si è messa a fabbricare un ramo dalle corolle candide come la neve.
Basta isolarlo, riprodurlo per via vegetativa, e se la varietà non è già stata descritta, darle un nome.
Ma in genere, per creare una nuova rosa, occorrono in media 10 anni. Un lungo lavoro d’équipe, al tempo stesso artistico e scientifico.
Con una buona dose d’intuizione, e grande esperienza, l’ibridatore sceglie a tavolino i genitori, secondo gli obiettivi da raggiungere. Occorre tener conto di parametri spesso inconciliabili fra loro, come il colore, il profumo, la rifiorenza, il portamento, e la resistenza alle malattie.
Poi fa quello che in natura avrebbe fatto un’ape : prendere il polline della pianta scelta come padre, e lo mette sull’organo femminile della pianta destinata a portare avanti la maternità.
Il metodo per l’ Ibridazione di una rosa è sempre lo stesso.
Come prima cosa si prepara il fiore della futura sposa. Vengono tolti i petali, che non devono sedurre più nessuno, e gli stami, gli organi maschili che potrebbero provocare incesti.
Poi, con un pennellino, s’incipria delicatamente l’organo femminile, lo stigma, col polline, precedentemente raccolto dall’altra pianta, e si protegge il tutto con una bustina, per prevenire incroci accidentali.
I granuli di polline germinano e producono dei minuscoli filamenti, i tubi pollinici, che portano gli spermatozoi della pianta fino agli ovuli, nel ventre della rosa.
Da una fecondazione nascono centinaia di semi. Le combinazioni cromoso- miche sono tantissime, e i figli saranno tutti diversi.
Gennaio e febbraio sono i mesi migliori per le semine. Ogni piantina ha un vasetto numerato, e fin dai primi giorni della germinazione si annotano scrupolosamente i dati relativi alla crescita, la resistenza alle intemperie ed alle malattie.
Per dare un’idea dell’enorme lavoro, alla Meilland, il più grande creatore di rose al mondo, si parte da 100.000 semi germinati, per una prima selezione di 6.000 piantine.
Queste vengono osservate per un anno, e in seconda selezione si riducono a 600.
Le prescelte, verranno allora moltiplicate per via vegetativa, e inviate per 5-7 anni d’osservazioni all’aria aperta, in giardini sparsi in tutto il mondo.
Perché una rosa che cresce bene sotto un certo cielo, raramente si adatta a tutti i climi.
Le poche elette verranno infine brevettate in tutto il mondo, per 15, 20, o 25 anni secondo lo stato, con un nome unico, spesso impronunciabile, tipo MEIhourag, che per le rose moderne inizia quasi sempre con le prime tre lettere del nome dell’ibridatore, in questo caso MEI come Meilland.
Naturalmente nessuno comprerebbe mai una rosa che si chiama MEIhourag. Per la vendita occorre, secondo la lingua, un nome più orecchiabile.
Cosi in Francia la nostra MEIhourag è nota come Arielle Dombasle, e in Italia come ‘Lea Massari’.
Per ogni rosa venduta nei vivai, o offerta come fiore reciso, l’ibridatore riceve una royalty, ma passato il periodo di protezione la varietà cade nel dominio pubblico, e chiunque può riprodurla.
La gallina dalle uova d’oro può allora trasformarsi in un temibile concorrente. Il creatore dovrà ora convincere i clienti che la varietà è ormai superata, e che aveva dei difetti.
Per sfruttarne l’avviamento, sceglierà magari per la nuova regina un nome di vendita analogo, e ne vanterà con un buon battage, medaglie di concorsi alla mano, lo straordinario colore e il profumo.
Ma come nascono questi formidabili strumenti di seduzione delle rose ?
Mentre nella maggior parte dei fiori il profumo scaturisce dal nettare, qui si sprigiona invece dai petali, e solo quando hanno raggiunto un certo grado di maturazione.
Il profumo delle rose nasce da una particolare combinazione di terpeni ed alcool, che muta secondo la varietà, la coltura e il clima; ed anche l’osservatore gioca la sua parte.
L’uomo ha infatti una cattiva percezione degli odori, che si deteriora invecchiando.
Per questo alcuni giurano che una rosa ha un certo profumo, ed altri che ha una nota completamente diversa.
Per questo non ritroviamo più, con gli anni, certi profumi dell’infanzia, e quando si deve premiare la fragranza di una rosa, al celebre concorso di Bagattelle, a Parigi, i giudici di gara sono spesso bambini.
Per cercare d’intendersi, i creatori di rose parlano di cinque tonalità di profumo.
La nota verde, che evoca l’odore dell’erba appena tagliata.
La nota rosata, la più rara, che ricorda il profumo delle rose antiche.
La nota citrica, che ci fa pensare alla verbena, al limone e alla citronella.
La nota di frutta, con fragranze di pesche, albicocca, lamponi e fragole.
La nota speziata, che richiama la vaniglia, la cannella, o la noce moscata.
E dato che i petali delle rose dei fioristi, recise in boccio, non hanno avuto il tempo di maturare, per apprezzare la fragranza di una rosa occorre scendere in giardino.
Così in maggio il Roseto Princesse Grace de Monaco, diventa un magico mondo di profumi, una scuola di fragranze, un luogo per rivivere tempi lontani, e osservare, giorno dopo giorno, il divenire di oltre 400 varietà di rose.
Un caleidoscopio di forme, colori, e profumi in continuo mutamento.
Caso raro in natura, come per certi fiori di Proteaceae che ho incontrato in Australia e Sud Africa, le rose cambiano aspetto invecchiando.
Il colore dei petali nasce infatti da un’alchimia complessa.
Se li osserviamo al microscopio appaiono formati da tre strati : le cellule colorate del lato superiore, a forma conica, che danno un aspetto vellutato; le cellule colorate, piatte, della pagina inferiore, che creano spesso riflessi argentei; e in mezzo una zona senza pigmenti, con delle minuscole sacche d’aria, fatte apposta per enfatizzare le tinte con un’iridescenza carnosa.
Di coloranti ve ne sono molti, divisi in due gruppi : quelli solubili in acqua, detti antociani, che alloggiano nei vacuoli delle cellule, e cambiano di colore col variare del pH;e quelli liposolubili, che si sciolgono solo nelle sostanze grasse, e restano al di fuori dei vacuoli, in appositi organi detti cromoplasti.
Il colore finale, le sfumature dei petali, nascono dalla combinazione, talora opposta, di queste componenti.
Così nel tempo, cambiando il pH dei petali, un fiore bianco può diventare quasi rosso. E molti petali mostrano un elegante contrasto di colore all’apice, un bordino più o meno sfumato, solo perché queste parti sono nate prima, e maturando hanno perso, prima delle altre, la loro acidità.
A complicare le cose, la pagina superiore e inferiore dei petali, possono avere coloranti diversi, come in molte rose moderne, con un lato per esempio rosa e l’altro giallo. Mutazioni di colore che possono interessare l’intero petalo o solo alcune zone, per la gioia dei pittori impressionisti cui sono state dedicate, di recente, varie rose trasgressive.
E la rosa blu ?
In natura non esiste, perché la rosa non possiede la delfinidina, il pigmento, presente per esempio nei Delphinium e nelle petunie, che è all’origine del blu nel mondo dei fiori.
In secoli d’incroci fra rose, si è riusciti al massimo ad enfatizzare certe sfumature malva, e se vogliamo una rosa blu, occorre percorrere altre strade.
La Suntory Company, in Giappone ha inserito, con manipolazioni genetiche, la delfinidina delle petunie, e altre specie, nel patrimonio genetico di una rosa bianca, che però si è messa a fabbricare dei petali lilla, tendenti al rossiccio, perché il vacuolo che contiene questo pigmento è naturalmente troppo acido.
Un po’ come accade, anche se il processo è diverso, con le ortensie blu, che, quando il suolo non è adatto, danno fiori malva.
Per chi proprio si ostina, in Olanda, si è di recente scoperta la proteina che controlla il pH dei vacuoli dei petali, e quindi forse, in futuro, si otterrà la basicità necessaria perché il blu di queste rose geneticamente modificate si manifesti.
Per contro, le rose nere, già esistono. Per esempio la Black Baccara, tanto ricca di pigmenti rosso porpora, da sembrare quasi nera.
Ma si tratta per lo più di varietà da coltivare in serra, come fiore reciso, perché il loro colorante, il cianidolo, sotto i raggi solari, ad alte temperature, fa imbrunire i petali, con un look in un primo tempo gradevole, ma poi disastroso, per l’antiestetico aspetto bruciacchiato.
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